Contrastare la dispersione scolastica
DOI: 10.1401/9788815413369/c6
non è da disconoscere la distinzione tra i concetti di insegnamento, di istruzione e di educazione, comprendendo nel primo l’attività del docente diretta a impartire cognizioni ai discenti nei vari rami del sapere, nel secondo l’effetto intellettivo di tale¶{p. 124}attività e nel terzo l’effetto finale complessivo e formativo della persona in tutti i suoi aspetti [14] .
Il fatto che l’educazione si
riferisca alla globalità della persona umana richiama immediatamente quanto previsto
dall’art. 3 della Costituzione, in cui, al secondo comma, si afferma che:
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Da un lato, dal punto di vista
sostanziale, la povertà educativa impedisce alla persona umana di svilupparsi nella sua
totalità e nella sua pienezza e – per utilizzare un approccio che ha conosciuto una
notevole fortuna negli ultimi decenni – ostacola il fiorire delle capacità di ciascun consociato
[15]
.
Dall’altro, se alla solidarietà
politica, economica e sociale possono essere fatte corrispondere altrettante tipologie
di povertà, ciascuna di queste ultime rappresenta un fattore di esclusione da un
particolare aspetto organizzativo del paese: schematicamente, la povertà sociale (cui,
come detto supra, la povertà educativa può essere ricondotta)
costituisce, in ¶{p. 125}primo luogo, un ostacolo alla partecipazione
all’organizzazione sociale; ma sul punto si tornerà ancora più avanti
[16]
.
Infine, pragmaticamente, utilizzare
la locuzione «povertà educativa» impone, come anticipato, di rifiutare radicalmente
l’idea che il contrastarla possa limitarsi all’ambito scolastico: si tratta di una
species di povertà che investe di responsabilità la Repubblica
nel suo complesso.
Quanto appena rilevato, poi, si
salda con il fatto che la scuola – è stato osservato – può essere intesa «come
“comunità” o, come forse si potrebbe azzardare, come “formazione sociale” o, quantomeno,
come “realtà comunitaria” sia al suo interno sia in quanto orientata verso l’esterno,
verso quel contesto sociale di cui fa parte e a cui deve riferirsi per compiere la sua
missione educativa»
[17]
. Se questo è vero, allora è fisiologico guardare alla povertà educativa come
un qualcosa che attiene sì alla scuola, certamente, ma – dato il carattere «aperto e
comunicante» di quest’ultima – a una «più ampia comunità di riferimento», che può essere
individuata in un livello apicale (la comunità nazionale) o, in maniera «più concreta e
attuale», nella comunità locale: si è sottolineato che «è soprattutto a livello
territoriale che la scuola può emergere come fattore di costruzione di un tessuto
sociale di caratura sussidiaria», all’interno del quale la scuola, assieme alla
famiglia, all’associazionismo, agli enti locali e ai soggetti toccati dalle dinamiche
della partecipazione politica, dovrebbe concorrere «ad affrontare le varie sfide
dell’emergenza educativa»
[18]
.
Alla povertà educativa, quindi,
bisogna rispondere con ¶{p. 126}quante più risorse umane, economiche e
sociali sia possibile mobilitare; e quindi, se – dal punto di vista sostanziale – la
povertà educativa va analizzata tenendo conto dei principi e dei valori apicali
dell’ordinamento, le politiche tese a contrastarla dovranno essere ancorate, quindi, al
principio di sussidiarietà, tanto verticale, quanto orizzontale, così come definito dal
quarto comma dell’art. 118 Cost. In tempi recenti, con riferimento a una questione
relativa alla vita scolastica (nello specifico, all’esposizione del crocifisso nelle
aule scolastiche), la Corte di cassazione ha avuto modo di osservare che proprio il
principio di sussidiarietà orizzontale deve fungere da criterio di composizione dei
possibili conflitti presenti all’interno della comunità scolastica
[19]
. Ma se il principio di sussidiarietà orizzontale, come gli altri principi di
rango costituzionale, non può essere lasciato fuori dalle aule scolastiche, tantomeno se
ne può trascurare la rilevanza nel momento in cui si debbano elaborare le risposte alla
povertà educativa, che – come abbiamo visto – va contrastata tanto all’interno delle
mura scolastiche, quanto al loro esterno. È in relazione a questo principio
costituzionale e alle declinazioni che di esso hanno dato il legislatore e la Corte
costituzionale che vanno inquadrate l’idea, spesso evocata, di «comunità educante»
[20]
e la tensione «a non creare isolamento tra i singoli segmenti di tale
comunità», all’interno di un complesso intreccio in cui si rinvengono tanto il tema
della libertà scolastica e quello del carattere comunitario del fenomeno educativo,
quanto il tentativo di generare dina¶{p. 127}miche
democratico-partecipative all’interno dell’istituzione scolastica, per superarne
l’arretratezza e il centralismo
[21]
.
Peraltro, si deve rilevare che le
radici dell’idea di «comunità educante» affondano in un momento storico particolare
[22]
, nel quale si ponevano in discussione tempi e spazi dell’educazione e in
cui, emblematicamente, un Rapporto intitolato Learning to Be: The World of
Education Today and Tomorrow, redatto per conto dell’Unesco da una
commissione guidata da Edgar Faure e pubblicato nel 1972, poneva in grande evidenza due
nozioni, quella di éducation permanente e quella di cité
éducative. Soffermandoci su quest’ultimo concetto, nel Rapporto in
questione, riprendendo una suggestione derivante da un’affermazione di Plutarco circa il
ruolo della città nell’educazione dei giovani, si affermava che:
Au lieu de déléguer les pouvoirs à une structure unique, verticalement hiérarchisée et constituant un corps distinct à l’intérieur de la société, c’est tous les groupes, associations, syndicats, collectivités locales, corps intermédiaires, qui doivent prendre en charge, pour leur part, une responsabilité éducative [23] .
Una responsabilità educativa
diffusa, quindi: in termini costituzionali, si tratta di un approccio in linea con il
principio di sussidiarietà appena evocato.
A più di cinquant’anni di distanza,
molte delle suggestioni del Rapporto Faure non sembrano aver perso la loro efficacia,
sia perché le sfide educative con cui le società contemporanee devono misurarsi non
sembrano essere sostanzialmente mutate, sia perché gli avvenimenti degli ultimi cinque
anni (e, in particolare, la pandemia da Covid-19) ¶{p. 128}hanno
nuovamente messo in risalto la necessità di un patto sociale rinnovato, relativo anche all’educazione
[24]
.
In tempi più recenti, quindi, la
commissione internazionale sul futuro dell’educazione, ha elaborato, sempre per conto
dell’Unesco, un nuovo Rapporto, intitolato Re-immaginare i nostri futuri
insieme. Un nuovo contratto sociale per l’educazione e pubblicato nel 2021
[25]
; e fra i principi fondamentali individuati in tal sede compaiono la
necessità di garantire il diritto a un’educazione di qualità per tutto l’arco della vita
e il bisogno di «rafforzare l’educazione come sforzo pubblico e come bene comune». In
particolare, si sottolinea che «in quanto sforzo sociale condiviso, l’educazione
costruisce scopi comuni e consente agli individui e alle comunità di prosperare
insieme»; inoltre, si evidenzia che «un nuovo contratto sociale per l’educazione non
deve solo garantire finanziamenti pubblici per l’educazione, ma [deve] anche includere
un impegno a livello di società per comprendere tutti nelle discussioni pubbliche
sull’educazione», funzionale al rafforzamento dell’educazione come bene comune. Più
avanti, all’interno del medesimo documento, si legge che «in quanto progetto sociale,
l’educazione coinvolge molti attori diversi nella sua gestione e amministrazione», che
«voci e prospettive diverse devono essere integrate nelle politiche e nei processi
decisionali» in linea con «l’attuale tendenza verso un maggiore e più diversificato
coinvolgimento non statale nella definizione delle politiche educative» (p. 2). Ciò
rende opportuno «il coinvolgimento di insegnanti, movimenti giovanili, gruppi
comunitari, fondazioni, organizzazioni non governative, imprese, associazioni
professionali, filantropi, istituzioni religiose e movimenti sociali», dal momento che
¶{p. 129}questo «può rafforzare l’equità, la qualità e la rilevanza
dell’educazione»; inoltre, si sottolinea che «[g]li attori non statali svolgono un ruolo
importante nel garantire il diritto all’educazione, salvaguardando i principi di non
discriminazione, pari opportunità e giustizia sociale» (p. 13)
[26]
.
Note
[14] Così Corte cost., sent. n. 7/1967; il passaggio qui riportato è al punto 3 del considerato in diritto. Sulla distinzione in questione si è scritto, a partire dall’art. 33 Cost., che «Ai soggetti pubblici, per il tramite delle scuole, pertiene essenzialmente la funzione di istruzione degli studenti, che è cosa diversa dall’educazione»: così A. Sandulli, Scuola e istruzione, in Enciclopedia del diritto, I tematici, III, Milano, Giuffrè, 2022, pp. 1015-1037; il passaggio qui riportato è nella pagina iniziale.
[15] L’approccio a cui ci si riferisce è, appunto, quello delle capabilities, messo a punto da Amartya K. Sen e da Martha C. Nussbaum. Sul rapporto fra l’approccio in parola e il fenomeno giuridico, cfr. ex plurimis M.C. Nussbaum, Capabilities and Constitutional Law: «Perception» against Lofty Formalism, in «Journal of Human Development», 10, 3, 2009, pp. 341-357; A.K. Sen, Human Rights and Capabilities, in «Journal of Human Development», 6, 2, 2005, pp. 151-166.
[16] Sul punto, cfr. T. Groppi, Scuola e costituzione in Italia. Una lettura nella prospettiva del costituzionalismo trasformatore, in «Rivista AIC», 1, 2024, pp. 426-415 (ma in particolare pp. 432-436).
[17] Cfr. L. Violini, La scuola come comunità? Modelli per una riorganizzazione, in «Diritto costituzionale», 3, 2021, pp. 111-124; il passo qui citato è a p. 113; sul punto, l’autrice in questione richiama anche le osservazioni di L. Conte, La scuola nella democrazia. La democrazia nella scuola, Napoli, Editoriale Scientifica, 2020. Sulla scuola come formazione sociale cfr. anche A. Pizzorusso, La comunità scolastica nell’ordinamento repubblicano, in «Foro Italiano», 98, 10, 1975, pp. 221-228.
[18] Cfr. Violini, La scuola come comunità?, cit., p. 114.
[19] E questo – rileva la Suprema corte – perché, anche in ambito scolastico, «c’è ora spazio per una interpretazione estensiva in direzione della pluralità dei simboli, ispirata a un universalismo concreto, fondato empiricamente e democraticamente responsivo rispetto alla mutata composizione etnica e quindi anche religiosa della popolazione»; cfr. Cass. civ. s.u., sent. n. 24414 del 9 settembre 2021; sulla sentenza in parola, cfr. M. Parisi, Crocifisso a scuola e «accomodamento ragionevole» nelle argomentazioni della Corte di Cassazione, in «Politica del diritto», 4, 2022, pp. 523-552.
[20] Sui cui tratti peculiari, cfr. almeno F. Zamengo e N. Valenzano, Pratiche di comunità educanti. Pensiero riflessivo e spazi condivisi di educazione fra adulti, in «Ricerche pedagogiche», LII, 208-209, pp. 345-364.
[21] Cfr. ancora Violini, La scuola come comunità?, cit., p. 118.
[22] Lo sottolineano, in questi termini, anche Zamengo e Valenzano, Pratiche di comunità educanti, cit., pp. 350-351.
[23] «Anziché delegare poteri a un’unica struttura, verticalmente gerarchica e costituente un organismo distinto all’interno della società, sono tutti i gruppi, le associazioni, i sindacati, gli enti locali, gli enti intermedi, che devono farsi carico, da parte loro, di una responsabilità educativa» (la traduzione è di chi scrive).
[24] Lo sottolinea con efficacia R. Locatelli, Faure’s New Social Contract Fifty Years Later: Promises and Evolutions, in «International Review of Education», 68, 2022, pp. 731-746. Sulla scuola italiana durante la pandemia da Covid-19, cfr. G. Laneve (a cura di), La scuola nella pandemia. Dialogo multidisciplinare, Macerata, Eum, 2020.
[25] Il Rapporto in questione è disponibile in open access sul sito web istituzionale dell’Unesco; anche la versione in lingua italiana, pubblicata nel 2023 dalla casa editrice La Scuola, è disponibile nell’Archivio Unesco a libero accesso.
[26] Si veda, in particolare, a pp. 51-64.