Viaggio nelle character skills
DOI: 10.1401/9788815366962/c2
3) le modalità di
apprendimento potenzialmente efficaci – il «processo». I diversi sistemi
scolastici comportano
¶{p. 58}anche diverse forme d’interazione sensata,
socialmente e moralmente accettabile per docenti e alunni.
Questa specificazione culturale si
proietta su ciascuna delle competenze in questione, risultando in profili di
carattere sottilmente o marcatamente differenti. Essa, inoltre, ha
necessariamente un impatto a diversi livelli: sull’effettivo contenuto dei programmi di
SEL rivolti a studenti di diverse culture o sull’insegnamento implicito che si svolga
con questa intenzionalità, ma anche sul contesto familiare e comunitario e sulle culture
professionali coinvolte nei processi educativi. Sotto questo profilo, non è facile
selezionare un criterio interpretativo unico, coerente e sistematico.
Alcuni esempi possono servire come
spunti di riflessione. Viene in conto, in primo luogo, la distinzione
individualismo/collettivismo. Non è certo il caso di
ripercorrerne il profilo e la storia; basti qui osservare che essa colora evidentemente
di sé ogni virtù e competenza. Un esempio è il decision making: gli
individui possono essere più o meno legati alle lealtà di gruppo, possono tendere a
coinvolgere altri nelle loro decisioni a diversi livelli e prendere con maggiore o
minore difficoltà decisioni contrarie agli interessi del gruppo o di alcuni suoi membri
[29]
. Un esempio correlato riguarda la gestione della propria assertività. In
questo caso, l’individualista tenderà a comportamenti di tipo
(auto)promozionale, cioè a mettere in luce
sé stesso e le proprie qualità, mentre in culture più collettiviste il focus è
preventivo, cioè la rinuncia a un’eccessiva esposizione
individuale, che comporterebbe il rischio di essere socialmente sanzionata. Altri
aspetti delle regole d’interazione riguardano il rispetto e le relative
¶{p. 59}formalità, la capacità di assumere la prospettiva altrui e la
gestione dell’espressione delle proprie opinioni in contesti culturalmente plurali.
Un approccio culturalmente sensibile
alle SES comporta assumere consapevolmente queste dimensioni, esplicitando le proprie
opzioni e individuandole in base a determinate priorità culturali e identitarie. Per la
maggior parte dei programmi SEL, e ancor più per l’insegnamento implicito di competenze
caratteriali, questo lavoro rimane in gran parte da compiere. È proprio questa carenza
che dà adito a critiche come quella di Hoffman
[30]
, secondo cui il SEL sarebbe una sorta di continuazione dell’individualismo
occidentale moderno con altri mezzi.
Da queste considerazioni occorre
trarre le conseguenze, laddove si pensi a modelli d’intervento o a un qualche livello di
generalizzazione e standardizzazione degli stessi. Le ricerche su questo tema spesso
ragionano a partire dalla nozione di «adattamento»
[31]
. Questo comprende spesso l’entrare in relazione con vari
stakeholder, ad esempio famiglie e comunità, e attraverso
queste relazioni modificare i programmi d’insegnamento. Secondo le rassegne empiriche,
il lavoro culturale più profondo, che consiste nel sintonizzare e coordinare metafore,
concetti e finalità stesse del SEL con le identità culturali coinvolte, è invece meno
frequente. Ma è su queste dimensioni, tutte insieme, e sulla capacità di
¶{p. 60}cercare l’universalità attraverso le particolarità, che si
giocherà la caratura educativa degli interventi e dei programmi.
4. Le «character skills» nel processo di socializzazione
Il nostro filo argomentativo ha
identificato il contesto e le sfide societarie che generano e implicano lo sviluppo
delle SES, come bisogno educativo profondo. La formula riassuntiva è che i processi
educativi devono fronteggiare una situazione di eccesso, di iper-complessità relazionale
e d’incoerenza normativa. Abbiamo, inoltre, evidenziato la dimensione culturale latente
di questo discorso educativo. È emersa anche la complementarità delle prospettive di SES
e «carattere», poiché il focus sull’alunno «tutto intero» tiene insieme scopo e
prestazione, senso ed efficacia esecutiva.
Le dimensioni problematiche sono
molteplici. Ad esempio, come si può identificare ciò che ha valore duraturo e assumere
impegni a lungo termine, in una società focalizzata sul breve periodo? Come si possono
sostenere lealtà e impegni reciproci entro organizzazioni che vanno disgregandosi e
riaggregandosi continuamente? In questo scenario l’educazione deve creare interesse
intrinseco per l’apprendimento ed elaborarne il nesso con la vita e le sue opportunità.
Queste sfide, dunque, chiamano in causa un complesso nodo di capacità cognitive,
affettive, comportamentali e relazionali.
Molte conseguenze derivano da queste
considerazioni. Mi soffermo qui brevemente su un modo di pensare il processo di
socializzazione che appare compatibile con gli obiettivi educativi in questione.
Indicherò, inoltre, alcune schematiche linee orientative che riguardano la
corrispondente strutturazione degli ambienti scolastici. La tesi è che la centratura
sulle SES s’innesti su un processo a lungo termine, e a sua volta lo rafforzi,
attraverso cui si va trasformando l’esperienza pratico-sociale e la comprensione teorica
della socializzazione.
È noto che, nella visione classica
della tradizione sociologica, la socializzazione consiste nel «processo attraverso
¶{p. 61}il quale gli individui interiorizzano i valori, le credenze e le
norme di una società e imparano a operare come suoi membri»
[32]
. Le scienze sociali hanno registrato i cambiamenti strutturali e culturali
di cui si è detto, mantenendo l’idea fondamentale che le strutture della coscienza
individuale dipendano (anche) dalle condizioni storico-sociali, ma
producendo una teoria chiaramente «orientata al soggetto»
[33]
, cioè sottolineando l’autonomia e la riflessività personale dei soggetti. Le
scienze sociali hanno dunque reagito al cambiamento delle condizioni socioculturali
soprattutto prendendo le distanze dal sociocentrismo. L’enfasi cade sempre più su
agency e libertà personale. Tuttavia,
l’obiettivo della socializzazione e il meccanismo di
mediazione tra il sociale e l’umano sono divenuti sempre meno
determinati.
Sotto questo profilo,
l’insight più promettente consiste, a mio avviso, nell’idea che
l’identità umana matura sia radicata in una fondamentale relazione d’interesse
intrinseco
[34]
con gli altri e con le cose. La nozione centrale è quella di relazione con i
vari aspetti della realtà, che fa nascere nel soggetto premure –
preoccupazioni, cure, interesse, investimento di sé – e con ciò richiede-e-sviluppa una
serie di disposizioni e abilità relative. Queste relazioni sono, infatti, inevitabili
sul piano esistenziale, perché costituiscono il nostro legame con la realtà, ma la loro
qualità può essere differente, diversi condizionamenti possono facilitarle oppure
ostacolarle, fino ad alienare le persone dal mondo. L’esito – l’identità personale e
sociale – è più che mai incerto e soggetto a ¶{p. 62}continua revisione.
È appunto in questo «gioco» identitario della costruzione e riflessione su sé stessi in
relazione al mondo che le SES entrano in campo. Lo si può vedere ripercorrendo
sinteticamente i passaggi essenziali del processo, come sono presentati nel modello di Archer
[35]
, che mi pare convergente con il nostro argomento. Li riformulo qui in senso
intenzionalmente normativo, per sottolineare la loro valenza sul piano educativo:
a) le pratiche
educative possono favorire od ostacolare il contatto con le varie dimensioni della
realtà: pratica, naturale e sociale. In diverse culture, a queste si aggiunge la
dimensione spirituale, variamente intesa. L’accesso a esse è radicato nelle disposizioni
umane basilari, ma deve anche essere socialmente (ed educativamente) mediato,
sviluppando capacità di percezione, sensibilità o in-sensibilità per i vari aspetti del
reale;
b) queste
relazioni generano emozioni, che riflessivamente mediate sviluppano premure
(concern), e la corrispondente volontà di perseguirle. La
capacità di appassionarsi a un obiettivo è, qui, una caratteristica centrale;
c) ciò avviene
nel quadro di condizionamenti e limiti di varia natura, che chiamano in causa capacità
di adattamento come di perseveranza;
d) la selezione
tra varie premure dà progressivamente forma a uno stile di vita (per dirla con Archer,
un modus vivendi), in cui le priorità personali sono identificate,
gerarchizzate e messe in atto;
e) tutto ciò
avviene insieme ad altri, assumendo ruoli sociali e resistendo a fallimenti, tornando
riflessivamente su di sé e sulle proprie scelte. Occorre dunque saper mantenere un
impegno di lungo periodo, integrarsi con altri, essere resilienti rispetto alle fasi
problematiche, rimanere aperti al ri-pensamento e allo stesso tempo accettare l’unicità
del proprio corso di vita.
L’educazione deve dunque promuovere
un processo di discernimento, deliberazione e
dedizione che si attua
¶{p. 63}attraverso la
riflessività personale e che è reso possibile e sostenibile nel tempo dalle proprie
capacità. Queste rimandano evidentemente alle SES, nelle loro varie articolazioni e
definizioni, che il lettore attento non faticherà a connettere con i passaggi appena
elencati. Inoltre, il processo che ho schematizzato non può semplicemente accadere, ma
si sviluppa meglio o peggio e in modi diversi (anche) attraverso pratiche e relazioni
educative, che accompagnano le persone nel percorso. Aiutare le persone a entrare in
contatto sensato con la realtà, a riconoscere e dare un senso alle emozioni che essa
suscita, a sviluppare un interesse intrinseco che prende una certa direzione; saper
selezionare, perseguire e adattare i propri progetti alla realtà, far crescere le
capacità necessarie a sopportare le fatiche e i fallimenti, riflettere realisticamente
sul proprio percorso: tutto questo è un programma formativo – nel senso più integrale
del termine – in cui le SES sono fattori abilitanti fondamentali.
Note
[29] Hecht e Shin ne riconoscono l’importanza, ma sembrano concludere, in modo piuttosto paradossale dato l’intento «multiculturale» del loro approccio, che autonomia e razionalità stiano dal lato dell’individualismo (M.L. Hecht e Y. Shin, Culture and Social and Emotional Competencies, cit., pp. 57-58). Segnalo di passaggio che questa dimensione ha a che fare con le modalità riflessive di M.S. Archer, Structure, Agency and the Internal Conversation, Cambridge, Cambridge University Press, 2003; trad. it. La conversazione interiore. Come nasce l’agire sociale, Trento, Erickson, 2006. Il nesso tra queste due modellizzazioni è un tema interessante, che rimane da svolgere per una teoria della socializzazione.
[30] D.M. Hoffman, Reflecting on Social Emotional Learning: A Critical Perspective on Trends in the United States, in «Review of Educational Research», 79, 2, 2009, pp. 533-556.
[31] C. Brown, D.M. Maggin e M. Buren, Systematic Review of Cultural Adaptations of School-based Social, Emotional, and Behavioral Interventions for Students of Color, in «Education and Treatment of Children», 41, 4, 2018, pp. 431-456; P.W. Garner, D. Mahatmya, E.L. Brown e C.K. Vesely, Promoting Desirable Outcomes among Culturally and Ethnically Diverse Children in Social Emotional Learning Programs: A Multilevel Heuristic Model, in «Educational Psychology Review», 26, 2014, pp. 165-189; M. Koivula, M-L. Laakso, R. Viitala, M. Neitola, M. Hess e H. Scheithauer, Adaptation and Implementation of the German Social-emotional Learning Programme Papilio in Finland: A Pilot Study, in «International Journal of Psychology», 55, 1, 2020, pp. 60-69.
[32] C. Calhoun (a cura di), Dictionary of the Social Sciences, Oxford, Oxford University Press, 2002, p. 447.
[33] D. Geulen, Subjektorientierte Sozialisationstheorie. Sozialisation als Epigenese des Subjekts in Interaktion mit der gesellschaftlichen Umwelt, Weinheim-München, Juventa Verlag, 2005; A. Maccarini, Riflessività e identità nella società morfogenetica: ipotesi su una nuova paideia, in «Sociologia e politiche sociali», 2, 2016, pp. 9-33.
[34] Per dirla con Archer, una relation of concern (cfr. Being Human. The Problem of Agency, Cambridge, Cambridge University Press, 2000; trad. it. Essere umani. Il problema dell’agire, Genova-Milano, Marietti, 2007; Structure, Agency and the Internal Conversation, cit.). L’idea si avvicina al concetto di risonanza (H. Rosa, Resonanz. Eine Soziologie der Weltbeziehung, cit., con riferimento al nostro tema soprattutto pp. 246-298).
[35] M.S. Archer, Being Human. The Problem of Agency, cit.; Id., Structure, Agency and the Internal Conversation, cit.