Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c8
Quest’ultimo, infatti, dopo essersi
trasferito dalla natia Lione a Parigi nel 1797, sin dagli anni del Consolato aveva
intensificato la sua attenzione verso le produzioni della penisola, per poi fare della
sua libreria, sita nella prestigiosa rue Saint-Honoré, una sorta di vero e proprio
centro di ritrovo della comunità peninsulare, oltre che il cuore della distribuzione di
varie tipologie di testi italiani. In quegli anni, egli procedette sia a editare i
lavori di Biagioli e di Pio, sia a gestire la vendita di opere – tanto in italiano,
quanto in francese – di autori classici della penisola
[39]
. Nei suoi cataloghi erano presenti le Opere Complete di
Ludovico Ariosto in un’edizione veneziana del 1798 e le traduzioni francesi di Tacito
dell’anno successivo; le copie italiane del Dei Delitti e delle
Pene di Cesare Beccaria e le cinquecentesche edizioni dell’Alighieri e
del Petrarca curate dal Vellutello; la Raccolta di tutte le opere
teatrali di Carlo Goldoni e i volumi delle Œuvres di Machiavelli
nell’edizione parigina tradotta da Charles-Philippe Guiraudet proprio nei mesi
dell’espansione repubblicana nella penisola
[40]
. Dunque, quello di Fayolle si configurava come un patrimonio librario non
solo straordinariamente sensibile alla letteratura italiana, ma anche piuttosto ricco
delle edizioni date alle stampe, in Italia come in Francia, negli anni del Direttorio (e
del Triennio), ossia quando egli aveva avuto modo di avviare la conoscenza di
personalità e vicende dell’altro lato delle Alpi.
¶{p. 274}
E va detto, ancora, che il suo
«magasin des livres italiens» fu non poco frequentato anche da uomini che sarebbero
stati per gran parte del XIX secolo fra i protagonisti della diffusione in Francia della
produzione peninsulare. Fra questi spiccava Louis Claude Baudry, ai tempi commesso
presso la sua libreria e a partire dagli anni Venti editore egli stesso delle opere più
significative della letteratura italiana, tra l’altro vendute in una bottega sita in rue
du Coq-Saint-Honoré chiaramente ispirata a quella del maestro
[41]
. Altro assiduo frequentatore del negozio di Fayolle era quel Claude Fauriel
che proprio in quei locali ebbe modo di intensificare la conoscenza di Alessandro
Manzoni, con cui avrebbe poi stretto una duratura amicizia
[42]
.
Del resto, quelli erano anni
cruciali nella veicolazione dell’immagine dell’Italia in Francia e in tutt’Europa. Nel
1807, infatti, videro la luce sia i due volumi del Corinne ou
l’Italie di Madame De Staël, sia il primo dei sedici tomi
dell’Histoire des Républiques italiennes du Moyen Âge del
ginevrino Jean-Charles Simonde de Sismondi. Nel primo caso, un romanzo edito a Parigi
per i tipi di Henry Nicolle che serviva soprattutto a rivendicare l’autonomia sociale
della donna, l’autrice descriveva, non senza tratti autobiografici, il soggiorno in
Italia della protagonista Corinne per così trattare di costumi e bellezze artistiche di
un paese presentato come una terra certo di straordinario fascino, ma anche in
drammatica decadenza
[43]
. Nel secondo, tappa iniziale di un esteso lavoro proseguito per oltre un
decennio e inizialmente edito a Zurigo per poi essere ristampato a Parigi, Sismondi, che
tra l’altro aveva già qualche anno prima sviluppato una riflessione sul modello agricolo
della Toscana
[44]
, dava ¶{p. 275}avvio a una ricostruzione delle variegate
realtà istituzionali italiane durante il Medioevo. Si trattava di un’analisi dello
scenario caratterizzante la penisola dopo il crollo dell’Impero che serviva a riflettere
anche sulla situazione interna di un paese ormai sempre più sotto la sfera d’influenza
di un altro impero, quello napoleonico
[45]
.
Ma l’attenzione che Sismondi
dedicava al contesto italiano d’età medioevale non era certo un fenomeno isolato, perché
in quegli stessi anni a Parigi l’Institut National, ossia il massimo organo della
politica culturale imperiale, decideva di dedicare un intero concorso proprio al tema di
una dominazione medioevale nella penisola. Infatti, il 1° luglio 1808, la terza Classe
di storia e letteratura antica bandiva un concorso (la cui chiusura era fissata per il
mese di marzo 1810) sul seguente argomento:
Quel fut sous le gouvernement des Goths l’état civil et politique des peuples de l’Italie? Quels furent les principes fondamentaux de la législation de Théodoric et de ses successeurs? Et spécialement quelles furent les distinctions qu’elle établit entre le vainqueur et les peuples vaincus? [46] .
Insomma, a testimonianza di come il
tema dell’Italia fosse al centro dell’interesse non solo di singoli autori, le
istituzioni culturali transalpine provavano, attraverso lo specifico caso dei Goti e
dunque sotto la maschera dell’erudizione storica, a trattare del destino di un paese ai
tempi ormai sempre più sotto la sfera d’influenza francese. D’altronde, al momento
dell’indizione del concorso, in Italia come in Francia era piuttosto chiaro come tutti i
territori peninsulari fossero ormai destinati a far parte del sistema di potere
napoleonico sia nella forma degli stati satelliti (come per Regno d’Italia e Regno di
Napoli), sia attraverso l’ancor più palese annessione diretta all’Impero. In
quell’estate ¶{p. 276}del 1808, infatti, dopo che già da anni si era
proceduto a inglobare all’Impero i territori di Piemonte e Liguria, era stata da poche
settimane annessa anche la Toscana, sempre considerata l’area simbolo del prestigio
linguistico italiano, mentre ancora qualche mese prima, in febbraio, le truppe
napoleoniche avevano fatto ingresso in Roma, anticipando il passaggio della città eterna
all’Impero poi ufficializzato l’anno seguente. Quel concorso, dunque, permetteva di
tornare sull’esperimento politico di Teodorico per rileggerne somiglianze e
anticipazioni rispetto a quanto si stava prefigurando all’orizzonte d’Italia e, ancor
più in generale, attestava come il riferimento ai precedenti storici imperiali nella
penisola non si limitasse alla celebre stagione romana, ma trovasse anche nei lunghi
secoli medioevali un’interessante fonte di analogie e confronto
[47]
.
Per la cronaca, se fra i sei
partecipanti non risultano italiani residenti a Parigi (essendovi quale unico cittadino
peninsulare l’ex gesuita Francesco Maria Colle, ai tempi operante a Milano in qualità di
componente del Consiglio di Stato), uno degli autori fu comunque un uomo molto vicino al
mondo dell’esilio italiano quale il giovane studioso di storia antica Joseph Naudet, lo
stesso che nel 1807 si era distinto per aver tradotto in francese il citato saggio sulle
guerre servili in Sicilia di Saverio Scrofani.
Proprio in quegli anni, poi, si
concretizzò in Francia il definitivo riconoscimento dell’importanza di storia e cultura
italiane. L’artefice fu l’uomo che più di tutti aveva operato in tale direzione, cioè
quel Ginguené che, come visto, sin dai primi mesi del secolo aveva esortato a una
ripresa degli studi sulla letteratura italiana. Nella primavera del 1811, infatti, egli
dava alle stampe i primi tre volumi della sua Histoire littéraire
d’Italie, tra l’altro accompagnandoli con un «avertissement» nel quale
precisava come «cet ouvrage a été commencé vers la fin de l’an 1802 pour l’Athénée de
¶{p. 277}Paris» e come molti passaggi fossero stati letti alla presenza
dei suoi amici italiani
[48]
. Ma soprattutto, sin dalla prefazione specificava che la sua attenzione alla
letteratura italiana nasceva da un impulso europeo, ossia dall’iniziale volontà di
ricostruire una più estesa «Histoire littéraire moderne» di cui dovevano far parte anche
gli studi su altre produzioni nazionali (segnatamente quelle spagnole, inglesi e
francesi) e di cui «cette Histoire littéraire d’Italie n’était que la première partie du
plan». Solo in seguito, dopo aver preso atto a lavoro in corso della vastità del
programma, egli aveva deciso – sia per le proprie competenze linguistiche, sia in
ragione del personale rapporto con gli esuli peninsulari presenti a Parigi – di
concentrare i propri sforzi sull’esclusivo caso italiano, «que je connais le mieux, et,
si l’on veut, que j’aime le plus». Nel complesso, dunque, la sua Histoire
littéraire aveva preso avvio con il doppio proposito di far conoscere in
Francia il prestigio della letteratura italiana e di inserire quest’ultima nella più
vasta storia letteraria continentale.
Va detto, poi, che il contributo di
parte italiana a questa monumentale fatica è confermato anche dal suo seguito
editoriale, in quanto durante la Restaurazione il lavoro sarebbe stato continuato, dopo
la morte di Ginguené avvenuta sul finire del 1816, dal calabrese Francesco Saverio
Salfi, patriota di punta del Triennio giunto a Parigi a seguito del crollo dell’Impero e
qui subito attivatosi sia per favorire la pubblicazione dei volumi 7, 8 e 9 che
l’intellettuale bretone aveva lasciato inediti, sia per dare alle stampe gli ultimi
cinque volumi dell’opera
[49]
. Insomma, l’Histoire littéraire d’Italie non solo era
nata dai concreti scambi che Ginguené aveva avuto modo d’intrattenere con gli esuli
italiani, ma poi – come egli stesso ammetteva sin dalla prefazione al primo volume – era
stata animata, oltre che dalla sempre viva consapevolezza dello stretto nesso fra
letteratura e politica, dalla comune ¶{p. 278}volontà di difendere su
scala internazionale l’importanza del patrimonio culturale della penisola
[50]
.
3. Ennio Quirino Visconti: un rifugiato romano ai vertici delle massime istituzioni culturali d’oltralpe
Che la presenza italiana in Francia
molto abbia incentivato il contatto fra i due paesi è dimostrato non solo dalla mobilità
in entrata e in uscita degli uomini della penisola, ma anche dai ruoli di concreta
responsabilità che alcuni di essi svolsero in seno alle istituzioni transalpine. La loro
funzione di mediazione culturale, infatti, si articolò certo attraverso corsi d’italiano
e pubblicazioni di opere letterarie, ma anche mediante incarichi di responsabilità in
organismi ufficiali. Ed è, questo, un punto centrale nel nostro discorso, perché proprio
la circostanza per cui i rifugiati del 1799 riuscirono a ottenere nuove mansioni in
Francia costituisce una delle ragioni principali della loro scelta di proseguire quel
soggiorno. Insomma, le abilità acquisite in patria ancor prima della partecipazione alla
rivoluzione permisero loro di presentarsi alle istituzioni del nuovo paese come uomini
potenzialmente molto utili, perché in grado di contribuire, con il proprio bagaglio di
esperienze e conoscenze, al progetto napoleonico di fare della Francia il baricentro
dell’intera Europa. Di conseguenza, concepire gli esuli non tanto come «rivoluzionari di
professione», ma più semplicemente come uomini per i quali l’impegno politico non fu
disgiunto da conoscenze scientifiche e abilità professionali può aiutare non solo a
comprendere le ragioni alla base della loro militanza rivoluzionaria, ma soprattutto ad
analizzare le modalità con cui essi riuscirono a integrarsi nella società d’accoglienza.
L’esempio senza dubbio più
emblematico è quello del romano Ennio Quirino Visconti, il quale fu, fra i vari esuli
del 1799, colui che più di tutti riuscì a far valere la propria erudizione per avviare
una vertiginosa ascesa sociale che nel giro di poco tempo lo portò a essere una delle
massime
¶{p. 279}autorità culturali dell’Impero. Durante il suo
soggiorno oltralpe, infatti, egli fu a lungo responsabile della sezione delle antichità
dell’allora Muséum Central des Arts (oggi Louvre), contribuendo in maniera notevole
all’implementazione delle relative collezioni, tanto che una delle sue maggiori studiose
quale Daniela Gallo ha sostenuto che «en une quinzaine d’années, il réalisa au Louvre
l’un des plus extraordinaires musées d’art gréco-romain de tous les temps»
[51]
. Non a caso, egli avrebbe prolungato il proprio soggiorno a Parigi fino alla
morte, sopraggiunta nel febbraio 1818 dopo aver ottenuto qualche anno prima la
naturalizzazione francese.
Note
[39] G. Biagioli, Tacito volgarizzato da Bernardo Davanzati, Parigi, Fayolle, 1804; Id., Grammaire italienne élémentaire et raisonnée, suivie d’un traité de la poésie italienne, Paris, Fayolle, 1805; L. Pio, Lettere italiane di più distinti scrittori, Paris, Fayolle, 1807; Id., Scelta di alcune commedie del Goldoni, per uso de’ dilettanti della lingua italiana, Paris, Fayolle, 1810.
[40] BNF, Catalogue des livres de fonds et d’assortiment français et italiens, de L. Fayolle, libraire à Paris.
[41] M.I. Palazzolo, Un editore francese in lingua italiana: Louis Claude Baudry, in «Studi storici», 28, 1987, pp. 203-224.
[42] A. Cento, Fauriel agente dei romantici italiani, ovvero le disavventure editoriali di due poeti, in «Giornale storico della letteratura italiana», 74, 1957, pp. 346-353.
[43] G. De Staël, Corinne, ou l’Italie, Paris, Nicolle, 1807.
[44] J.-C. Sismondi, Tableau de l’agriculture toscane, Genève, Paschoud, 1801.
[45] J.-C. Sismondi, Histoire des Républiques italiennes du Moyen Âge, Zurich, Gessner, 1807.
[46] I testi presentati al concorso sono conservati in AINF, cart. 2H-10, Concours de 1810, État des peuples d’Italies sous les Goths.
[47] A. De Francesco, Teoderico a Parigi, o di un concorso bandito dall’Institut sul dominio dei Goti in Italia, in A. Gamberini e M.L. Mangini (a cura di), Flos studiorum. Saggi di storia e di diplomatica per Giuliana Albini, Milano, Pearson, 2020, pp. 3-19.
[48] P.-L. Ginguené, Histoire littéraire d’Italie, Paris, Michaud, 1811, vol. 1, pp. 13-14.
[49] G. Goggi, Francesco Saverio Salfi e la continuazione dell’Histoire Littéraire d’Italie del Ginguené, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», vol. 2, 1972, pp. 351-407; vol. 3, 1973, pp. 641-702.
[50] Ginguené, Histoire littéraire d’Italie, cit., vol. 1, p. 11.
[51] D. Gallo, Pouvoirs de l’Antique, in J.-C. Bonnet (a cura di), L’Empire des Muses. Napoléon, les Arts et les Lettres, Paris, Belin, 2004, pp. 317-329. Alla Gallo si devono i lavori più completi su Visconti, fra i quali ci limitiamo a segnalare: Visconti, Ennio Quirino, in DBI, Roma, Treccani, 2020, vol. 99.