Giorgio Chiosso, Anna Maria Poggi, Giorgio Vittadini (a cura di)
Viaggio nelle character skills
DOI: 10.1401/9788815366962/c7
I giovani in Italia sono una risorsa sempre più rara, i 15-24enni da noi sono il 9,8% della popolazione, uno dei valori più bassi nella UE (10,9%), e le differenze tra le grandi città sono ancora maggiori, a Torino sono appena l’8,3%, un valore molto distante ad esempio da Lione (16,7%), la città d’oltralpe con cui è solita confrontare le sue politiche. Nonostante siano sempre meno, i giovani tuttavia incontrano sempre più difficoltà a entrare nel lavoro [6]
. Una seconda merce rara sono i giovani laureati: in Italia la quota di 25-34enni in possesso di titolo terziario è il 27,8% a fronte {p. 157}
{p. 158}del 40,7% della media UE [7]
. Solo il 45% dei diplomati si iscrive all’università e solo 6 su 10 di costoro si laureano entro i 10 anni. Nonostante anche in questo secondo caso i giovani in possesso di diploma o di titolo di istruzione terziaria siano pochi, il nostro paese è caratterizzato da un rilevante mismatch nel mercato del lavoro, la quota di lavoratori troppo o troppo poco qualificati rispetto alle mansioni che svolgono [8]
, ma soprattutto dal particolarmente radicato problema dell’overqualification, il 18,2% vs. il 14,7% della UE, più grave soprattutto al Sud [9]
. Mancano quindi i lavoratori qualificati, ma soprattutto quelli esistenti non hanno skills coerenti con quanto richiesto dalle imprese e spesso devono adattarsi a mansioni meno qualificate e, alla fine, secondo Excelsior, il 26,4% delle entrate programmate dalle imprese restano difficili da reperire.
Tab. 1. Livelli di istruzione e ritorni occupazionali: i numeri chiave. Anni 2008, 2014, 2018 e 2019, valori percentuali
Livelli di istruzione
2008
2014
2018
2019
2019-UE28
Quota di 25-64enni con almeno un titolo secondario superiore
53,3
59,3
61,7
62,2
78,7
Quota di 25-64enni con un titolo terziario
14,3
16,9
19,3
19,6
33,2
Giovani 18-24enni usciti precocemente dal sistema di istruzione e formazione
19,6
15,0
14,5
13,5
10,3
Quota di 30-34enni con istruzione universitaria
19,2
23,9
27,8
27,6
41,6
Effetti dell’istruzione sull’occupazione
2008
2014
2018
2019
2019-UE28
Differenziale nel tasso di occupazione dei 25-64enni con titolo terziario e con titolo secondario superiore
6,4
8,0
10,2
10,0
9,4
Differenziale nel tasso di occupazione dei 25-64enni con titolo secondario superiore e con titolo secondario inferiore
22,1
20,2
18,4
18,6
19,6
Quota di 15-29enni né occupati né in formazione (Neet)
19,3
26,2
23,4
22,2
12,5
Tasso di occupazione dei 18-24enni che hanno abbandonato precocemente gli studi (Elet)
51,0
31,4
33,6
35,4
46,6
Tasso di occupazione dei 20-34enni che hanno conseguito il titolo secondario superiore o terziario da 1 a 3 anni prima e non più in istruzione e formazione
65,2
45,0
56,5
58,7
81,5
 
 
 
 
 
 
Fonte: Istat, Livelli di istruzione e ritorni occupazionali – anno 2019, Roma, luglio 2020.
Le indagini sui fabbisogni delle imprese, sulle caratteristiche della loro domanda di lavoro, mettono in evidenza come nell’arco degli ultimi anni la composizione delle caratteristiche dei profili professionali, anche di quelli meno qualificati, si siano modificate in profondità. La prima evidenza è che si registra un aumento dei livelli minimi di istruzione richiesti.
Dieci anni fa [nel 2009, N.d.R.] la quota di figure operaie a cui era richiesto un titolo di studio superiore alla scuola dell’obbligo (allora la terza media) non superava il 47% del totale e per le figure non qualificate non andava oltre il 33%. Per le professioni intermedie (impiegati e professioni commerciali e dei servizi) il diploma e la qualifica oggi sono richiesti in 3 casi su 4, ma è molto più interessante rilevare che anche il 70% delle figure operaie e il 62% delle professioni non qualificate devono possedere un titolo di studio superiore alla scuola dell’obbligo [10]
.{p. 159}
Anche mansioni che restano non particolarmente complesse si svolgono in contesti ampiamente digitalizzati e in forte cambiamento e serve il possesso di un certo livello di conoscenze di base per poter interagire con i colleghi e con le strumentazioni (si pensi al settore di movimentazione merci, oggi quasi del tutto automatizzato). Ma più in generale gli studi sul cambiamento delle professioni sottolineano il contesto di forte incertezza condizionato dall’agire piuttosto disordinato di quelli che comunemente sono chiamati i megatrend: digitalizzazione e progresso tecnologico, globalizzazione, conseguenze dei cambiamenti climatici e invecchiamento della popolazione. Un contesto ben sintetizzato dalla nota previsione per cui il 65% degli studenti di oggi farà un lavoro che non esiste ancora [11]
.
La domanda di titoli di studio più elevati e di competenze trasversali è quindi da mettere in relazione con l’ipotesi che le persone con un livello di istruzione più elevato siano mediamente più flessibili, più mobili e più capaci di affrontare la variabilità che è sempre più una caratteristica endemica delle professioni. D’altra parte la possibilità per il lavoratore di formarsi, di accrescere e modificare il patrimonio delle competenze nella prospettiva «obbligata» del lifelong learning, è direttamente proporzionale con la quantità di formazione che si è acquisita nella prima fase del corso della vita. La «fame» di sapere, di formazione, la disponibilità a mettersi in gioco in un’occasione di up skilling o di reskilling è tanto più forte quanto più il soggetto è già molto «sazio» di sapere e non ha paura a misurarsi con il nuovo studio. Più difficile che chi ha avuto esperienze negative a scuola e ha vissuto l’apprendimento come fatica e sconfitta possa mettersi alla prova in nuove occasioni di formazione se non con piacere, almeno senza ansie.
L’importanza dell’istruzione è d’altra parte ben delineata negli studi econometrici sul capitale umano promossi dal premio Nobel per l’Economia James J. Heckman [12]
, che {p. 160}mettono in evidenza il valore predittivo del percorso positivo fino all’istruzione secondaria per il successo nella vita e nel lavoro. In particolare i suoi studi sottolineano come il successo scolastico sia indicatore del consolidamento di importanti SES, prima di tutto la coscienziosità – che è fortemente correlata con i positivi risultati nei percorsi di istruzione – ma anche l’apertura all’esperienza, insieme ad affidabilità, precisione e perseveranza perché esse sono le caratteristiche che risultano maggiormente predittive di successo nella carriera lavorativa.
L’istruzione è quindi considerata rilevante non solo o non tanto per il patrimonio di conoscenze acquisite e certificate dal titolo di studio, quanto per le character skills acquisite, che garantiscono effetti positivi durevoli nei percorsi sempre più discontinui delle carriere lavorative e nella possibilità di governare con percorsi di lifelong learning le numerose transizioni che la vita adulta sempre di più impone ai lavoratori.
In alcuni casi, probabilmente, i lavori del futuro saranno «nuovi» ma già oggi, e nel prossimo futuro ancora di più, in molte professioni sono mutate le competenze e le abilità richieste, con una diversa composizione dell’insieme delle skills e delle mansioni richieste ai lavoratori (hard, soft, e-skills), sia per i nuovi lavori, sia per i lavori che continueranno a esistere, ed è un fenomeno che interessa l’intero stock di occupati. Le professioni e le competenze che esse richiedono, non sono scolpite nella pietra e tutti gli studi [13]
concordano che per aumentare le probabilità di incremento della loro domanda è essenziale arricchire il contenuto delle professioni in termini di competenze: tecniche specifiche e complementari. Lo sviluppo o il non declino di molte professioni, non solo quelle «ancora da inventare» ma anche e soprattutto la possibilità di continuare a svolgere la maggior parte dei lavori che continueranno a esistere, ha molto a che vedere con il consolidamento di «competenze {p. 161}complementari», che concorrono già oggi a caratterizzare le professioni, a ridisegnare i lavori mettendole a frutto: le cosiddette «competenze del XXI secolo».
Nel corso degli ultimi anni le indagini Excelsior di Unioncamere sui fabbisogni delle imprese hanno potuto confrontare le loro stime con i dati reali delle «comunicazioni obbligatorie» relative alle assunzioni e sono divenute uno strumento piuttosto affidabile. Tutti i report periodici evidenziano e ripropongono le difficoltà più rilevanti con cui la domanda di lavoro deve fare i conti. La più rilevante resta quella (per il 48% delle entrate programmate) di reperire competenze tecniche-tecnologiche legate alle discipline STEM (Science, Technology, Engeneering, Mathematics). Ma anche per queste figure professionali si richiede una forte integrazione con le competenze trasversali (relazionali-cognitive-comunicative) quali il pensiero critico, l’attitudine alla condivisione, la capacità di negoziazione, l’empatia e la cooperazione. L’ibridazione delle caratteristiche dei profili professionali, anche per quelli in cui la componente tecnica è più rilevante, sposta la domanda verso un modello che combina competenze tecnico-specialistiche con tutte quelle competenze trasversali come quelle appena citate, il problem solving, la flessibilità necessaria per interfacciarsi efficacemente con più ambiti disciplinari e adattarsi a contesti organizzativi in continuo cambiamento. Un’ibridazione che vede da un lato le skills digitali divenire sempre più pervasive, anche nei lavori che non richiedono competenze di carattere specialistico e dall’altra le SES divenire sempre più importanti anche nelle professioni maggiormente tecniche. Anche per queste figure l’innovazione tecnologica ha portato con sé un profondo mutamento nelle attività di ricerca e selezione del personale. Le grandi imprese, ma anche le grandi agenzie di intermediazione, hanno infatti iniziato a digitalizzare queste attività. I nuovi metodi di selezione prevedono che il primo contatto avvenga via sms ed e-mail e che vi sia un primo colloquio immediato in modalità conference call (skype, hangouts, zoom, meet, ecc.). In questo modo l’impresa effettua il primo screening riducendo notevolmente il numero di contatti. Alla video-intervista si {p. 162}applicano algoritmi di intelligenza artificiale per individuare un ranking di candidati in base alla valutazione di specifiche SES riconosciute dall’algoritmo. I migliori candidati del ranking, poi, sono invitati per fare un video-colloquio con personale specializzato che darà accesso all’ultimo passaggio, il colloquio in presenza. E tutto ciò ben prima dei mutamenti accelerati dalla pandemia.
A valle delle competenze afferenti alle STEM, si collocano le competenze digitali e quelle legate alla sostenibilità ambientale e al risparmio energetico. L’alfabetizzazione digitale fa parte dei saperi minimi, delle precondizioni, sia per le professioni tecniche che per quelle impiegatizie. Si pensi all’impatto sulla trasformazione di tutti i lavori tradizionali che, nel corso di questo periodo di crisi pandemica, ha la rapidissima diffusione delle piattaforme digitali. A ruota, le cosiddette green skills sono considerate «necessarie» per quasi l’80% delle professioni (con un massimo dell’88% dei dirigenti e un minimo del 74% per le professioni non qualificate), «indispensabili» nel 38% delle figure richieste dalle imprese, anche per un terzo delle figure non qualificate (addetti alle pulizie, al carico/scarico merci, inservienti cucina, ecc.). Sempre più, nel corso degli ultimi anni, il possesso delle SES diventa centrale nelle preoccupazioni degli imprenditori. Una specifica indagine di pochi anni fa [14]
ha sondato il parere di un campione rappresentativo di imprenditori evidenziando come essi ritengano le SES importanti «tanto come» (78%) oppure «in misura maggiore» (8%) rispetto alle competenze tecnico specialistiche.
Le imprese ritengono le competenze trasversali altrettanto importanti delle competenze specifiche. La quota di assunzioni per le quali queste sono ritenute molto importanti è rilevante e va da un minimo del 37% per la capacità di risolvere problemi, a un massimo del 49% per la capacità di lavorare in gruppo.
Nel corso degli ultimi anni la domanda delle imprese sottolinea con sempre maggiore insistenza la rilevanza delle SES. La «flessibilità e capacità di adattamento» è in assoluto
{p. 163}la più richiesta ed è considerata di importanza elevata per il 63% delle entrate: una forte rilevanza che vale per tutte le professioni, persino per quelle meno qualificate, ma il suo possesso è decisivo anche in almeno 4 entrate su 5 per le figure tecniche e specializzate.
Note
[6] I Neet sono il 22,2% dei 15-29enni vs. una media UE del 12,5%.
[7] Dati Eurostat 2020 riferiti al 2018.
[8] Secondo OECD da noi è il 38,2%, a fronte di una media UE del 33,5%.
[9] Sistema informativo Excelsior, La domanda di professioni e di formazione delle imprese italiane nel 2019. Monitoraggio dei flussi e delle competenze per favorire l’occupabilità, Roma, Unioncamere, 2020, p. 16.
[10] Ibidem, p. 49.
[11] Rapporto World Economic Forum, presentato a Davos nel 2018.
[12] J.J. Heckman e T. Kautz, Formazione e valutazione del capitale umano. L’importanza dei character skills nell’apprendimento scolastico, Bologna, Il Mulino, 2017.
[13] N. Pearson, Il futuro delle competenze. L’occupazione nel 2030, Milano, 2019, https://it.pearson.com/futuro-competenze.html; OECD, Skills Outlook 2019. Thriving in a Digital World, 2019, https://www.oecd-ilibrary.org/education/oecd-skills-outlook-2019_df80bc12-en.
[14] Unioncamere Excelsior, Le competenze che valgono un lavoro, 2015.