Viaggio nelle character skills
DOI: 10.1401/9788815366962/p2
Non si può pensare alle competenze non cognitive come slegate una dall’altra: ormai sappiamo che esistono dei cluster di¶{p. 12}competenze che si potenziano a vicenda, ad esempio la resilienza all’interno del capitale psicologico, il capitale psicologico all’interno delle competenze non cognitive con tratti di personalità e motivazione [12] .
Converge su tale interpretazione
Andrea Maccarini
[13]
nel capitolo II, di stampo sociologico, in cui vengono indagati i legami tra
competenze sociali ed emotive, apprendimento socioemotivo e NCS. Infatti: «Le competenze
socioemotive, o caratteriali, manifestano una rinnovata enfasi sul soggetto umano “tutto
intero” come medium e forma dei processi educativi»
[14]
. L’educazione avviene sostanzialmente come «incontro tra personalità».
Una possibile obiezione a questa
lettura unitaria nel senso delle character skills potrebbe venire
dalle neuroscienze, se prevalesse l’interpretazione che queste capacità consistano di
impulsi elettrici scorporabili, riproducibili e quindi manipolabili per ottenere
determinati risultati attesi.
Tuttavia, a questo proposito, nel
capitolo IV
[15]
, Mauro Ceroni afferma che siamo lontanissimi dal poter determinare in modo
diretto le NCS in popolazioni umane, in quanto
la scoperta del funzionamento fisiologico del cervello è veramente al suo primo inizio e la complessità del cervello appare a chi guarda senza pregiudizi ideologici di proporzioni «sconfinate». [...] Per questa complessità – aggiunge – non sarà possibile dimostrare che l’attività neuronale cerebrale è la causa e l’origine dell’azione concepita e voluta o del pensiero pensato o della percezione registrata dal soggetto in esame [16] .¶{p. 13}
I diversi apporti disciplinari
suffragano quindi la visione unitaria del fenomeno NCS secondo cui si può interpretare
la definizione che Heckman dà di character skills, come si ricorda
ancora nel capitolo V: «Il fuoco dell’attenzione si sposta sulla capacità di sintesi:
possiamo ipotizzare che una visione olistica della persona sia quella in grado di
valorizzarla di più, ma anche di far fronte in modo più efficace alla complessità della situazione»
[17]
.
4. Educare le «character skills»
Il percorso arriva a questo punto a
una domanda cruciale: le character skills sono patrimonio
immutabile della personalità o sono educabili? E quindi: la loro acquisizione e il loro
potenziamento vanno considerati un obiettivo centrale del processo educativo?
Giorgio Chiosso e Onorato Grassi
sostengono che «i tratti di personalità non sono predeterminati, ma largamente
flessibili e influenzabili dall’intervento educativo». Inoltre, quando si parla di
character education
[18]
si deve far riferimento anche all’autocoscienza e alla scelta personale:
«quelle pratiche che, centrate sulla persona, ritengono più opportuno e rispettoso
mobilitare dal basso atteggiamenti che favoriscono l’abitudine alla riflessione e alla
coerenza personale e all’esercizio della “volontà buona”».
È ancora Pisanu a sottolineare che
le NCS
sono educabili e potenziabili soprattutto durante l’esperienza scolastica dei ragazzi. Oggi noi sappiamo che rendendole esplicite all’interno del percorso di apprendimento degli studenti, le probabilità che tali dimensioni si sviluppino nella direzione auspicata da parte dello studente e del proprio docente aumentano in maniera esponenziale [19] .¶{p. 14}
Il lavoro di misurazione di tali
capacità ha creato qualche malumore in ambito scolastico, come se cercare di indagare
più a fondo la dinamica della conoscenza potesse in qualche modo violare o portare a
strumentalizzare la complessità psicologica e la singolarità umana.
Se lo scopo della scuola è educare
istruendo, o istruire educando, se è aiutare i ragazzi a esprimere sé stessi, a
realizzarsi, a conquistare capacità, conoscenze e, in fondo, a trovare il proprio posto
nel mondo, un percorso di apprendimento non può non tenere in considerazione anche le
NCS.
Per tenerne conto, occorre
conoscerle, innanzitutto imparando a osservarle. Cercare di misurarle, poi, non ha certo
la pretesa di esaurire la conoscenza e il mistero che ogni persona è, ma significa solo
avere più elementi per capire l’individualità dei ragazzi. Lo sviluppo della
personalità, attraverso l’apprendimento, il sapere e il sapere agire, è lo scopo della
scuola e la miglior risposta a qualunque trasformazione del mondo economico, produttivo
e sociale.
È possibile essere strumentali
nell’educare le character skills, così come è possibile farlo
trattando con gli aspetti solamente cognitivi. Dipende dall’approccio e dallo scopo
dell’educatore. Non tenerne conto, invece, condanna a una relazione educativa parziale.
Se si punta alla valorizzazione
della persona nel suo insieme, «rimuovere gli ostacoli alla crescita delle
character skills è l’obiettivo fondamentale dell’intero
percorso educativo, e conoscerne gli elementi è il primo modo per riuscirci».
5. Le «character skills» nel sistema scolastico
L’importanza delle
character skills nel percorso formativo si è mostrata in modo
inequivocabile nelle lezioni a distanza durante la crisi pandemica causata dal Covid-19.
In quei drammatici mesi del 2020 si è assistito a una vera e propria rivoluzione dei
metodi didattici. Non è stata la comunicazione digitale in sé a fare la differenza,
piuttosto, in molti casi, laddove è stato possibile attivare collegamenti, le
piattaforme digitali hanno stimolato professori e studenti ¶{p. 15}a non
arrendersi di fronte a situazioni avverse, a confrontarsi di più e a sostenersi
reciprocamente. Si sono visti impegno, motivazione, capacità di far domande, di pensare
per problemi, di imparare a lavorare insieme per raggiungere uno scopo comune.
Quello che è avvenuto sotto la
spinta dell’emergenza dovrebbe diventare scelta consapevole e programmatica della scuola
italiana. Si tratta di un tentativo che comporta cambiamenti fondamentali
nell’organizzazione delle scuole, come argomenta Damiano Previtali nel capitolo VI del libro
[20]
.
Gli studi sulle character
skills sono relativamente recenti e ancora poco conosciuti e utilizzati
nelle scuole. Si può già però affermare che laddove sono stati introdotti, quando sono
applicati in modo condiviso e partecipato, hanno coalizzato la comunità professionale
intorno a obiettivi chiari, hanno caratterizzato l’ambiente di apprendimento
[21]
e hanno interrogato le stesse competenze dei docenti e l’offerta formativa
ed educativa che caratterizza la scuola
[22]
.
Come argomenta ancora Previtali,
nell’ambito dell’autonomia finora concessa, «molte scuole innovative si sono già
incamminate con una pluralità di progetti lungo il percorso dell’integrazione fra scuola
e famiglia, fra formale e non formale, fra istruzione ed educazione, fra
cognitive skills e non cognitive skills»
[23]
. Anche a livello centrale non mancano le proposte che
in diverso modo contemplano le competenze trasversali nell’orientamento, nella
valutazione di alcune discipline in particolare (ad es. in educazione civica), nel
curricolo dello studente, con la documentazione delle competenze in ambito formale, non
formale e informale.
Se l’obiettivo finale è una svolta
educativa che metta al centro la persona, possiamo ritrovare il cambiamento
¶{p. 16}di questo paradigma nel processo di decentramento del sistema
verso l’autonomia scolastica e la contestualizzazione dell’offerta formativa:
L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo [24] .
6. Una ricerca sulle NCS in un contesto italiano
Sulla scia degli studi
internazionali è stata condotta una ricerca sulle NCS degli studenti trentini, di cui
vengono anticipati i primi risultati nell’appendice del volume. L’indagine Lo
sviluppo delle competenze non cognitive negli studenti trentini, è stata
effettuata sugli studenti delle scuole medie inferiori della Provincia Autonoma di
Trento (PAT). Lo studio cerca di rispondere a due quesiti: le NCS determinano un
miglioramento delle CS, misurate dai risultati scolastici? E, secondo, si può affermare
in termini causali che opportuni programmi educativi incrementino le NCS?
La scelta territoriale non è
casuale; la PAT è area di particolare sviluppo economico, omogenea sotto il profilo
sociale e demografico e gli studenti delle sue scuole medie raggiungono i risultati più
elevati in Italia nel test internazionale OECD-PISA e tra i più elevati in assoluto
nell’ambito dell’OECD stesso. Per queste ragioni sono minori i fattori di «disturbo»
dovuti a caratteristiche particolari degli studenti (ad es. povertà educativa e devianze
sociali) che possono inficiare i risultati. Inoltre, nella PAT sono in atto da anni
progetti per lo sviluppo delle competenze non cognitive degli studenti al termine del
primo ciclo di istruzione.
¶{p. 17}
Note
[12] F. Pisanu, F. Fraccaroli, M. Gentile e F. Recchia, Competenze non cognitive come risorse psicosociali per il successo formativo, cit., p. 85.
[13] A.M. Maccarini, Le «character skills» nel processo di socializzazione, pp. 43-65 del presente volume.
[14] Ibidem, p. 49.
[15] M. Ceroni, Neuroscienze e «non cognitive skills», pp. 89-103 del presente volume.
[16] Ibidem, pp. 100-101.
[17] T. Agasisti, L. Ribolzi e G. Vittadini, La formazione del capitale umano, cit., p. 116.
[18] G. Chiosso e O. Grassi, Oltre l’egemonia del cognitivo, cit., p. 39.
[19] F. Pisanu, F. Fraccaroli, M. Gentile e F. Recchia, Competenze non cognitive come risorse psicosociali per il successo formativo, cit., p. 86.
[20] D. Previtali, Le «non cognitive skills» nella scuola, pp. 129-151 del presente volume.
[21] F. Pisanu, F. Fraccaroli, M. Gentile e F. Recchia, Competenze non cognitive come risorse psicosociali per il successo formativo, cit.
[22] D. Previtali, Le «non cognitive skills» nella scuola, cit., p. 136.
[23] Ibidem, p. 150.
[24] Ibidem, p. 138.