Francesca Biondi Dal Monte, Simone Frega (a cura di)
Contrastare la dispersione scolastica
DOI: 10.1401/9788815413369/p3

Introduzione La dispersione scolastica: un problema ineludibile e un'occasione straordinaria

Nel corso del tempo e da oltre un secolo, tutti i sistemi scolastici dei paesi cosiddetti avanzati hanno cercato di fronteggiare l’abbandono precoce della scuola e continuano a investire risorse ingenti per contrastare la dispersione scolastica, oggi intesa come l’abbandono della scuola prima del conseguimento del titolo di scuola secondaria di secondo grado o di una qualifica professionale equivalente. Anche l’Italia non fa eccezione: sono state impiegate considerevoli energie e risorse nel corso degli ultimi decenni. Sebbene esistano ancora problemi irrisolti, i successi ottenuti sono notevoli, con una riduzione significativa del fenomeno rispetto al passato. Non si deve infatti dimenticare che, nonostante le difficoltà derivanti da definizioni di dispersione scolastica che sono mutate nel tempo, la percentuale di giovani che non raggiungeva il diploma di scuola secondaria di secondo grado era circa il 37% nel 1992, per passare a circa il 25% all’inizio degli anni Duemila e giungere nell’ultima rilevazione disponibile (2022) all’11,5%. Inoltre, in base ai dati INVALSI e del Ministero dell’Istruzione e del Merito (MIM) si può supporre che il dato del 2023 vedrà un ulteriore calo della dispersione scolastica, tanto da far ritenere raggiungibile il traguardo del 2026 posto al 10,2%.
Tuttavia, le trasformazioni culturali, sociali, economiche e tecnologiche della società hanno aggiunto nuove dimensioni al problema della dispersione scolastica. Non si tratta più soltanto di prevenire l’abbandono precoce della scuola, ma di affrontare un fenomeno molto più complesso e sfuggente. È ormai evidente che il contrasto alla dispersione scolastica oggi coinvolga diversi piani. Innanzitutto, c’è la dispersione cosiddetta esplicita, ossia la quota di giovani che lasciano la scuola senza conseguire un titolo di studio secondario di secondo grado. Ma un paese realmente avanzato non può {p. 14}accontentarsi di un traguardo così parziale, soprattutto in quei sistemi dove il titolo di studio ha valore legale. In questi casi esiste sempre il pericolo che il contrasto alla dispersione scolastica si realizzi anche attraverso un pericoloso processo di abbassamento dei traguardi di apprendimento perseguiti, spostando la lotta alla dispersione scolastica dalla sua sede propria, ossia l’allargamento delle quote di popolazione che posseggono un’istruzione adeguata, a quella della focalizzazione sull’indicatore del fenomeno, anziché sul problema che si vuole cercare di risolvere.
Si rende quindi necessario un allargamento della prospettiva di azione e il contrasto alla dispersione scolastica si realizza attraverso tre livelli, gerarchicamente ordinati rispetto alla loro urgenza, ma fortemente connessi e correlati tra loro da relazioni non solo lineari e unidirezionali:
a) la lotta contro l’abbandono precoce della scuola (dispersione scolastica esplicita);
b) la riduzione della quota di giovani che terminano il loro percorso scolastico, ma che non posseggono le competenze di base attese alla fine della scuola secondaria di secondo grado (dispersione scolastica implicita);
c) il contenimento della povertà educativa, intesa come la condizione di fragilità educativo-culturale della popolazione, indipendentemente dal titolo di studio posseduto [1]
.
Queste tre dimensioni descrivono un fenomeno complesso che possiamo chiamare, più in generale, fragilità educativa. Lo studio di questa fragilità pone problemi metodologici e analitici che non hanno ancora trovato una sistemazione definitiva e, certamente, serve ancora molta ricerca per definire un piano rigoroso e multidisciplinare per descrivere in modo appropriato e realmente informativo la fragilità educativa. Tuttavia, è evidente la necessità di una riflessione profonda, collettiva e pubblica, in primo luogo pedagogica, {p. 15}per trovare soluzioni adeguate e superare impliciti pericolosi che talvolta vanificano l’efficacia delle azioni intraprese, anche se con le migliori intenzioni.
L’individuazione delle cause della fragilità educativa è molto complessa e non può essere circoscritta a una sorta di determinismo sociale che, nei fatti, porta a un’accettazione implicita dell’insuccesso scolastico ed educativo. D’altro canto, è però utopistico pensare di poter sconfiggere totalmente la fragilità educativa, almeno nel medio periodo, proprio perché le sue determinanti sociali rappresentano un pesante fardello sulle spalle della scuola.
Anche la transizione digitale può rappresentare una straordinaria opportunità per affrontare la fragilità educativa, soprattutto se la digitalizzazione dell’intera società che stiamo vivendo si tradurrà in un ripensamento adeguato dell’azione pedagogica ed educativa che la società esercita attraverso il suo sistema scolastico.
Infine, ma non da ultimo, la trasformazione demografica delle società mature richiede un ripensamento dell’educazione. Se da un lato, il calo del numero dei giovani è un processo non modificabile nei prossimi trenta-quarant’anni, dall’altro, le scienze dell’educazione devono trovare soluzioni sostenibili e realizzabili per evitare che i giovani di domani si disperdano o conseguano una preparazione inadeguata.
In un quadro così complesso, il ruolo della ricerca è fondamentale. Essa ha il compito di proporre soluzioni, di illustrare scenari alternativi e di frequentare gli spazi, a volte scomodi e difficili, delle innovazioni praticabili, resistendo alla tentazione della critica sterile e impegnandosi invece a elaborare proposte pedagogiche, didattiche e metodologiche realistiche e fattibili sul piano operativo, economico e sociale. Questa è una sfida culturale complessa e impegnativa. È necessario superare gli steccati che talvolta fungono da alibi per evitare di cimentarsi in campi sconosciuti e dove è più facile collezionare insuccessi anziché esiti positivi. Serve l’impegno di tutti per immaginare una scuola capace di rispondere alle esigenze del singolo, senza perdere di vista la dimensione collettiva dell’istruzione che rende un insieme di individui una società coesa, equilibrata e responsabile.{p. 16}
Oggi, si parla spesso di dispersione scolastica esplicita per riferirsi a coloro che abbandonano la scuola prima di conseguire un diploma o una qualifica di scuola secondaria di secondo grado. A livello di Unione europea, i dispersi espliciti sono definiti come Early Leavers from Education and Training (ELET), cioè i giovani tra i 18 e i 24 anni che non sono inseriti in alcun percorso formativo e non hanno ottenuto un diploma (o una qualifica) di scuola secondaria di secondo grado [2]
. Nel 2022, la percentuale di ELET in Italia si attesta all’11,5%, pari a circa 465.000 giovani, con un miglioramento rispetto al 2021 (12,7%) [3]
. Inoltre, la dispersione scolastica esplicita colpisce maggiormente i ragazzi (13,6%) rispetto alle ragazze (9,1%), e le regioni del Mezzogiorno (15,1%) rispetto a quelle del Centro (8,2%) e del Nord (9,9%).
Già questi pochi dati dovrebbero indurre a una prima riflessione. L’eterogeneità del fenomeno richiede azioni molto diverse tra di loro, in grado di supportare le diverse situazioni in base alla loro specificità. Se per alcuni aspetti ciò è molto semplice da accettare, per esempio come nel caso dei divari territoriali, altri tipi di differenze potrebbero incontrare delle resistenze culturali e di visione di non trascurabile rilevanza, come per esempio le differenze di genere. Per limitarsi all’ambito scolastico, il dibattito sulle differenze tra le ragazze e i ragazzi sembra del tutto focalizzato sugli inaccettabili svantaggi di cui ancora oggi soffrono le ragazze, senza tenere però in debito conto che esiste anche una questione di genere al maschile nella sfera della fragilità educativa che vede i maschi in condizione di maggiore svantaggio rispetto alle femmine. Ancora una volta serve un’apertura mentale per evitare il quasi automatico innalzamento di barriere ideologiche che impediscono di comprendere i fenomeni, causando talvolta il loro perpetuarsi o il loro aggravamento.{p. 17}
Parallelamente alla dispersione scolastica esplicita, è fondamentale affrontare anche la cosiddetta dispersione scolastica implicita. Essa riguarda quei giovani che, pur conseguendo il diploma di scuola secondaria di secondo grado, non raggiungono i livelli minimi di competenze previsti. Questa forma di dispersione è meno visibile, ma altrettanto preoccupante, poiché implica che molti studenti e molte studentesse terminano il percorso scolastico senza aver acquisito le competenze necessarie per affrontare le sfide del mondo del lavoro e della vita adulta.
Il livello delle competenze di base di coloro che conseguono una qualifica o un diploma di scuola secondaria di secondo grado è un tema dibattuto da tempo in ambito scientifico e accademico. Nonostante le numerose ricerche condotte, non è stato ancora raggiunto un consenso sulla misurazione delle competenze di base, né tantomeno sulle cause che determinano livelli inadeguati di queste competenze [4]
. Tuttavia, la misurazione e il monitoraggio di questo fenomeno sono urgenti e non possono essere ulteriormente rimandati, sia dal punto di vista operativo sia teorico e metodologico. Una riflessione approfondita è necessaria, coinvolgendo non solo la pedagogia, ma anche il diritto e le scienze politiche, la sociologia, l’economia e la statistica.
Attraverso i dati PISA e i dati INVALSI è oggi possibile effettuare una stima, per quanto provvisoria e non definitiva, della dispersione scolastica implicita [5]
. I risultati di queste rilevazioni evidenziano che una parte significativa degli studenti, l’8,7% nel 2023, ottiene il diploma senza
{p. 18}aver raggiunto i livelli minimi di competenze previsti. Si tratta quindi di un fenomeno preoccupante perché implica che molti giovani non sono adeguatamente preparati per affrontare le sfide del mondo del lavoro e della vita adulta che li attende. A questo aspetto, si aggiunge la riduzione rilevante nel tempo di allievi e di allieve che raggiungono risultati di elevato livello.
Note
[1] Eurostat, Early Leavers from Education and Training, 2023, https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Early_leavers_from_education_and_training; O. Giancola e L. Salmieri, La povertà educativa in Italia, Roma, Carocci, 2023; R. Ricci, La dispersione scolastica e la povertà educativa, in «Nuova Secondaria», 2, 2023, pp. 124-134.
[2] Eurostat, Early Leavers from Education and Training, cit.
[3] Il valore dell’indicatore ELET 2023 è stimato in calo rispetto a quello del 2022.
[4] D. Checchi, Povertà ed istruzione: alcune riflessioni ed una proposta di indicatori, in «Politica Economica», 14, 2, 1998, pp. 245-282; T. De Mauro, Storia linguistica dell’Italia repubblicana: dal 1946 ai nostri giorni, Roma-Bari, Laterza, 2014; Giancola e Salmieri, La povertà educativa in Italia, cit.
[5] European Commission, Directorate-General for Education, Youth, Sport and Culture, The Twin Challenge of Equity and Excellence in Basic Skills in the EU – An EU Comparative Analysis of the PISA 2022 Results, Publications Office of the European Union, 2024, https://data.europa.eu/doi/10.2766/881521; R. Ricci, La dispersione scolastica: un concetto da approfondire, in «Dirigenti Scuola», 41, 2023, pp. 14-33.