Paolo Conte
Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c8
L’esempio senza dubbio più emblematico è quello del romano Ennio Quirino Visconti, il quale fu, fra i vari esuli del 1799, colui che più di tutti riuscì a far valere la propria erudizione per avviare una vertiginosa ascesa sociale che nel giro di poco tempo lo portò a essere una delle massime
{p. 279}autorità culturali dell’Impero. Durante il suo soggiorno oltralpe, infatti, egli fu a lungo responsabile della sezione delle antichità dell’allora Muséum Central des Arts (oggi Louvre), contribuendo in maniera notevole all’implementazione delle relative collezioni, tanto che una delle sue maggiori studiose quale Daniela Gallo ha sostenuto che «en une quinzaine d’années, il réalisa au Louvre l’un des plus extraordinaires musées d’art gréco-romain de tous les temps» [51]
. Non a caso, egli avrebbe prolungato il proprio soggiorno a Parigi fino alla morte, sopraggiunta nel febbraio 1818 dopo aver ottenuto qualche anno prima la naturalizzazione francese.
Ma il suo prestigioso percorso in terra transalpina fu comunque caratterizzato da costanti frequentazioni con altri rifugiati politici. Del resto, in Francia egli era giunto proprio come esule, quando nell’autunno del 1799 era sbarcato a Marsiglia con circa 250 connazionali dopo che il crollo della Repubblica romana (alla quale aveva partecipato ricoprendo le funzioni di ministro dell’interno e di console) lo aveva obbligato a salpare in tutta fretta da Civitavecchia. E che il suo arrivo potesse essere una risorsa non da poco per il paese ospitante fu da subito chiaro ai più importanti giornali locali, lesti a sottolineare le competenze di questo quarantottenne romano già da tempo messosi in luce in patria grazie alla grande erudizione in storia dell’arte: un’erudizione accumulata in lunghi anni di apprendistato con il padre Giovanni Antonio, durante i quali aveva prima collaborato alla redazione del volume iniziale del catalogo illustrato del Museo Pio Clementino e poi continuato autonomamente tale fatica dando alle stampe i cinque volumi successivi fra 1783 e 1798 [52]
. Così, già il 30 novembre 1799, nell’informare del suo arrivo a Marsiglia, «La Décade» poteva definirlo come «un des plus habiles antiquaires de l’Europe», auspicandone {p. 280}al contempo un incarico «auprès des monuments qu’ils sait si bien expliquer» [53]
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Anche in virtù di un simile sostegno, Visconti fu subito convocato nella capitale dal nuovo governo e poi, mentre era ancora in viaggio, venne nominato conservatore delle antichità del Muséum Central des Arts, dove sarebbe stato a lungo il principale collaboratore del direttore Vivant Denon. Insomma, al momento del suo arrivo a Parigi, avvenuto il 19 dicembre, egli era già stato incaricato, per esplicita volontà governativa, di importanti funzioni in una delle più prestigiose istituzioni culturali del tempo, a testimonianza di come i responsabili della Repubblica istituita con la svolta del 18 brumaio non intendessero farsi sfuggire l’occasione di avvalersi di un uomo considerato utilissimo per la realizzazione di un programma politico-culturale, quello consolare, che sin dal nome si proponeva di ispirarsi all’antichità romana. Dunque, nel giro di poche settimane il suo esilio si era trasformato – senza nemmeno particolari sforzi, ma solo sull’onda della sua reputazione – in una nuova e straordinaria occasione professionale.
A quel punto, per lui la principale preoccupazione fu quella di ricongiungersi con la famiglia rimasta a Roma e per questo, già in marzo, si attivò con il ministro della polizia per favorirne il trasferimento a Parigi. Sul finire di agosto, poi, dopo che proprio in virtù dei suoi incarichi era riuscito a sottrarsi all’ordine prefettizio che in maggio aveva imposto agli esuli di abbandonare la città, comunicava all’amico Dionigi Strocchi a Faenza sia la soddisfazione per la posizione acquisita in Francia, sia la preoccupazione per l’assenza dei suoi cari, chiedendogli di aiutarlo a favorirne il trasferimento a Parigi [54]
. Seppur con qualche difficoltà e con un anno di ritardo, alla fine riuscì nei suoi intenti, tant’è che nel dicembre 1801 scriveva a Gherardo De Rossi a Roma sostenendo che{p. 281}
dopo che la mia famiglia mi ha raggiunto non ho nulla che tanto mi prema come aver meco i miei libri, tanto più che libri di quel genere son qui estremamente cari: e quantunque ne abbia, prestati anche dalle Biblioteche pubbliche, voi sapete questa specie di studj, ai quali mi applico, quanti ne richieda [55]
.
Dunque, ormai risolta la questione del ricongiungimento famigliare, i suoi progetti di vita erano sempre più incentrati sulla continuazione del percorso professionale intrapreso oltralpe, al punto tale che, già nell’aprile di quell’anno, aveva scritto al ministro Fouché per chiedere il rilascio di un certificato «utile dans le calcul des dix années qui, aux termes de la Constitution, doivent s’écouler auparavant que je sois dans le cas de jouir de tous les droits de Citoyen français» [56]
. Ma ciò che qui preme mettere in evidenza è come fosse proprio la collaborazione con le istituzioni locali a consentire a Visconti la prosecuzione del suo soggiorno all’estero. Infatti, nello stesso giorno in cui chiedeva il certificato per una futura naturalizzazione, in un’altra lettera al ministro sollecitava il rinnovo della «carte d’hospitalité», sostenendo che «attendu ma qualité d’Italien réfugié en France, quoique d’ailleurs comme un des membres du Conseil d’administration du Muséum Central des arts, j’ai l’honneur d’être comté entre les fonctionnaires publics de la République française» [57]
.
Tuttavia, si sbaglierebbe nel ritenere che quell’integrazione professionale nella Francia napoleonica fosse inversamente proporzionale alla continuazione dell’impegno politico, perché certo il lealismo istituzionale imponeva di adeguarsi alle crescenti restrizioni degli spazi democratici, ma non per questo i réseaux dell’esilio erano del tutto abbandonati. Ne fornisce una prova la circostanza per cui, sin dalla primavera del 1800, Visconti era nominato responsabile per gli esuli {p. 282}romani nell’evocata Commissione per il soccorso ai rifugiati italiani, andando ad affiancare il collega Giuseppe Prence nella gestione delle pratiche volte al rilascio dei permessi di soggiorno per i suoi connazionali [58]
. Del resto, ancor prima di quella nomina era stato non solo accolto con soddisfazione da importanti personalità governative quali il ministro della guerra Berthier, ma anche considerato un punto di riferimento dai suoi più sfortunati compagni. Il primo, che solo due anni innanzi era stato il protagonista dell’ingresso francese in Roma, gli aveva scritto in marzo per compiacersi del suo arrivo dicendosi sicuro che «le zèle avec lequel vous avez défendu la liberté de votre patrie et vos talents distingués vous donnent des droits à l’estime et à la confiance du gouvernement» [59]
. I secondi già in febbraio avevano fatto ricorso al suo prestigio per migliorare la propria precaria situazione, come attestato dalla lettera di raccomandazione che egli scrisse per gli esuli Ludovico Valeriani, Giuseppe Pollati e Francesco Ceracchi [60]
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Inoltre, proprio nella sua funzione di responsabile della Commissione per i rifugiati, in ottobre si recò dal ministro Talleyrand al fine di dissipare i sospetti formatisi sulla comunità romana a seguito del fallito attentato alla vita del primo Console, il cui principale accusato era lo scultore capitolino Giuseppe Ceracchi [61]
. Del resto, in un primo momento i sospetti della polizia non mancarono di coinvolgere anche lui, per quanto in seguito le indagini sul suo conto furono presto interrotte. Ad ogni modo, da quegli atti emergeva la continuazione dei suoi rapporti con il mondo democratico, dato che se egli stesso ammetteva di conoscere alcuni dei principali inquisiti romani, ulteriori verbali avrebbero confermato la sua presenza presso la casa dell’ex segretario della Repubblica napoletana Marc-Antoine {p. 283}Jullien, dove tra l’altro aveva cenato con un’altra storica figura della rivoluzione quale Bertrand Barère [62]
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Insomma, le prestigiose cariche culturali non precludevano di per sé la frequentazione di circuiti ideologicamente connotati: anzi, le prime tornavano utili per favorire i secondi. Infatti, proprio la posizione acquisita presso le massime istituzioni del tempo garantì a Visconti un’autorevolezza tale da permettergli non solo di uscire illeso da indagini che pur avevano coinvolto uomini a lui vicini, ma anche di ottenere ulteriori incarichi utili a tutelare i propri connazionali.
In questo discorso, inoltre, va poi aggiunto che il suo percorso professionale nella Parigi napoleonica si caratterizzò anche per un impegno culturale non casualmente improntato in direzione classicista. Così, se da un lato collaborò con amici di vecchia data come i fratelli Piranesi alla pubblicazione dei diversi volumi de Les Antiquités d’Herculanum [63]
, dall’altro intervenne sulle colonne de «La Décade» per pubblicamente sottolineare l’importanza di una maggiore attenzione alla storia dell’arte antica [64]
. E ancora, se da un lato diede alle stampe nel 1807 il settimo e ultimo tomo del pluridecennale lavoro sul Museo Pio Clementino, dall’altro consolidò la sua posizione in seno alle istituzioni francesi ottenendo addirittura un doppio incarico all’Institut National. Infatti, nel gennaio 1803 era nominato per volontà del primo Console componente della Classe delle belle arti, mentre nel luglio dell’anno successivo veniva eletto fra i membri della Classe di letteratura antica [65]
. E va detto che in questo ruolo egli molto operò per favorire la nomina di eruditi romani al ruolo di corrispondenti stranieri dell’Institut, come attestato dalla circostanza per cui, su sua proposta, nel 1805 tale carica venne attribuita all’amico Gherardo De Rossi [66]
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{p. 284}
Note
[51] D. Gallo, Pouvoirs de l’Antique, in J.-C. Bonnet (a cura di), L’Empire des Muses. Napoléon, les Arts et les Lettres, Paris, Belin, 2004, pp. 317-329. Alla Gallo si devono i lavori più completi su Visconti, fra i quali ci limitiamo a segnalare: Visconti, Ennio Quirino, in DBI, Roma, Treccani, 2020, vol. 99.
[52] G. Sforza, Ennio Quirino Visconti e la sua famiglia, Genova, Società ligure di storia patria, 1923, pp. 115-131.
[53] «La Décade», 10 frimaio VIII (30/11/1799), p. 431.
[54] Lettere edite ed inedite del cavaliere Dionigi Strocchi ed altre inedite a lui scritte da uomini illustri, a cura di G. Ghinassi, Faenza, Conti, 1868, vol. 2, pp. 29-30.
[55] Opere varie italiane e francesi raccolte e pubblicate per cura del dottor Giovanni Labus, Milano, Stella e Figli, 1831, vol. 4, pp. 547-549.
[56] ANF, F/7, cart. 10866, Prima lettera di Visconti a Fouché (Parigi, 6 floreale IX: 26/04/1801).
[57] ANF, F/7, cart. 10866, Seconda lettera di Visconti a Fouché (Parigi, 6 floreale IX: 26/04/1801).
[58] La proposta gli fu formalizzata dal ministro Talleyrand il 21 aprile 1800 (AMAE, Cp, Naples, cart. 127, ff. 26-27), mentre la nomina ufficiale avvenne il 14 maggio (ANF, F/7, cart. 7735, dr. 105).
[59] ANF, F/7, cart. 10866, Lettera di Berthier a Visconti (Parigi, 15 ventoso VIII: 6/03/1800).
[60] AMG, Shat, XH, dr. 24.
[61] «Moniteur universel», 30 vendemmiaio IX (22/10/1800).
[62] A.M. Rao, Esuli. L’emigrazione politica italiana in Francia (1792-1802), Napoli, Guida, 1992, pp. 487-499.
[63] Edito dalla calcografia Piranesi, il testo conteneva, in accompagnamento ai disegni del pittore Tommaso Piroli, informazioni storiche redatte da Visconti.
[64] «La Décade», 10 fruttidoro X (28/08/1802), pp. 399-408.
[65] ANF, BB/11, cart. 100/A, dr. 3546.
[66] Opere varie italiane e francesi, cit., vol. 4, pp. 570-574.