Viaggio nelle character skills
DOI: 10.1401/9788815366962/c7
Nel corso degli ultimi anni la
domanda delle imprese sottolinea con sempre maggiore insistenza la rilevanza delle SES.
La «flessibilità e capacità di adattamento» è in assoluto
¶{p. 163}la
più richiesta ed è considerata di importanza elevata per il 63% delle entrate: una forte
rilevanza che vale per tutte le professioni, persino per quelle meno qualificate, ma il
suo possesso è decisivo anche in almeno 4 entrate su 5 per le figure tecniche e
specializzate.
Il punto di vista delle imprese
richiede un approccio nuovo per la definizione e classificazione delle figure
professionali, che tiene conto di un approccio multidimensionale, in cui ogni
professione è definita da un insieme di elementi dosati secondo schemi soggetti a molta
variabilità, composti da scolarità, competenze tecniche, digitali, green, ma dove le
competenze trasversali, relazionali, ecc. sempre più sono considerate precondizione per
il colloquio di lavoro.
Un esercizio utile è navigare nei
siti delle principali società di recruiting. In tutte le loro
pagine di «Consigli per la compilazione dei cv», si sottolinea l’importanza di segnalare
le proprie SES. Ad esempio per Adecco
[15]
, le abi¶{p. 164}lità che le aziende cercano di più sono:
saper comunicare efficacemente, saper lavorare in
gruppo ed essere in grado di tenere testa allo
stress. Vengono suggerite poi come altre SES molto apprezzate (da
inserire nel cv se si ritiene di possederle): autonomia, autostima e fiducia in sé
stessi, capacità di adattamento, resistenza allo stress e relativo controllo,
pianificare e organizzare, precisione e attenzione ai dettagli, tenersi aggiornati,
lavorare per obiettivi, gestire le informazioni, intraprendenza, saper comunicare,
problem solving, team work, leadership.
Naturalmente ciascuno di questi item viene specificato nelle sue diverse dimensioni e
vengono proposte esercitazioni per rendere più chiaro il senso di ciascuna di esse.
2. I Neet
L’Istat rileva che nel 2020 il 22,2%
dei giovani 15-29enni sono Neet, 2 milioni di giovani. ¶{p. 165}Not in Education,
Employment or Training
[16]
è una definizione in negativo che, nell’arco degli ultimi vent’anni, si è
affermata per definire una categoria molto vasta e composita di giovani
[17]
, in realtà molto diversi per condizione e motivazione, non sempre
corrispondente allo stereotipo del giovane scoraggiato, passivo, bamboccione, l’eterno
adolescente senza futuro.
Da un’analisi della letteratura
[18]
emergono tre fondamentali parole chiave che possono essere utilizzate per
circoscrivere con maggiore precisione la «sindrome Neet». La prima:
joblesseness, «senza lavoro», ma molto più di quanto ricompreso
nella categoria statistica di «disoccupato», o «inoccupato». Una parola che sottolinea
il tema dell’assenza del lavoro dall’orizzonte delle persone, l’estraneità all’universo
del lavoro come componente della propria esistenza, come dato di fatto, ma anche come
aspirazione. Da qui la seconda parola chiave: discouragement,
«scoraggiamento», «non fa per me», «non faccio parte di quel mondo e quel mondo non fa
parte della mia vita» «non ho possibilità di entrarvi». Quindi la terza
disengagement, «disimpegno», la rinuncia, il «non ho
motivazioni per attivarmi» dapprima a cercare opportunità formative o di lavoro ma,
successivamente, anche a coltivare relazioni sociali, in qualche caso persino i rapporti
personali. Un disimpegno che si avvicina alla sindrome dell’«uva acerba». Quello che non
riesco a raggiungere assumo che sono io a non volerlo perché non mi interessa. Tre
condizioni che agiscono alimentandosi l’una con l’altra in un circolo vizioso che tende
a sfociare in una quarta condizione che si identifica direttamente con «l’esclusione
sociale».¶{p. 166}
Le dimensioni del fenomeno si sono
acuite a cavallo dei due secoli dopo che, intorno alla fine degli anni Ottanta, ha
smesso di funzionare l’accesso al lavoro e alla vita adulta attraverso il lavoro, a
seguito di un percorso di istruzione che per la maggioranza degli adolescenti non
proseguiva oltre la scuola dell’obbligo. Chi allora non proseguiva gli studi, e allora
l’obbligo terminava con la licenza media, trovava altri modi per inserirsi nel mondo del
lavoro e sociale: erano transizioni diverse al lavoro e alla vita adulta da quelle
pianificate dai lunghi percorsi scolastici, ma che non portavano fuori strada. Nella
maggioranza dei casi portavano a una «normale» carriera professionale che permetteva a
sua volta un «normale» inserimento sociale, e spesso consentivano anche l’accesso a
successivi percorsi di formazione e di successo lavorativo.
Verso la fine del secolo i canali di
transizione alternativi a quello dell’istruzione e della formazione professionale si
sono inariditi. La scuola «di massa» non è tuttavia stata in grado di garantire le
stesse opportunità di accesso alla vita adulta e al lavoro a molti di questi suoi nuovi
studenti. La crisi economica del 2008, la più pesante dal dopoguerra, ha poi ingigantito
le dimensioni del fenomeno, scaricando sulla disoccupazione giovanile la relativa
maggior tenuta dell’occupazione adulta. I datori di lavoro cercano sempre più lavoratori
maturi e socialmente competenti anche perché valutano le SES come uno degli aspetti di
maggiore importanza. Una realtà quella dei Neet dunque rilevante e crescente che, in
queste dimensioni, è, in ambito europeo, specifica del nostro paese.
Se seguiamo le indicazioni di ANPAL
Servizi e scomponiamo l’ampio universo dei Neet in sottogruppi più omogenei al loro interno
[19]
, gli individui effettivamente ¶{p. 167}«scoraggiati» e i
«disoccupati di lunga durata» (circa un terzo del totale) risultano caratterizzati
prevalentemente dal basso livello di istruzione, drop out dalla
scuola, senza esperienze di lavoro e, nella maggioranza dei casi, figli che continuano a
vivere nella famiglia di origine. Più in generale Eurofound
[20]
indica nel basso livello di istruzione (+200% di probabilità di essere
Neet), nell’appartenenza a famiglie di immigrati (+70%), nella presenza di una qualche
disabilità (+40%) e nel condizionamento territoriale (il Sud e/o particolari contesti
suburbani), i fattori più correlati con la condizione di Neet.
Una constatazione confermata dall’Istat
[21]
nel recente Report sul rendimento dei titoli di studio per il lavoro. In
Italia, nel confronto con l’Europa, alla più elevata incidenza di giovani che
abbandonano precocemente gli studi, si associa una quota di occupati, tra questi,
significativamente inferiore (–11 punti). In Italia è occupato un giovane Elet
[22]
su tre (35,4%), nella media UE poco meno di uno su due (46,6%). Di contro,
in Italia un Elet su due dichiara che vorrebbe lavorare a fronte di uno su tre in
Europa. Confrontando la condizione occupazionale dei giovani Elet con i coetanei che
hanno abbandonato i percorsi di istruzione e formazione dopo aver raggiunto il titolo
secondario superiore, si osserva che oltre la metà di questi ultimi
¶{p. 168}(53,6%) è occupato già dopo pochi anni dall’uscita dagli studi,
contro appena un terzo degli Elet (35,4%). Peraltro, sempre secondo lo stesso studio di
Istat, il basso tasso di occupazione degli Elet non deriva da uno scarso interesse a
entrare nel mondo del lavoro, ma dalla reale difficoltà a trovare un’occupazione; il
tasso di mancata partecipazione, cioè la quota di non occupati tra quanti sono
disponibili a lavorare è infatti significativamente maggiore tra gli Elet (56,2%)
rispetto ai diplomati (38,9%).
Note
[16] La definizione di Eurostat specifica «nelle quattro settimane precedenti l’intervista».
[17] Secondo l’Istat nel 2020, sono 2 milioni, un quinto dei 15-29enni, e in alcune regioni del Sud sfiorano il 50%.
[18] Cfr. L. Abburrà, L. Donato e C. Nanni, Neet: né a scuola, né al lavoro. Una categoria statistica, diverse condizioni sociali, Torino, Ires Piemonte, 2016, Cfr. anche ANPAL, I Neet in Italia. La distanza dal lavoro e il rapporto con i Servizi pubblici per l’impiego, Roma, Nota statistica 1/2018; cfr. anche G. Lazzarini, L. Bollani, F.S. Rota e M. Santagati (a cura di), From Neet to Need. Il cortocircuito sociale dei giovani che non studiano e non lavorano, Milano, Franco Angeli, 2020.
[19] ANPAL, I Neet in Italia, cit. propone di prendere in considerazione: le «persone in cerca di occupazione» (disoccupati di lunga e breve durata), gli «individui in cerca di opportunità», impegnati in attività formative informali e che mantengono un elevato livello di attachment al mercato del lavoro (essendo in attesa di rientrarvi) e al sistema di istruzione, gli «individui indisponibili» alla vita attiva perché impegnati in responsabilità familiari o per problemi afferenti alle condizioni di salute e infine gli «individui disimpegnati» che non cercano lavoro, non partecipano ad attività formative anche informali, non sono toccati da obblighi sociofamiliari o da impedimenti di varia natura e per lo più caratterizzati da una visione pessimistica delle condizioni occupazionali (i cosiddetti scoraggiati).
[20] M. Mascherini e S. Ledermaier, Exploring the Diversity of Neets, Luxembourg, Publications Office of the European Union, Eurofound 2016, https://www.eurofound.europa.eu/it/publications/report/2016/labour-market-social-policies/exploring-the-diversity-of-neets.
[21] Istat, Livelli di istruzione e ritorni occupazionali. Anno 2019, Report, Roma, luglio 2020.
[22] Early Leavers from Education and Training; la quota di 18-24enni che possiede al più un titolo secondario inferiore ed è già fuori dal sistema di istruzione e formazione è uno degli indicatori della Strategia Europa 2020; per il quale il benchmark europeo è stato fissato al 10%. Una percentuale del 13,5% significa circa 561.000 giovani.