Francesca Biondi Dal Monte, Simone Frega (a cura di)
Contrastare la dispersione scolastica
DOI: 10.1401/9788815413369/c12
Considerando quello che abbiamo detto finora, la prospettiva per le scuole è quella di cambiare la visione stessa di curricolo, vale a dire dell’offerta di servizio che, nel caso di queste organizzazioni, ha carattere formativo. Tuttavia il curricolo attualmente è circoscritto solo alla definizione
{p. 222}degli oggetti del sapere (le discipline di studio), dei modi per presentarli (la didattica), degli obiettivi e dei traguardi da raggiungere e dalla loro valutazione. Ma in realtà l’etimo di curricolo rimanda al latino currere, che ha lo stesso etimo di carro e carrettiera, per cui il significato originario è quello di strada, sentiero, via. Il curricolo è un percorso, un percorso di vita che implica una sua globalità. Per questo molti autori che si sono interessati di teoria del curricolo ne danno una definizione assai ampia. Per Nisbet e Entwistle occorre considerare «tutti indistintamente gli elementi o aspetti dell’ambiente scolastico che possono influire sulla validità dell’apprendimento degli alunni», per cui si può ritenere curricolo «ogni elemento dell’ambiente scolastico che possa influire sull’istruzione» [6]
. Scurati, ancor più chiaramente, scrive:
Il curricolo non si identifica con i contenuti in senso culturale dell’insegnamento (le tradizionali materie) ma comprende l’intera gamma delle risorse e contingenze educative; il curricolo, in ultima analisi, è la scuola in quanto esperienza vissuta dall’alunno in tutte le sue dimensioni e occasioni, per cui elaborare una visione curricolare equivale a costruire un’intera e compiuta teoria e pedagogia della scuola e dell’educazione [7]
.
Questa visione è stata rivista e ampliata dalle scuole Senza Zaino con la proposta di «approccio globale al curricolo» [8]
, con il quale si intende che il curricolo è una modalità di dispiegarsi dell’azione in cui sono coinvolti – per dirla con Bruno Latour [9]
– elementi umani e non umani, in un cammino verso la realizzazione di attività. Da un’altra prospettiva, l’approccio globale al curricolo stesso vede il sistema delle attività {p. 223}come il risultato pianificato più o meno intenzionalmente di due fattori che vanno a intrecciarsi con due livelli (tab. 1). L’allineamento è opera di soggetti umani – da considerarsi per l’appunto architetti delle scelte – che agiscono all’interno di una data organizzazione. L’organizzazione nel nostro caso è la scuola e gli architetti sono il dirigente scolastico e i docenti. Specificando meglio, i due fattori sono costituiti da una parte dagli artefatti immateriali (software) e dall’altra dagli artefatti materiali (hardware) e così via. Mentre i due livelli vengono indicati nella dimensione back e front. In una scuola l’hardware sarà formato da architetture, spazi, arredi, attrezzature e tecnologie, strumenti didattici, laboratori; mentre il software comprenderà la vision, la mission, gli obiettivi, i saperi, il sistema di valutazione, le regole, i metodi e le strategie formative, le competenze incorporate dai docenti, dagli allievi e così via. I due fattori inoltre sono collegati ai due livelli organizzativi che caratterizzano il sistema delle attività: il livello front riguarda la parte {p. 224}direttamente produttiva dell’organizzazione (l’aula e gli altri spazi formativi), il back indica tutto quanto funge da supporto, vale a dire tutte quelle attività come i servizi dei custodi, l’azione del dirigente e dei docenti per prepararsi e coordinare, l’impegno del personale amministrativo (le attività non di aula).
Tab. 1. Il sistema delle attività e approccio globale al curricolo
Fattore n. 1
artefatti materiali
(hardware) esteriorità
locali, armadi, tavoli, sedie, lavagna, smartboard, computer, tablet, libri, strumenti didattici, attrezzature di laboratorio ecc., ovvero tutto quello che riguarda spazi e materiali relativi ad aule e locali formativi
Livello n. 1 front
l’aula e altri spazi formativi della scuola
locali per riunioni, computer, documenti, archivi, scrivanie ecc., ovvero tutto quello che riguarda spazi e materiali relativi ai locali di supporto
Livello n. 2 back
la scuola (plesso, sede, istituto)
Fattore n. 2
artefatti immateriali
(software) interiorità
idee che circolano, preparazione dei docenti, metodi di insegnamento praticati, conoscenze degli alunni, modi di realizzare la valutazione, obiettivi, contenuti delle materie, pratiche di lavoro degli alunni
Livello n. 1 front
l’aula e altri spazi formativi della scuola
idee, sistemi di valutazione, regole, formazione dei docenti, metodi di esercizio della leadership e del management, modi di funzionare dell’amministrazione
Livello n. 2 back
la scuola (plesso, sede, istituto)
 
 
Fonte: M. Orsi, L’ora di lezione non basta, Rimini, Maggioli, 2015.
L’allineamento dei fattori ai due livelli si costituisce, pertanto, come progettazione dell’ambiente formativo, che va al di là della tradizionale progettazione didattica, la quale – come detto – si ferma alla definizione di obiettivi, contenuti e, in qualche caso, dei metodi, senza peraltro considerare il fatto che la progettazione stessa dovrebbe invece considerare tutti gli ingredienti parte di un contesto, alla stregua di quanto accade in organizzazioni come il supermercato [10]
. Si tratta di una visione che appunto pone attenzione al sistema delle attività. La sfida, in definitiva, è trattare lo spazio non in modo separato, ma in un’ottica globale. Bruni e Gherardi pongono la questione dell’approccio globale al curricolo, avendo presente il fenomeno organizzativo tout-court. Per questi autori è necessario assumere che:
il lavoro sia un’attività situata entro un contesto materiale e culturale (i cui confini sono tracciati dalle attività stesse che stabiliscono connessione in azione) e mediata dal corpo, dagli oggetti e dalle tecnologie, dall’insieme di regole costitutive e costituenti tale contesto, e dalle pratiche discorsive che rappresentano e costituiscono le relazioni [11]
.
L’approccio globale al curricolo va però visto anche in una prospettiva dinamica, diremmo storica, e qui è utile l’impostazione suggerita da K. Weick, il quale non enfatizza tanto l’organizzazione, quanto l’organizzare [12]
. Organizzare non è per l’appunto un nome ma un verbo, pertanto {p. 225}siamo portati a guardare tanto all’agire quanto alla storia dell’organizzazione, riscoprendo il suo passato attraverso le pratiche narrative e di storytelling. Ciò è molto importante perché qualsiasi attività si situa non solo nello spazio, ma anche nel tempo incrociando 4 dimensioni: le 3 dello spazio con quella del tempo, vale a dire gli aspetti orizzontali (spaziali) con quelli verticali (temporali). Di qui la necessità di immaginare – come del resto la nuova fisica einsteiniana suggerisce – l’organizzazione situata nello spazio-tempo.

4. Lo spazio dimenticato e le cose

Tuttavia merita una riflessione particolare la questione dello spazio in quanto elemento che, in particolare negli ambienti scolastici, è stato dimenticato. Probabilmente il primo a rendersene conto è stato John Dewey, il quale già alla fine dell’Ottocento si esprimeva in questi termini:
[...] se rievochiamo alla mente un’aula scolastica ordinaria, con le sue file di banchi disposti in ordine geometrico, addossati l’uno all’altro in modo da lasciare meno spazio possibile al movimento degli alunni, banchi quasi tutti delle medesime dimensioni, con poco spazio che basta a contenere i libri, matite e carta, con l’aggiunta di un tavolo, di qualche seggiola e le pareti nude o adornate con il minor numero possibile di quadri murali [...]. Tutto è fatto «per ascoltare» [...] e l’attitudine ad ascoltare significa, comparativamente parlando, passività, assorbimento [...] [13]
.
Di oggetti, spazi, cose, invece non sembra tener conto la visione di sistema che, pur con grande profondità, propone Edgar Morin. Scrive il filosofo e sociologo francese:
L’organizzazione ricorsiva è quell’organizzazione i cui effetti e i cui prodotti sono necessari per la sua stessa causazione e per la sua stessa produzione. [...] Una società è prodotta dalle intera{p. 226}zioni fra individui, ma queste interazioni producono una totalità organizzatrice che retroagisce sugli individui per co-produrli quali individui umani [14]
.
A differenza di Latour, che vede un sistema generato dall’interazione di soggetti umani e soggetti non-umani, Morin invece sembra rimanere dentro l’interazione tra i soli soggetti umani dimenticando lo spazio dei corpi, delle cose, della materia. Ciò rischia di essere una visione idealistica che ancora permane nella società e che è stata fatta propria, sin dal suo sorgere, dalla scuola. Infatti, non contano gli oggetti, non hanno valore le cose: la materia e i corpi possono essere tranquillamente dimenticati, si tratta solo di dispensare o co-costruire il sapere, dove implicati sono solo gli individui visti fuori dai contesti. Non è allora sufficiente parlare di una testa ben fatta contrapponendola a una testa ben piena [15]
, poiché si rimane entro una concezione mentalistica e cerebrale dell’insegnamento e dell’apprendimento. In questa visione lo spazio perde di consistenza, mentre solo il tempo sembra predominare. Ma cos’è il tempo senza le cose, senza i ricordi che si agganciano ai contesti che re-immaginiamo? Sono i contesti dai contorni materiali definiti ciò di cui possiamo fare memoria, perché ritornano alla mente come volti di corpi, ambienti particolari, oggetti portatori di affetti, colori e odori. Il ricordo si nutre di immagini visive e finanche olfattive, che dicono sempre di un contesto spazio-temporale. Qui le puntualizzazioni caustiche di Byung-Chul Han risultano significative:
L’ordine terreno, l’ordine planetario, è costituito da cose che assumono una forma durevole e creano un ambiente stabile, abitabile. Sono le «cose del mondo» di cui parla Hannah Arendt e alle quali spetta il compito «di stabilizzare la vita umana» offrendole un appiglio [...] Le cose sono i punti fermi dell’esistenza, ma oggi le informazioni le hanno completamente insabbiate. Le
{p. 227}informazioni non sono certo punti fermi dell’esistenza. [...] Si fondano sul brivido della sorpresa. Basta questa loro fuggevolezza a destabilizzare la vita [16]
.
Note
[6] C. Scurati, Un curricolo nella scuola elementare, Brescia, La Scuola, 1977, p. 20.
[7] Ibidem, p. 21.
[8] Cfr. M. Orsi, A scuola senza zaino, Trento, Erickson, 2006 (1a ed.); M. Orsi, G. Merotoi, C. Natali e M.B. Orsi, A scuola senza zaino, Trento, Erickson, 2016 (2a ed.).
[9] B. Latour, The Powers of Association, in J. Law (a cura di), Power, Action and Belief: A New Sociology of Knowledge?, London, Routledge and Kegan Paul, 1986.
[10] M.B. Ligorio e C. Pontecorvo, La scuola come contesto. Prospettive psicologico-culturali, Roma, Carocci, 2010.
[11] A. Bruni e S. Gherardi, Studiare le pratiche lavorative, Bologna, Il Mulino, 2007, p. 18.
[12] K. Weick, Organizzare. La psicologia sociale dei processi organizzativi, Torino, ISEDI, 1993.
[13] J. Dewey, Scuola e società, Firenze, La Nuova Italia, 1949 (ed. or. 1899), p. 22.
[14] E. Morin, Le vie della complessità, in G. Bocchi e M. Ceruti (a cura di), La sfida della complessità, Milano, Feltrinelli, 1985, pp. 52-53.
[15] E. Morin, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Milano, Raffaello Cortina, 2000.
[16] B.C. Han, Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale, Torino, Einaudi, 2022, p. 6.