Francesca Biondi Dal Monte, Simone Frega (a cura di)
Contrastare la dispersione scolastica
DOI: 10.1401/9788815413369/c23

Capitolo ventitreesimo Il progetto Young at Work
di Sergio Manni (sociologo ed educatore professionale, responsabile area Giovani e Lavoro di SERCOP) e Stefano Laffi (economista e sociologo, cooperativa sociale Codici)

Abstract
Il capitolo è dedicato alla piattaforma progettuale denominata “YAW – Young at Work”, attivata da Sercop nel territorio del Rhodense (Milano), che concentra il proprio operato sul rapporto tra giovani e comunità locale, per favorire processi di ri-attivazione dei giovani NEET attivando percorsi di ripresa degli studi o di avvicinamento al mercato del lavoro. Nel capitolo si analizzano metodologia e risultati ottenuti e si danno, in conclusione, informazioni sull’ente Sercop.

1. Il progetto e il contesto territoriale

Le politiche giovanili del Rhodense trovano il loro contesto di realizzazione nei 9 comuni dell’ambito della provincia di Milano (Arese, Cornaredo, Lainate, Pero, Pogliano Milanese, Pregnana Milanese, Rho, Settimo Milanese, Vanzago) che conta una popolazione di 173.268 abitanti.
I giovani (18-29) sono 22.422 (Istat 2023), di cui il 16% si stima siano in condizione di Not in Education, Employment or Training (circa 3.600 NEET), il doppio rispetto alla media della Città di Milano (8,1%, fonte Openpolis, 2021).
La rete territoriale sociale presieduta da Sercop – Azienda Servizi Comunali alla Persona è da anni punto di riferimento stabile e riconosciuto per lo sviluppo delle politiche giovani e di welfare di comunità e, con uno sguardo più ampio, nella valorizzazione delle risorse informali e la costruzione di legami sociali di prossimità.
Negli anni, le ricerche locali e i report realizzati individuano nella povertà educativa il fattore predittivo al fenomeno delle fragilità tra i giovani, a dimostrazione di quanto il contesto comunitario e territoriale sia determinante nel percorso di crescita e di inclusione sociale. In particolare, un’indagine sulla povertà educativa realizzata appena prima dell’avvio della pandemia [1]
aveva dimostrato la correlazione fra i tre ambiti di vita: i più isolati in classe sono da soli a casa ed escono di meno sul territorio, secondo un meccanismo non compensativo ma cumulativo.{p. 304}
Per quanto riguarda il disegno strategico delle politiche giovanili di ambito, Sercop ha creato un’area specifica e un osservatorio: si tratta di una piattaforma progettuale denominata YAWYoung at Work, che concentra il proprio operato sul rapporto tra giovani e comunità locale, per favorire processi di ri-attivazione dei giovani NEET attivando percorsi di ripresa degli studi o di avvicinamento al mercato del lavoro. Quest’ultimo presenta un tessuto imprenditoriale (fonti LIX e Orbis BVD) che conta oltre 9.000 imprese nell’ambito del Rhodense, circa 31 miliardi e 72.500 lavoratori. Il mondo cooperativo presenta 124 realtà e quasi 8.000 dipendenti. Le imprese nel raggio di 10 km a nord-ovest di Milano che cercano personale su Linkedin con esperienza minima sono oltre 270 con circa 630 posizioni aperte.
La rilevazione statistica effettuata con 106 giovani intercettati/e all’interno dei diversi progetti e attività promosse evidenzia che: il 100% vive in famiglia con ambizioni di lasciare il nucleo familiare di origine; il 18% percepiva il reddito di cittadinanza; sono in egual misura maschi e femmine; solo il 5% è straniero.

1.1. Il modello YAW – Young at Work

La frase di Bruno Munari «ognuno vede ciò che sa» rappresenta simbolicamente l’approccio con cui si è dato avvio nel 2020 all’esperienza sperimentale rivolta ai giovani NEET nel territorio del Rhodense. La sfida intrapresa ha costretto innanzitutto l’équipe di lavoro a riflettere sui cambiamenti di alcuni pattern di funzionamento sociale, come i nuovi codici di partecipazione e le mutevoli traiettorie di vita dei ragazzi e delle ragazze, ormai lontane dalla linearità novecentesca «scuola-lavoro-casa-famiglia». Nella bilancia dei saperi degli operatori da un lato pesavano le nostre esperienze, i modelli e le competenze riconducibili principalmente allo sviluppo di percorsi di orientamento e inclusione sociolavorativa delle categorie più fragili dal punto di vista occupazionale. Ma dall’altro pesava di più la consapevolezza che in quei percorsi solo rare volte erano stati intercettati {p. 305}coloro che vengono riconosciuti per ciò che non fanno: i cosiddetti NEET. Da qui la prevalenza degli interrogativi sulle soluzioni: cosa possiamo sapere se ci rivolgiamo a degli invisibili? Chi sono? Cosa fanno? Quali desideri e interessi possiedono? Come intercettarli e ingaggiarli?
Abbiamo pertanto definito una strategia di azione che abbiamo chiamato «approccio ignorante», dove l’ammissione di ignoranza è stata la chiave per scegliere le metodologie di intervento, in quanto costringe a mettere in conto una serie di inciampi lungo il percorso, riconoscere e lavorare con gli errori; nutrire la curiosità dell’incontro con il/la ragazzo/a e lasciare spazio di espressione – fisico, di parola, di pensiero ed emotivo – senza sovrapporsi in modo prescrittivo (la parola dell’adulto talvolta «pesa troppo»); esplorare l’imprevedibile come dimensione strutturale.
Questo schema per così dire blind nei confronti dei beneficiari è divenuto nel tempo un vero e proprio «approccio antibiografico»: ragazze e ragazzi incontrati sono risultati, infatti, i primi a non conoscersi, ovvero a non aver nella propria biografia un campionario sufficiente delle proprie possibilità e capacità. Dietro quelle storie di vita ci sono per così dire «copioni sbagliati», cioè esperienze di studio o lavoro fallimentari, opache rispetto alla funzione di rendere evidenti passioni, interessi possibili e vocazioni. La riscrittura di quei copioni – «per una società della seconda possibilità», se si vuole usare uno slogan – è risultata di fatto la missione da compiere.

1.2. Chi abbiamo incontrato e cosa abbiamo fatto

In questi anni i ragazzi e le ragazze hanno preso contatto con le iniziative promosse nel territorio mediante i diversi canali comunicativi: dai social (pagina YAW di FB, Istagram e Telegram) ai siti istituzionali, dagli articoli sui giornali locali ai volantini, dal passaparola alle segnalazioni dei servizi sociali. Eterogenei per età, formazione scolastica, esperienze e contesti di provenienza i beneficiari sono in qualche modo profilabili in tre tipologie, fra le tante ricomprese sotto {p. 306}l’etichetta NEET: «scoraggiati», coloro che arrivano da situazioni di inattività, scarsa fiducia e autostima; «impreparati», coloro che fanno fatica a trasferire le conoscenze da un contesto a un altro; «disorientati» coloro che hanno raccolto esperienze dispersive e frammentate.
Quali attività abbiamo promosso? Innanzitutto, l’esperienza del gruppo: anziché focalizzarsi su prese in carico individuali si è optato per lavorare in piccoli gruppi – rompendo l’isolamento in cui quasi tutti si trovavano – nei quali il metodo antibiografico ha portato non a ripercorrere le fatiche del passato ma a cercare le esperienze ottimali. Queste sono secondo la teoria del flow [2]
quelle attraverso le quali emergono passioni, interessi e apprendimenti, acquisiti in contesti formali e informali. La stesura classica e lineare del curriculum vitae (passato/presente/futuro) è stata lasciata a un secondo tempo, per evitare il portato di frammentazione, insoddisfazione e frustrazione, vissuti riconducibili a manifestazioni di demotivazione, rassegnazione e inerzia esistenziale. Al contrario, la valorizzazione delle esperienze ottimali è risultata funzionale al supporto dei processi di scelta e di autodeterminazione per lo sviluppo dei percorsi esperienziali di inclusione sociale. Nelle esperienze di gruppo sono state realizzate anche simulazioni di colloquio di lavoro, per la preparazione a quelle situazioni ma con il margine di errore di una prova, nella quale poter sbagliare e correggersi.
I laboratori esperienziali sono state le attività che hanno sostenuto il protagonismo giovanile e l’esercizio di passioni e interessi. Il laboratorio è metodologicamente il terreno della sperimentazione, personale e di gruppo, è il regno del fare, meglio, del provare per vedere i risultati, e festeggiare insieme. I laboratori hanno svolto questa funzione di empowerment, di partecipazione e autodeterminazione, di acquisizione di life skills legate al confronto di idee, all’ideazione di proposte, alla discussione e presa di decisione. Sono stati pertanto organizzati laboratori e corsi di supporto alla ricerca attiva del lavoro, organizzazione di eventi, {p. 307}teatro ed espressività corporea, fumetto, corsi stampa 3D, digitools (imparare CANVA e GIMP), podcasting, filmaker, giornalismo per trasmissioni sulle web radio, oltre a incontri a tema, ad esempio sull’identità di genere e l’orientamento sessuale. Alcuni di questi laboratori hanno avuto la funzione di costruzione di competenze, altri – ad esempio quelli di teatro e giornalismo, con l’esercizio delle interviste – sono serviti proprio a quella riscrittura della propria storia alla base dell’approccio antibiografico.
Infine, è stato inevitabile prevedere anche percorsi individualizzati: a seguito delle attività di gruppo è stato opportuno poi personalizzare le opportunità, cioè disegnare percorsi individuali per facilitare e favorire l’orientamento alla scelta, nel connubio tra desideri, percorribilità e sostenibilità delle esperienze possibili.

2. I risultati ottenuti: alcuni dati parziali

La piattaforma YAW è in realtà la collezione metodologicamente unitaria di una serie di progetti e finanziamenti. A quattro anni dall’avvio della prima sperimentazione, si dispone ormai di una ricca esperienza, frutto di diverse progettazioni (finanziate da Regione Lombardia, ANCI, Fondazione Comunitaria Nord Milano, Fondazione Cariplo) che hanno fornito continuità incrementale alle attività e complementarità nel ventaglio di proposte, così da spostare di anno in anno la frontiera degli apprendimenti e il rilancio di nuove sperimentazioni. Oggi il Rhodense può vantare una significativa rete per l’aggancio e l’affiancamento dei giovani NEET che coinvolge centri di aggregazione, oratori, scuole secondarie di secondo grado, hub sociali territoriali (OP Café), associazioni, imprese nella governance di un tavolo di co-progettazione con il Terzo settore. Tra il 2020 e il 2023 in Sercop si sono avviati percorsi di orientamento alla scelta formativa-lavorativa, tramite laboratori, tirocini volti a sostenere l’inclusione sociolavorativa e supporto alla ricerca attiva del lavoro. Sono state sperimentate nuove forme di supporto, nonché modalità di lavoro degli operatori.
{p. 308}
Note
[2] M. Csikszentmihalyi, Flow: The Psychology of Optimal Experience, New York, Harper & Row, 1990.