Viaggio nelle character skills
DOI: 10.1401/9788815366962/c2
Il secondo problema riguarda
l’integrazione di una capacità di prestazione e di una dimensione morale. La maggior
parte delle definizioni confonde i due aspetti in modo non riflessivo. Si dice, ad
esempio, che le SES implicano la capacità di sviluppare cura e premura per gli altri e
gestire situazioni difficili in modo etico e costruttivo
[8]
. Naturalmente, questa idea chiama in causa atteggiamenti che eccedono la
«competenza» e portano nella sfera degli impegni al valore. Ad esempio, le ricerche
indicano una correlazione tra alti livelli di SES e calo dei comportamenti criminali, ma
avere un’elevata intelligenza emotiva non significa immediatamente che un giovane tenga
comportamenti moralmente irreprensibili. Gli individui che commettono atti di bullismo o
di mobbing – a scuola o in un’azienda – sono spesso abili
manipolatori, capaci di piegare le dinamiche sociali di un gruppo ai loro scopi. Senza
la dimensione morale, le SES costituiscono un arsenale di capacità operative senza un
chiaro obiettivo positivo
[9]
. Il SEL diventerebbe dunque una sorta di antropotecnica
[10]
, il cui nesso con l’etica rimane da chiarire e rimanda a un processo di
socializzazione complessiva della persona. Questo problema chiama in causa il
¶{p. 48}concetto di carattere (character), che
esprime qualità personali molto prossime a quelle definite come SES, ma entro una
semantica eticamente qualificata
[11]
. La distinzione tra performance character e
moral character
[12]
– entrambe dotate di una dimensione cognitiva, una affettiva e una
comportamentale – formula appunto questa differenza-e-relazione, per cui tratti e
disposizioni capacitanti sono necessarie come condizioni perché
comportamenti moralmente positivi emergano e vengano applicati
adeguatamente in vari contesti e situazioni. I beni individuali e collettivi che
costituiscono le aspettative sociali centrali per il SEL emergono, quindi, per relazione
tra queste due dimensioni. È in questo senso che si parla talora di character
skills
[13]
.
Date queste premesse, è naturale che
think tank, ricercatori ed esperti – in ambito educativo,
aziendale o accademico – abbiano prodotto una notevole ridondanza di termini per
designare le competenze oggetto del SEL. Mi limito qui a ricordarne rapidamente alcune
tra le principali. La P21 (Partnership for 21st Century Skills) ha
affermato le cosiddette «quattro C»: pensiero critico, comunicazione, collaborazione e
creatività. Il già citato CASEL si basa su cinque cluster di
competenze: si tratta di autoconsapevolezza (self-awareness),
gestione di sé (self-management), consapevolezza sociale
(social awareness, un tratto che si avvicina alla capacità di
¶{p. 49}assumere cognitivamente la prospettiva altrui), competenze
relazionali e capacità di prendere decisioni responsabili. Nel celebre testo di Tony
Wagner, The Global Achievement Gap
[14]
, sono elencate sette «competenze per la sopravvivenza»: problem
solving e pensiero critico, collaborazione con reti diverse e capacità di
leadership, flessibilità e adattabilità, iniziativa e imprenditorialità, efficacia
comunicativa (orale e scritta), capacità di accedere e analizzare informazioni,
curiosità e immaginazione. Le recenti elaborazioni in sede OECD sistematizzano il
discorso in cinque dimensioni, denominate collaborazione, esecuzione di un compito,
regolazione delle emozioni, ingaggio con gli altri e apertura mentale
[15]
. Queste corrisponderebbero approssimativamente alle cinque dimensioni del
cosiddetto modello Big Five per lo studio della personalità, al
tempo stesso modificandolo.
L’obiettivo di questo capitolo non è
discutere le varie tassonomie. Il punto è comprendere che questa complessità di
riflessione, espressa nel pensiero educativo, rimanda a un fenomeno socioculturale
altrettanto complesso, che pone ai processi di apprendimento dilemmi e condizioni di
esistenza stringenti.
2. Struttura della società e pressione sull’umano
Le competenze socioemotive, o
caratteriali, manifestano una rinnovata enfasi sul soggetto umano «tutto intero» come
medium e forma dei processi educativi. I
vari elenchi di skills – non sempre rigorosamente riconducibili
alla nozione di «competenza» – che ho rapidamente ricordato illustrano questa
situazione. Nel pensiero educativo, questa intensificazione della riflessione sul
soggetto umano è senz’altro una messa in valore, ma anche una sfida.
Per capirlo è utile partire da
alcune tendenze strutturali della società globale che mettono in
crisi culture, processi ¶{p. 50}e istituzioni educative
[16]
. Al cuore di questi processi sta l’innovazione scientifico-tecnologica, con
le trasformazioni che produce nel lavoro e negli ambienti organizzativi professionali.
La portata del cambiamento è, tuttavia, molto vasta. Più analiticamente, tre ordini di
fenomeni hanno conseguenze particolarmente importanti nella sfera educativa:
a) l’esplosione
delle possibilità di esperienza e d’azione. La maggiore complessità sociale assume una
forma specifica, che consiste nel moltiplicarsi delle possibilità combinatorie di agire
ed esperire. La dinamica delle società avanzate implica la crescita delle opzioni
possibili in ogni snodo del corso di vita – a partire dal percorso educativo. Tutto ciò
accresce la centralità della risorsa umana e complica i requisiti dei «poteri» a essa
richiesti, che entrano nel discorso educativo attraverso concetti quali creatività,
pensiero critico, capacità di problem solving, ecc.;
b)
l’accelerazione della vita sociale a tutti i livelli (interazione, organizzazione e
strutture macro-sociali). La teoria dell’accelerazione interpreta il mutamento sociale a
partire dal cambiamento dei ritmi di vita, individuali e collettivi. Al livello
dell’interazione, l’accelerazione implica l’incremento delle esperienze e azioni
possibili, e richieste, in una unità di tempo. Ma sono anche le
dinamiche organizzative e le strutture temporali della società a essere scosse,
distruggendo vecchi equilibri: si pensi ad esempio al bilancio temporale
famiglia/lavoro, alla traiettoria delle biografie personali, e altro ancora
[17]
;
c) la
saturazione dello spazio materiale e simbolico. Questo elemento chiama in causa
soprattutto l’enorme crescita delle reti comunicative, soprattutto tecnologicamente
mediate, che reclamano sempre maggiore spazio nelle vite dei soggetti e distraggono o
intrattengono i sistemi psichici a ¶{p. 51}livelli prima sconosciuti.
Insieme alla «finitudine» degli spazi fisici, questo fenomeno genera un ambiente
comunicativo, simbolico e fisico sempre più denso per gli individui delle società
avanzate.
Le conseguenze sul piano della
formazione personale sono esprimibili attraverso i tre temi del vuoto
normativo, dell’eccesso e dell’intensità
d’interazione con la tecnologia.
La crisi della continuità e della
congruità dei contesti di vita entro cui le persone sono socializzate e l’emergere
continuo di situazioni nuove mettono in crisi l’azione di routine,
provocando l’espansione della riflessività
[18]
. Le persone possono sempre meno trovare una guida
normativa coerente per le loro azioni nelle varie agenzie di
socializzazione. Di conseguenza, devono sempre più basarsi sulla propria riflessività
personale, sulla propria capacità di valutare i propri progetti di vita in relazione al
mondo che cambia. La necessità di selezionare tra molteplici esperienze e azioni
possibili genera il bisogno di efficacia progettuale e decisionale.
L’idea di
eccesso
[19]
implica, in linea generale, una soverchiante quantità d’informazioni da
processare, quindi scelte da operare, sforzo e prestazioni richieste, e relative
competenze da sviluppare. In campo educativo, un esempio palese riguarda la
ridefinizione del curriculum e la moltiplicazione tendenziale di
tutto ciò che «si deve» imparare.
L’impatto della
tecnologia in ogni ambito della vita quotidiana, con
l’automazione di sempre più funzioni e sempre più avanzate, comporta una sfida alle
competenze umane in vari ambiti lavorativi
[20]
. La reazione sul piano formativo si focalizza sui seguenti
punti:¶{p. 52}
a) si enfatizza
l’acquisizione di competenze e comportamenti non di routine e non-standard, preparando
gli studenti al problem solving e a fornire servizi professionali
personalizzati;
b) occorre
sviluppare competenze di tipo empatico e relazionale. Le forme di alfabetizzazione
analitiche e strettamente cognitive (literacy e
numeracy) implicano limiti alle possibilità di miglioramento,
specialmente se applicate ad ampi strati di popolazione, il che le rende vulnerabili
alla competizione da parte delle tecnologie. Le competenze sociali ed emotive, invece,
non possono essere sostituite – se non nelle prospettive (per ora) fantascientifiche dei
post-umanisti – dalle macchine e dall’intelligenza artificiale.
In sintesi, la situazione attuale
comporta una forte e multidimensionale pressione sul soggetto
umano. La società appare sempre più esigente circa lo sforzo personale
richiesto per partecipare ai processi e alla vita sociale in ogni ambito:
dall’istruzione al lavoro, dalla salute alla vita civica, e così via. L’idea di
performance non è più limitata alla sfera dell’economia e del mercato. Attivazione,
mobilitazione, iniziativa, adattamento e investimento di sé sono requisiti fondamentali
in ogni campo della vita sociale
[21]
. Il soggetto umano è sollecitato alla massima mobilitazione, alla
ottimizzazione senza residui – in linea di principio – di tutte
le sue proprietà psichiche, fisiche e morali. La frontiera passa per forme sempre più
innovative di lavoro su sé stessi
[22]
, negli aspetti di self-management e di cooperazione
interpersonale. Al tempo stesso, la società mostra, in questa fase, una capacità
decrescente di costruire o rigenerare istituzioni efficaci che supportino questo sforzo.
Partecipare a istituzioni e alle loro forme di vita organizzata, percorrere una
«carriera» entro gli argini consolidati dei percorsi di vita che queste
disegna
¶{p. 53}no – ad esempio completare un
curriculum, o fare parte di un’organizzazione – è ormai sempre
meno rilevante. In questo senso la società globale è sempre più una skills
society, una società che pone al soggetto umano requisiti stringenti per
poterla abitare, e che dispone forme di marginalizzazione sociale corrispondenti legate
alla in-competenza.
Note
[8] CASEL (Collaborative for Academic, Social and Emotional Learning), What is Social and Emotional Learning (SEL)?, http://casel.org/why-it-matters/what-is-sel, 2013.
[9] Analoghe considerazioni valgono per il concetto di capitale sociale e sono emerse ad esempio nel dibattito sul suo nesso con le organizzazioni criminali.
[10] P. Sloterdijk, Devi cambiare la tua vita, Milano, Raffaello Cortina, 2015.
[11] J. Arthur, The Re-emergence of Character Education in British Education Policy, in «British Journal of Educational Studies», 53, 3, 2005, pp. 239-254; Id., Traditional Approaches to Character Education in Britain and America, in L. Nucci, D. Narvaez e T. Krettenauer (a cura di), Handbook of Moral and Character Education, London-New York, Routledge, 2014, pp. 43-60.
[12] M.W. Berkowitz, Leading Schools of Character, in A.M. Blankstein e P.D. Houston (a cura di), Leadership for Social Justice and Democracy in Our Schools, Thousand Oaks, Corwin Press, 2011, pp. 93-121; S. Seider, Character Compass: How Powerful School Culture Can Point Students toward Success, Cambridge, Harvard University Press, 2012.
[13] Quanto al carattere e alle SES, chiarirne in modo esauriente divergenze e connessioni richiederebbe uno spazio ulteriore. Per una riflessione in merito mi permetto di rimandare a A. Maccarini, Deep Change and Emergent Structures in Global Society. Explorations in Social Morphogenesis, Dordrecht, Springer, 2019, cap. 8, soprattutto pp. 230-247.
[14] T. Wagner, The Global Achievement Gap. Why Even Our Best Schools Don’t Teach the New Survival Skills Our Children Need. And What We Can Do about It, New York, Basic Books, 2010.
[15] O.P. John e F. De Fruyt, Education for Social Progress, cit.
[16] In questo paragrafo riprendo parzialmente, e in una diversa connessione, alcune argomentazioni relative alla cosiddetta società morfogenetica e alla sua logica dell’opportunità svolte in M. Maccarini, Deep Change and Emergent Structures in Global Society, cit.
[17] Tra i molteplici riferimenti mi limito a rinviare a H. Rosa, Social Acceleration. A New Theory of Modernity, New York, Columbia University Press, 2013.
[18] Quello che in vari lavori M.S. Archer (ad es. The Reflexive Imperative in Late Modernity, Cambridge, Cambridge University Press, 2012) ha definito l’imperativo riflessivo.
[19] A. Abbott, The Problem of Excess, in «Sociological Theory», 32, 1, 2014, pp. 1-26.
[20] Si veda ad esempio, nel quadro di una letteratura estesissima, S.W. Elliott, Computers and the Future of Skill Demand, Paris, OECD Publishing, 2017; S.W. Elliott, Projecting the Impact of Information Technology on Work and Skills in the 2030s, in J. Buchanan, D. Finegold, K. Mayhew e C. Warhurst (a cura di), The Oxford Handbook of Skills and Training, Oxford, Oxford University Press, 2017.
[21] La dinamica dei sistemi di welfare europei – con la nozione di politiche «attive» per l’autoprotezione dai rischi – costituisce un esempio istruttivo.
[22] H. Rosa, Resonanz. Eine Soziologie der Weltbeziehung, Frankfurt, Suhrkamp, 2016.