Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c8
Capitolo ottavo Scambi culturali fra i due lati delle Alpi
Abstract
Nella sua ricostruzione dei rapporti fra Italia e Francia nel primo
quindicennio del XIX secolo, Gilles Bertrand ha sottolineato come quella stagione
sia stata determinante nell’elaborazione di una «histoire partagée» tra i due paesi.
La presenza francese, infatti, certo non mancò di assumere tratti progressivamente
autoritari, ma fu al tempo stesso accompagnata da una penetrazione di istanze e
sensibilità italiane anche nel contesto transalpino. Nel settembre 1800, pochi mesi
dopo il ritorno repubblicano nella penisola sancito in giugno dalla battaglia di
Marengo, Pierre-Louis Ginguené, da poco rientrato a Parigi dalla sua missione
diplomatica a Torino, interveniva sulle pagine de «La Décade» per invitare i suoi
connazionali a trarre giovamento anche sul piano culturale dal riavvio dei rapporti
politici fra Italia e Francia. Che la presenza italiana in Francia molto abbia
incentivato il contatto fra i due paesi è dimostrato non solo dalla mobilità in
entrata e in uscita degli uomini della penisola, ma anche dai ruoli di concreta
responsabilità che alcuni di essi svolsero in seno alle istituzioni transalpine. La
loro funzione di mediazione culturale, infatti, si articolò certo attraverso corsi
d’italiano e pubblicazioni di opere letterarie, ma anche mediante incarichi di
responsabilità in organismi ufficiali. Apparsa agli inizi del 1811, l’Iconographie
grecque conseguì presto un grande successo, dato che già in febbraio fu
trionfalmente recensita dal governativo «Moniteur», che le dedicò un lungo commento
redatto dalla penna di un altro componente dell’Institut National quale l’antiquario
Aubin-Louis Millin. Tuttavia, almeno per quanto riguarda la redazione di Visconti,
il progetto iniziale sarebbe rimasto incompiuto, perché ai tre volumi consacrati
all’antichità greca sarebbe seguito, nel 1817, solo il primo tomo
dell’Iconographie romaine.
Dio mio! Davvero non riuscirò mai a vedere gli originali e ammutolire per lo stupore di essere davanti a un’opera di Michelangelo, di Tiziano, e calpestare il suolo di Roma? È possibile passare tutta la vita a vedere questi mirti, cipressi e melaranci in una serra, e non nella loro patria? Non respirare l’aria dell’Italia, non deliziarsi dell’azzurrità del cielo?
1. Fra esuli e passeurs
Nella sua ricostruzione dei rapporti
fra Italia e Francia nel primo quindicennio del XIX secolo, Gilles Bertrand ha
sottolineato come quella stagione sia stata determinante nell’elaborazione di una
«histoire partagée» tra i due paesi
[2]
. A suo giudizio, la nota tesi di Michael Broers sull’«imperialismo culturale»
[3]
che avrebbe caratterizzato la presenza napoleonica nella penisola merita di
essere messa in discussione perché ha finito con lo sminuire la portata dei risvolti
positivi che quella fase ebbe nello sviluppo della cultura italiana, facendo poi passare
sotto silenzio la dimensione bidirezionale di quel contatto. La presenza francese,
infatti, certo non ¶{p. 260}mancò di assumere tratti progressivamente
autoritari, ma fu al tempo stesso accompagnata da una penetrazione di istanze e
sensibilità italiane anche nel contesto transalpino. Così, se ci si è a lungo
concentrati sulla presenza militare e amministrativa francese nella penisola, occorre
sottolineare come questa fu altresì accompagnata da una circolazione di uomini e testi
fra i due lati delle Alpi che avrebbe non poco condizionato l’evoluzione della vita
culturale dell’uno come dell’altro paese. Insomma, all’«Italia di Bonaparte»
[4]
si aggiungeva anche una «Francia degli italiani», intendendo per questi
ultimi sia militari e funzionari, sia un personale letterario, artistico e scientifico
che, attraverso corrispondenze e pubblicazioni, incise non poco nell’articolazione dei
rapporti fra i due paesi. All’espansione francese nella penisola si associava, seppur
con intensità inferiore, una crescente penetrazione italiana nella vita
politico-culturale d’oltralpe, tant’è che Bertrand conclude la sua analisi constatando
come in quei 15 anni
l’Italie a pénétré en France les sphères du goût et intégré des pratiques tant administratives que scientifiques à travers ses ressortissants présents jusqu’au sein de l’appareil de l’État, au point qu’il paraît difficile de lire la France sans l’Italie et de les détacher l’une de l’autre [5] .
In questa reciproca compenetrazione,
un ruolo cruciale fu svolto dai cosiddetti passeurs, cioè coloro i
quali ebbero, per competenze linguistiche e posizioni professionali, una funzione di
mediazione fra i due paesi. Un ruolo, questo, che fu assunto anche da quel personale
politico giunto in Francia a seguito del crollo repubblicano del 1799 e poi rimastovi
per diverso tempo, così divenendo un protagonista decisivo nell’attuazione di tali
transferts culturali. Non è un caso, dunque, se negli ultimi
tempi quell’esilio è sempre più concepito non come una mera fase di «repli et détresse
culturelle», ma come un’occasione per «réfléchir et com¶{p. 261}prendre
[...] les directions que la culture italienne, et surtout celle littéraire, allait
prendre face aux bouleversements de la société»
[6]
. In tale contesto, inoltre, la presenza in Francia di un personale
politicamente connotato e culturalmente progredito non solo costituì di per sé un
fattore di mediazione culturale, ma pose anche le basi per la formazione di
réseaux a loro volta alimentati da flussi migratori innescati
da motivi professionali. Al tempo stesso, il rientro in Italia, se e quando avvenne,
diede modo di diffondere nel paese d’origine le conoscenze e le esperienze apprese in
terra straniera. Insomma, sia operando oltralpe per far conoscere il prestigio di arti,
lettere e scienze italiane, sia rientrando in patria a seguito di un periodo alquanto
formativo, tali esuli furono una componente decisiva nel rendere possibile la reciproca
conoscenza fra i due paesi.
Ad esempio, Domenico Alberto Azuni,
patriota nativo di Sassari giunto in Francia sin dal 1798 a causa della partecipazione
alla rivoluzione sarda, nel 1802 portava a compimento uno studio sulla sua terra
d’origine con cui forniva al pubblico francese informazioni storiche e geografiche sulla
Sardegna al fine di rivendicare la centralità dell’isola nello scenario mediterraneo. In
un’operazione erudita che assumeva chiare finalità politiche in un contesto in cui
l’isola era divenuta il bastione della monarchia sabauda, la sua Histoire
géographique, politique et naturelle de la Sardaigne da una lato
permetteva di applicare all’analisi dello scenario sardo le nozioni di economia politica
apprese in quegli anni in Francia e dall’altro serviva a difendere l’importanza
dell’isola per mantenere alta l’attenzione delle istituzioni napoleoniche nei confronti
di una sua possibile occupazione
[7]
. Infatti, egli riconosceva come lo scopo della fatica fosse quello di «faire
connaître l’état ancien et actuel de cette île», nella convinzione che «la position de
cette île, au ¶{p. 262}centre de la Méditerranée, entre les deux grands
continents de l’Europe et de l’Afrique; [...] la sûreté de ses ports; la richesse de ses
mers, doivent l’avertir qu’elle est destinée par la nature à tenir un rang distingué
parmi les nations commençantes»
[8]
. Non a caso, il testo avrebbe suscitato l’interesse della stampa francese,
che, facendo notare come la Sardegna fosse «moins connue que beaucoup d’îles des mers
orientales», lo definì «interessant et nécessaire» anche in considerazione del fatto che
non esisteva «en français aucun ouvrage qui donnât une idée exacte et complète de cette île»
[9]
. In seguito, pur non riuscendo a incidere sulla politica estera napoleonica,
Azuni avrebbe comunque fatto valere le sue competenze, prima ottenendo prestigiose
affiliazioni a società culturali d’oltralpe (fra cui l’Académie des Sciences et des arts
di Marsiglia), poi pubblicando a Parigi ulteriori testi sulla libertà dei mari che
riproponevano in francese alcune fatiche degli anni sardi, infine ottenendo nel 1807 la
presidenza del Tribunale di appello di un’altra città mediterranea quale Genova
[10]
.
Per un esule che provava a far
conoscere la sua terra d’origine in Francia, ve ne era un altro che, dopo essere
rientrato in patria, descriveva quanto aveva avuto modo di vedere oltralpe in occasione
del viaggio verso Parigi condotto durante i mesi che seguirono la forzata fuga da Napoli
per la partecipazione alle vicende repubblicane. Nel 1811, infatti, Giuseppe Castaldi,
che in Francia aveva soggiornato i primi sei anni del secolo per poi rientrare in patria
a seguito del ritorno dei francesi, pubblicava a Napoli per la Stamperia Reale un
resoconto del suo Viaggio fatto per la Francia nell’anno 1800 in
cui descriveva le tappe iniziali del suo «esilio [...] per le note vicende del 1799»
[11]
. Nelle sue pagine, la fuga forzata per motivi politici diventava una sorta
di Grand Tour all’incontrario, ossia l’occasione
¶{p. 263}per descrivere quanto, in termini sia paesaggistici che
culturali, era apparso ai suoi occhi nel corso della risalita dal Mezzogiorno d’Italia
alla capitale francese passando per lo sbarco nel porto di Marsiglia. Tuttavia, per
quanto presentato come una sorta di diario personale redatto nei drammatici mesi
dell’esilio, in realtà il testo si configurava come un lavoro con finalità contingenti,
perché serviva all’autore a suggerire al governo di cui egli stesso era nel frattempo
divenuto funzionario sia gli elementi del contesto francese da prendere a modello, sia
quelli che invece era preferibile evitare nei confini del Regno. Di qui, quanto al
patriottismo francese, l’apprezzamento per il «lodevolissimo» carattere dei cittadini
transalpini che, «comunque discordi tra loro per interessi o per opinioni, sono poi
sempre d’accordo contro il nemico estero», ma anche la critica all’eccesso di «questo
stesso patriottismo» che spesso si trasformava in un «amor proprio condannevole». Di
qui, ancora, l’opinione positiva riguardo il sistema scolastico di Francia, dove «in
ogni Comune vi sono anche scuole elementari mantenute a spese del Comune stesso per
istruire la gioventù»
[12]
.
Sul tema dell’istruzione insisteva
anche un altro rifugiato meridionale quale il calabrese Vincenzo Catalani, il cui
percorso ebbe non poche analogie con quello di Castaldi in quanto anche nel suo caso gli
anni dell’esilio in Francia cominciati nel 1800 si erano interrotti con il ritorno in
patria sei anni più tardi per prestar servizio nelle nuove istituzioni del Regno
[13]
. Proprio nei mesi a cavallo del suo rientro, egli si rendeva protagonista di
una duplice iniziativa editoriale articolatasi nella pubblicazione prima, nel 1805, di
un testo in entrambe le lingue a Bourg-en-Bresse e poi, l’anno successivo, di un
pamphlet in francese a Napoli. Dopo aver trascorso l’esilio come insegnante di italiano
nel liceo di Marsiglia, pubblicava un trattato sull’educazione delle donne,
L’Amico del bel sesso, ovvero nuove riflessioni sull’influenza delle donne
nella società e sulla loro educazione,
¶{p. 264}con cui
denunciava la scarsa attenzione attribuita in Europa all’istruzione femminile. Una
scarsa attenzione che, a suo avviso, era dovuta al fatto che «non si è ancor ben
compreso quanto sia grande l’influenza di questa metà della specie umana sugli usi,
sulle abitudini e su li costumi dell’altra» e contro la quale egli proponeva una serie
di suggerimenti volti a valorizzare l’educazione delle donne al fine di «farle influire
più di quel comunemente si crede nelle nostre società»
[14]
. Dedicato alla moglie del consigliere di Stato Thibaudeau, il testo avanzava
anche considerazioni politiche sul ruolo della rivoluzione come strumento cosmopolitico
di contatto tra i popoli, avviando una riflessione che veniva poi riproposta l’anno
successivo, quando Catalani, non appena rientrato in patria, dava alle stampe a Napoli,
grazie al sostegno del ministro della polizia Saliceti, un Mémoire pour les
Napolitains-français contre les Napolitains-bourbons par un ami de la
vérité
[15]
. In questo lavoro, ritenendo impossibile l’attuazione
nel Regno della napoleonica «politica dell’amalgama», chiedeva un drastico ricambio
della classe dirigente del Regno che favorisse l’ascesa del personale patriottico a
discapito delle storiche élites borboniche. Una proposta, questa, che nasceva dallo
strumentale proposito di rivendicare nuovi impieghi per quegli esuli a lungo costretti
alla lontananza proprio per la loro fedeltà alla causa francese, ossia per quei
«Napolitains partisans de la France [...] dont une partie a été sacrifiée en l’an 7 et
l’autre pillée, tourmentée, exilée»
[16]
.
Note
[1] I. Goncarov, Oblomov, Milano, Feltrinelli, 2012, pp. 221-222.
[2] G. Bertrand, Les années Napoléon (1799-1814), in G. Bertrand, J.-Y. Frétigné e A. Giacone (a cura di), La France et l’Italie. Histoire de deux nations sœurs de 1660 à nos jours, Malakoff, Armand Colin, 2016, pp. 93-116.
[3] M. Broers, The Napoleonic empire in Italy, 1796-1814. Cultural imperialism in a European context?, Basingstoke, Palgrave, 2005.
[4] A. De Francesco, L’Italia di Bonaparte. Politica, statualità e nazione nella penisola tra due rivoluzioni, 1796-1821, Torino, Utet, 2011.
[5] Bertrand, Les années Napoléon, cit., p. 116.
[6] M. Colin, L. Fournier-Finocchiaro e S. Tatti (a cura di), Entre France et Italie: échanges et réseaux intellectuels au XIXe siècle, Caen, Presses Universitaires de Caen, 2018, pp. 12-14.
[7] D.A. Azuni, Histoire géographique, politique et naturelle de la Sardaigne, Paris, Levrault frères, 1802.
[8] Ibidem, pp. XII-XIII.
[9] «Moniteur universel», 28 frimaio XI (19/12/1802).
[10] D.A. Azuni, Droit maritime de l’Europe, Paris, L’auteur, 1805.
[11] G. Castaldi, Viaggio fatto per la Francia nell’anno 1800, Napoli, Stamperia Reale, 1811.
[12] Ibidem, pp. 237, 243.
[13] A. Imerti, Vincenzo Catalani. Neapolitan Jacobin, Jurist, Reformer (1769-1843), Lawrence, KS, Coronado Press, 1976.
[14] V. Catalani, L’Amico del bel sesso, ovvero nuove riflessioni sull’influenza delle donne nella società e sulla loro educazione, Bourg, Janinet, 1805.
[15] V. Catalani, Mémoire pour les Napolitains-français contre les Napolitains-bourbons par un ami de la vérité, Naples, 1806.
[16] Ibidem, pp. 3-4.