Contrastare la dispersione scolastica
DOI: 10.1401/9788815413369/c7
La situazione di giovani che non
studiano né lavorano può poi essere con molta facilità terreno fertile per situazioni di
esclusione sociale con fenomeni di autoisolamento come quelli degli
hikikomori, passando per condizioni depressive e patologie di
fragilità psicologiche, in aumento soprattutto dopo la pandemia e che sembrano
coinvolgere in misura rilevante la c.d. «Gen Z» o dei c.d. «nativi digitali», cioè i
nati tra la fine degli anni Novanta del secolo scorso e
¶{p. 142}la
prima decade del nuovo millennio
[6]
. Situazioni che, nei casi più gravi, hanno anche un certo impatto sui
sistemi sociosanitari.
Così come hanno un rilevante effetto
sociale quei giovani NEET che, ritiratisi dai percorsi formativi, si trovano coinvolti
in situazioni ai limiti della legalità, fino a dinamiche di micro-criminalità, che
produrranno a loro volta costi per la collettività in termini di forze di pubblica
sicurezza e di sistema giudiziario e detentivo.
Infine, sono da considerare anche i
costi in termini di mancata o scarsa partecipazione alla vita sociopolitica del proprio
paese.
Come si vede, dunque, i costi
diretti e quelli «nascosti» dietro un fenomeno come quello della dispersione scolastica
sono molto più numerosi e «a lungo raggio» di quanto si possa immaginare a prima vista
[7]
.
4. Rumori di sottofondo
A quanto detto finora si aggiunge,
nello scenario post-pandemico, un sempre crescente individualismo che accanto a un’ormai
bulimia di incessante consumo di «social media», ¶{p. 143}vede
diffondersi in particolare tra i più giovani alcuni tra i mali oscuri che caratterizzano
le nostre società occidentali contemporanee, come quelli dell’ansia
[8]
e della solitudine
[9]
. Un fenomeno che rischia di essere ulteriormente aggravato da un
focus eccessivo sulla performance del singolo, con conseguente
sensazione di fallimento che rischia di travolgere ogni tipo di certezza e speranza
verso il futuro.
Sembra quasi che le agenzie
educative di ieri e di oggi – famiglie e scuole in particolare – non riescano più a
perseguire quello che Martha Nussbaum ha così efficacemente sintetizzato: «insegnare a
confrontarsi con le inadeguatezze e le fragilità umane, cioè insegnare che la debolezza
non deve essere fonte di vergogna e che avere bisogno degli altri non è mancanza di virilità»
[10]
. Uno stato di costante inquietudine e fragilità che può sfociare, nei casi
più gravi, in situazioni di carattere patologico, di bullismo, di violenza verso di sé o
verso gli altri.
Anche senza ricadere in condizioni
così drammatiche e profonde dal punto di vista della singola persona umana, appare
diffusa una crescente separazione tra il mondo della «vita» (quella magari sui social o
in una realtà virtuale) e quello della scuola che arranca con modelli e proposte
avvertite «inutili» e non interessanti. Una scuola che verrebbe ridotta così a mero
lasciapassare verso uno step successivo in una continua rincorsa a un futuro che non si
realizza mai e si risolve in una continua illusione e delusione. Ma a che cosa – e a chi
– può servire e interessare una simile prospettiva? Se nel mondo dell’accesso infinito e
istantaneo a tutte le informazioni possibili, la conoscenza e il sapere sembrano aver
perso appeal e valore, analogamente, nel mondo che privilegia
l’avere e l’apparire sull’essere e sul fare, anche la
¶{p. 144}competenza (che si tratti di hard,
soft o character skill in questo caso
cambia relativamente) sembra non godere di buona salute...
Se non vogliamo rimanere rinchiusi
in queste bolle di sapone, tanto luccicanti quanto fragili al primo soffio di brezza,
occorre invece recuperare una concezione di scuola intesa come
scholé
[11]
, che possa riappassionare gli studenti (e gli insegnanti) in questo compito,
riconquistando per esempio la consapevolezza che anche le singole discipline sono fatte
per la persona e quindi sono mezzi per la realizzazione e la
maturazione dell’unico fine che rimane sempre il singolo studente.
Oppure appare sempre più urgente recuperare una concezione e una pratica di orientamento
durante i percorsi scolastici e formativi che superi una dimensione di mera
«tecnicalità-procedurale», come se l’orientamento fosse appena la somma di attività,
open day ecc. che rientrano sotto questa dicitura, riacquisendo
la consapevolezza pedagogica che
non esiste autoeducazione e orientamento personale possibile senza educazione, e che, dunque, gli educatori, con gli esempi che ci danno, i valori che ci propongono, l’aiuto gratuito piuttosto che interessato che ci hanno assicurato e ci assicurano nei momenti grandi e piccoli di bisogno, contano, eccome, ai fini delle scelte future e della qualità presente di ogni vita [12] .
Così come è importante riguadagnare
la consapevolezza che l’utilità di un’educazione liberale (libera
cioè da ulteriori ¶{p. 145}secondi fini di concreta immediata rilevanza)
è in sé stessa, nella conoscenza stessa e nella maturazione della persona che reca con
sé, come ci ha ricordato in più passaggi il filosofo e matematico britannico A.N.
Whitehead nei suoi «fini dell’educazione»:
I pedanti si beffano di un’educazione che sia utile. Ma se l’educazione non è utile, che cosa è? È forse un talento da tenersi accuratamente nascosto in un fazzoletto? Certamente l’educazione deve essere utile, qualunque sia lo scopo della vita. Fu utile a Sant’Agostino, e lo fu a Napoleone. È utile perché la comprensione è cosa utile. [...] La comprensione che si esige è quella del presente con cui abbiamo a che fare. L’unica utilità di una conoscenza del passato è che ci prepara per il presente [13] .
Una conoscenza dunque intrecciata
con la vita e che serve per la sua comprensione e l’affronto non solo delle sfide di
carattere professionale/occupazionale, ma anche e in primo luogo per quelle di carattere
relazionale, affettivo, sociale, politico. Senza questo forte e costante nesso reciproco
tra scuola e vita, che cosa possiamo offrire ai nostri studenti? Solo una conoscenza
morta. In questo senso appaiono illuminanti le parole di Whitehead che in un altro
passo, criticando la «funesta disarticolazione degli argomenti, che uccide la vitalità
del nostro moderno corso di studi» afferma: «una sola è la fondamentale materia
dell’educazione: la Vita in tutte le sue manifestazioni»
[14]
.
5. Che fare?
Di fronte a un tale scenario si
sarebbe quasi portati a rinunciare all’impresa oppure, per dirla con il don Raffaè di De
André, di adeguarsi all’italico vizio per cui ci «si costerna, s’indigna, s’impegna /
Poi getta la spugna con gran dignità».¶{p. 146}
Ma se è vero che in educazione conta
di più l’exemplum, la testimonianza concreta e vissuta (non tanto
come modello a cui conformarsi, quanto piuttosto come esempio esperienziale a cui tendere)
[15]
piuttosto che fiumi di discorsi che saranno percepiti – magari anche
pregiudizialmente – come astratti e lontani, la prima reale urgenza è quella di
incoraggiare maestri che siano disponibili a svolgere questo rischioso ancorché
affascinante compito. Che sappiano accompagnare i giovani nella scoperta entusiasmante,
ancorché certamente drammatica, dei propri talenti, incoraggiandoli nella costruzione
del proprio futuro e infondendogli speranza, come dice nel Canto XV
dell’Inferno Brunetto Latini al suo allievo Dante: «Se tu segui
tua stella, / non puoi fallire a glorïoso porto» (vv. 55-56). Detto in altri termini:
ciascuna persona ha almeno un talento che può mettere in gioco e far fruttare,
moltiplicare e condividere con gli altri. Senza la riscoperta di questa essenziale
consapevolezza, tutto il resto rischia di diventare una fatica di Sisifo senza fine e
senza meta.
Posta questa premessa si possono
ipotizzare, tenendo conto del più ampio contesto europeo e nazionale
[16]
, interventi più specifici in una prospettiva che permetta ai territori e
alle scuole, valorizzando pienamente la propria autonomia scolastica, di sperimentare,
verificare e correggersi. In un report del 2022 l’Autorità Garante
per l’Infanzia e l’Adolescenza
[17]
ha evidenziato, infatti, soprattutto nelle sue Raccomandazioni conclusive,
come occorra un approccio multifattoriale, in
¶{p. 147}grado di tenere
in considerazione e comprendere differenti elementi tra loro concorrenti. Tra gli
interventi di natura strutturale è in primo luogo necessario superare l’attuale
gerarchizzazione «gentiliana» dei percorsi di studio secondari al fine di arrivare a una
vera pari dignità tra i diversi indirizzi
[18]
, anche attraverso lo sviluppo di campus formativi come
quelli previsti dalla legge 8 agosto 2024, n. 121, istitutiva della filiera formativa
tecnologico-professionale: l’obiettivo dei campus è quello di
connettere, mettendoli in rete tra loro, i percorsi formativi offerti dallo Stato
(istituti tecnici e professionali), dalle regioni (percorsi IeFP), dalle università e
dalle fondazioni degli ITS Academy, nonché favorendo e mettendo a
sistema collaborazioni virtuose con soggetti pubblici e privati attivi sul territorio
(dalle imprese agli enti locali fino alle associazioni del Terzo settore).
Note
[6] Sul tema si veda il recente lavoro dello psicologo sociale J. Haidt, The Anxious Generation. How the Great Rewiring of Childhood is Causing an Epidemic of Mental Illness, London, Penguin, 2024.
[7] Alcuni studi hanno ulteriormente dettagliato questi indicatori individuando le seguenti macro-categorie: maggiore incidenza della disoccupazione; maggiore durata della disoccupazione; guadagni iniziali e di tutta la vita più bassi; stato di salute più basso; minore partecipazione all’apprendimento permanente; minore qualità della vita per i figli; minore soddisfazione di vita. Particolarmente rilevanti sotto il profilo sociale: aumento della criminalità; minore tasso di crescita economica; minore stato di salute pubblica; maggiore disoccupazione; minore coesione sociale; minori entrate fiscali; aumento della disoccupazione e delle prestazioni sociali; maggiori spese per la sanità pubblica; maggiori spese per la giustizia penale. Per approfondimenti si rinvia a G. Psacharopoulos, The Costs of School Failure. A Feasibility Study, European Commission, European Expert Network on Economics of Education, 2007, http://www.education-economics.org/de/dms/EENEE/Analytical_Reports/EENEE_AR2.pdf.
[8] Il già richiamato testo di Haidt, The Anxious Generation. How the Great Rewiring of Childhood is Causing an Epidemic of Mental Illness, cit.
[9] M. Ferraresi, Solitudine. Il male oscuro delle società occidentali, Torino, Einaudi, 2020.
[10] M.C. Nussbaum, Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, Bologna, Il Mulino, 2011 (ed. or. Not for Profit. Why Democracy Needs the Humanities, Princeton, Princeton University Press, 2010).
[11] Sul tema si vedano i testi di G. Bertagna: La pedagogia della scuola. Dimensioni storiche, epistemologiche ed ordinamentali, in G. Bertagna e S. Ulivieri (a cura di), La ricerca pedagogica nell’Italia contemporanea. Problemi e Prospettive, Roma, Edizioni Studium, 2017, pp. 34-111; Id., Le condizioni della scholé. Una rilettura storico-epistemologica, in E. Balduzzi (a cura di), L’impegno educativo nella costruzione della vita buona. Scritti in onore di Giuseppe Mari, Roma, Edizioni Studium, 2020, pp. 29-57; Id., La scuola al tempo del Covid. Tra spazio di esperienza ed orizzonte d’attesa, Roma, Edizioni Studium, 2020; Id., Per una scuola dell’inclusione, Roma, Edizioni Studium, 2022.
[12] G. Bertagna, Valutare tutti valutare ciascuno. Una prospettiva pedagogica, Brescia, La Scuola, 2004, p. 142.
[13] A.N. Whitehead, I fini dell’educazione e altri saggi, a cura di A. Granese, trad. it. di F. Cafaro, Firenze, La Nuova Italia, 1992, pp. 49-50 (ed. or. The Aims of Education and Other Essays, New York, The Free Press, 1929).
[14] Ibidem, p. 55.
[15] Secondo quanto ha sostenuto Bertagna laddove scrive: «Essere d’esempio, peraltro non nel senso dell’exemplar (un modello fisso oggettivo a cui lo studente deve improntarsi), ma, appunto, dell’exemplum (un modello esistenziale personale che entra in campo proprio quando egli ha finito ogni suo discorso dimostrativo o argomentativo nei confronti dello studente)», G. Bertagna, Stupore dell’apprendere e insegnamento della scholé, in «La Famiglia», 55, 265, 2021, pp. 132-148, qui a p. 137.
[16] N. Alexiadou, I. Helgøy e A. Homme, Lost in Transition. Policies to Reduce Early School Leaving and Encourage Further Studying in Europe, in «Comparative Education», 55, 3, 2019, pp. 297-307.
[17] Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, La dispersione scolastica in Italia: un’analisi multifattoriale. Documento di studio e di proposta, Roma, 2022, https://www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/2022-06/dispersione-scolastica-2022.pdf.
[18] G. Bertagna, Pensiero manuale. La scommessa di un sistema educativo di istruzione e di formazione di pari dignità, Soveria Mannelli, Rubbettino Università, 2006.