Paolo Conte
Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c8
In questo discorso, inoltre, va poi aggiunto che il suo percorso professionale nella Parigi napoleonica si caratterizzò anche per un impegno culturale non casualmente improntato in direzione classicista. Così, se da un lato collaborò con amici di vecchia data come i fratelli Piranesi alla pubblicazione dei diversi volumi de Les Antiquités d’Herculanum [63]
, dall’altro intervenne sulle colonne de «La Décade» per pubblicamente sottolineare l’importanza di una maggiore attenzione alla storia dell’arte antica [64]
. E ancora, se da un lato diede alle stampe nel 1807 il settimo e ultimo tomo del pluridecennale lavoro sul Museo Pio Clementino, dall’altro consolidò la sua posizione in seno alle istituzioni francesi ottenendo addirittura un doppio incarico all’Institut National. Infatti, nel gennaio 1803 era nominato per volontà del primo Console componente della Classe delle belle arti, mentre nel luglio dell’anno successivo veniva eletto fra i membri della Classe di letteratura antica [65]
. E va detto che in questo ruolo egli molto operò per favorire la nomina di eruditi romani al ruolo di corrispondenti stranieri dell’Institut, come attestato dalla circostanza per cui, su sua proposta, nel 1805 tale carica venne attribuita all’amico Gherardo De Rossi [66]
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A questi, del resto, egli si era rivolto sin dal 1803 per avere suggerimenti utili al lavoro che, proprio in coincidenza con il suo ingresso all’Institut, gli era stato affidato da Napoleone in persona, ossia un progetto estremamente ambizioso che – stando alla sua stessa corrispondenza – si proponeva di realizzare «un’opera sull’iconografia antica, la quale abbraccerà tutti i ritratti degli uomini illustri» [67]
. Ma lasciamo la parola allo stesso Visconti per ricostruire, attraverso il resoconto fornito nel febbraio 1806 all’amico Luigi Lamberti, tempistiche e protettori di quelle sue fortune in terra di Francia:
Voi già sapete che nel 1803 l’Imperatore, allora primo Console, mi nominò membro dell’istituto nella Classe delle belle arti, nella nuova organizzazione che ne fece, e che, in virtù di questa stessa organizzazione che permette di appartenere a più Classi e moltiplicare i trattamenti, l’anno seguente concorsi a un posto vacante nella Classe di letteratura antica, e l’ottenni subito per libera elezione de’ miei confratelli. Ora sto lavorando ad una grand’opera contenente l’iconografia greca e romana, ossia la collezione di tutti i ritratti autentici dell’antichità. L’Imperatore me l’ha ordinata, e il ministro delle relazioni estere M. Talleyrand è quello che la fa eseguire per conto del Ministero [68]
.
Insomma, a favorire i suoi incarichi erano stati niente meno che Napoleone e Talleyrand, il primo sempre attento a utilizzare le competenze degli uomini presenti a Parigi a vantaggio della sua politica culturale e il secondo già in passato diretto superiore di Visconti quando questi aveva operato in seno alla Commissione per il soccorso ai rifugiati. E certo egli seppe mettere a frutto tali incarichi molto presto, dato che già nel luglio 1804 veniva nominato cavaliere della Legion d’onore [69]
. Ma soprattutto, la coincidenza temporale fra la committenza dell’Iconographie ancienne e l’ingresso di Visconti all’Institut National dimostra come gli obiettivi delle istituzioni francesi tendessero a saldarsi con le esigenze dei {p. 285}rifugiati italiani: le prime sempre più intenzionate a sfruttare l’antichità classica per legittimare il contemporaneo modello francese (tanto consolare, quanto imperiale), e i secondi disposti di buon grado a contribuire a un progetto che, oltre a permettere di risolvere la non marginale questione della propria sopravvivenza, consentiva di mantenere alta l’attenzione internazionale sulla plurisecolare storia della penisola [70]
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Dunque, gli anni dei massimi riconoscimenti in Francia furono per Visconti anche gli anni della redazione di un’opera che, almeno per la prima parte, sarebbe poi stata data alle stampe, «con una spesa veramente imperiale», nel 1811, quando per i prestigiosi tipi di Pierre Didot uscivano a Parigi i primi tre volumi, quelli dedicati all’età greca e composti di un totale di poco meno di 500 disegni [71]
. Spazianti da Omero agli ultimi Tolomei, essi erano organizzati in due macro-sezioni: la prima, dedicata agli «hommes illustres», si componeva di otto capitoli organizzati in ordine cronologico e suddivisi per «categorie professionali» (dai legislatori come Licurgo ai militari quali Pericle, fino agli storici come Erodoto); la seconda, di ben venti capitoli, era dedicata ai «Rois», a loro volta suddivisi per provenienza geografica (dal macedone Alessandro Magno all’africano Annibale passando per lo spartano Cleomene III) [72]
. E che un simile lavoro fosse del tutto funzionale alla politica napoleonica era lo stesso Visconti a riconoscerlo, specificando – questa volta non più nelle corrispondenze private, ma nel Discours préliminaire – quali fossero le ragioni (e i committenti) di quell’opera:{p. 286}
S.M. l’Empereur, à qui rien de grand, de beau et d’utile ne peut échapper, avait le désir de connaître les traits des grands hommes ses devanciers, qui [...] sont ses aïeux de gloire: il a daigné ordonner qu’on recherchât leurs images, et qu’on en formât une collection; et pour que cette collection eût toute l’utilité dont elle est susceptible, il a voulu qu’elle embrassât tous les hommes illustres de l’antiquité, soit qu’ils dussent leur célébrité à leurs vertus, à leurs talents, ou à leur puissance. S.M. a voulu, en un mot, que cet ouvrage fût un corps complet d’iconographie ancienne, et qu’une notice historique et chronologique accompagnât chaque portrait. S.E. le Ministre des relations extérieures m’a transmis les ordres du Souverain, et a fourni aux dépenses nécessaires pour les mettre à exécution [73]
.
Apparsa agli inizi del 1811, l’Iconographie grecque conseguì presto un grande successo, dato che già in febbraio fu trionfalmente recensita dal governativo «Moniteur», che le dedicò un lungo commento redatto dalla penna di un altro componente dell’Institut National quale l’antiquario Aubin-Louis Millin [74]
. Tuttavia, almeno per quanto riguarda la redazione di Visconti, il progetto iniziale sarebbe rimasto incompiuto, perché ai tre volumi consacrati all’antichità greca sarebbe seguito, nel 1817, solo il primo tomo dell’Iconographie romaine [75]
. Infatti, venuto a mancare nel febbraio dell’anno seguente, l’antichista non riuscì a portare a termine il suo lavoro, anche se l’impresa fu poi rilanciata negli anni Venti dall’archeologo lionese Antoine Mongez, che pubblicò i restanti tre volumi fra 1821 e 1829 [76]
. Insomma, un’opera commissionata durante il Consolato e poi in gran parte realizzata negli anni dell’Impero trovava il suo definitivo compimento solo sotto il regno di Carlo X.
Del resto, se la parte dedicata all’età greca era stata ultimata sin dal 1811, il primo volume «romano», quello {p. 287}pubblicato quando Visconti era ancora in vita, veniva dato alla luce, appunto, agli albori della Restaurazione. Una circostanza, questa, che dimostra come anche sotto Luigi XVIII i sostegni governativi per le sue iniziative non fossero affatto stati interrotti e, dunque, come la svolta sancita dal crollo imperiale non avesse affatto comportato la fine delle fortune di un uomo certo connotatosi per la vicinanza alla politica napoleonica, ma altresì contraddistintosi per la realizzazione di lavori che, anche a prescindere dalla classe dirigente al potere, erano giudicati alquanto utili al prestigio culturale di Francia. Anzi, in quei primi anni del ritorno dei Borbone Visconti non solo ebbe modo di approfittare della riapertura dei contatti con l’Inghilterra per recarsi a Londra e prestare la sua consulenza allo studio dei fregi del Partenone di recente acquistati dal British Museum, ma poi ottenne addirittura la cittadinanza francese [77]
.
Un riconoscimento, quest’ultimo, di cui egli beneficiò con disarmante facilità proprio grazie al lavoro svolto negli anni napoleonici. Infatti, nella sua richiesta, datata novembre 1814, non nascondeva come «durant ces 15 ans de son séjour à Paris il a employé tout son temps à des travaux littéraires entrepris la plupart par ordre ou pour le service du gouvernement» [78]
. E si trattava di lavori ormai talmente conosciuti che se da un lato egli stesso non si preoccupava nemmeno di allegarli alla petizione (dicendosi convinto che «ils sont de tout notoriété»), dall’altro finanche il funzionario della Prefettura chiamato a esprimersi sull’eventuale naturalizzazione ribadiva l’inutilità di particolari ricerche sul conto del loro autore:
M. Visconti est actuellement connu en France par ses travaux littéraires, par les savants ouvrages qu’il a publiés et par les récompenses honorables qu’ils lui ont méritées, que je n’ai pas cru devoir prendre des renseignements sur sa personne. Il est chevalier de la Légion d’honneur, membre de l’Institut, dans les deux classes de Beaux-arts et de la Littérature ancienne et {p. 288}conservateur au Muséum royal du Louvre; enfin sa résidence en France depuis l’année 1799 est de toute notoriété publique. Je pense donc, Monsieur, que rien ne s’oppose à ce que sa demande soit favorablement accueillie [79]
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Non a caso, ancora pochi mesi dopo la sua morte, il nuovo ministro degli interni Joseph-Henri Lainé si indirizzava con successo a Luigi XVIII per chiedergli di approvare in via del tutto straordinaria la richiesta avanzata dalla vedova di poter continuare a beneficiare della somma di 1.200 franchi in passato erogata al marito per la compilazione dell’Iconographie [80]
. Ed è significativo, infine, che, nel ripercorrerne la carriera allo scopo di perorare la propria proposta, il ministro sottolineasse come il defunto antichista fosse stato «appelé d’Italie en 1799», perché ciò attesta come negli anni della Restaurazione, pur optando per un generale riconoscimento dei meriti culturali del personale straniero, si tendesse a occultarne la connotazione politica. Come visto, infatti, quell’Ennio Quirino Visconti che per i primi tre lustri del secolo aveva operato oltralpe nelle massime istituzioni culturali del tempo era sì giunto in Francia nel 1799, ma in qualità di esule repubblicano, non certo perché era stato «appelé».
Note
[63] Edito dalla calcografia Piranesi, il testo conteneva, in accompagnamento ai disegni del pittore Tommaso Piroli, informazioni storiche redatte da Visconti.
[64] «La Décade», 10 fruttidoro X (28/08/1802), pp. 399-408.
[65] ANF, BB/11, cart. 100/A, dr. 3546.
[66] Opere varie italiane e francesi, cit., vol. 4, pp. 570-574.
[67] Ibidem, pp. 567-568.
[68] La lettera è riportata in Sforza, Ennio Quirino Visconti, cit., p. 151.
[69] ANF, LH, cart. 2732/20.
[70] Per un quadro sull’uso dell’antichità durante il XIX secolo vedi A. De Francesco, L’antichità della nazione. Il mito delle origini del popolo italiano dal Risorgimento al fascismo, Milano, FrancoAngeli, 2020; P. Treves (a cura di), Lo studio dell’antichità classica nell’Ottocento, Milano-Napoli, Ricciardi, 1962, vol. 1.
[71] E.Q. Visconti, Iconographie grecque, in Iconographie ancienne, ou Recueil des portraits authentiques des empereurs, rois et hommes illustres de l’Antiquité, Paris, P. Didot, 1811, voll. 1-3.
[72] D. Gallo, L’ideologia imperiale e l’Iconographie Ancienne di Ennio Quirino Visconti, in Ideologie e patrimonio storico-culturale nell’età rivoluzionaria e napoleonica, Roma, MiBACT, 2000, pp. 55-77.
[73] Visconti, Iconographie grecque, cit., vol. 1, p. 26.
[74] «Moniteur universel», 21 e 23 febbraio 1811.
[75] E.Q. Visconti, Iconographie romaine, in Iconographie ancienne, ou Recueil des portraits authentiques des empereurs, rois et hommes illustres de l’Antiquité, Paris, P. Didot, 1817, vol. 1.
[76] A. Mongez, Iconographie romaine par le Chevalier E.Q. Visconti, Paris, P. Didot, 1821, vol. 2; 1826, vol. 3; 1829, vol. 4.
[77] Sforza, Ennio Quirino Visconti, cit., pp. 195-198.
[78] ANF, BB/11, cart. 100/A, dr. 3546, Pétition de Visconti (Paris, 29/11/1814).
[79] ANF, BB/11, cart. 100/A, dr. 3546, Rapport de la Préfecture de la Seine (Paris, s.d.).
[80] ANF, F/17, cart. 3237, Rapport du ministre Lainé (Paris, 21/07/1818).