Paolo Conte
Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c7

Capitolo settimo Classicismo letterario, purismo linguistico e... identità nazionale

Abstract
Nella sua affascinante ricostruzione degli ambienti letterari italiani in Francia agli inizi del XIX secolo, Mariasilvia Tatti ha fatto giustamente notare come fra i settori al tempo animati dagli esuli vi fosse in particolare quello relativo alla didattica della lingua. Un ambito, questo, che, dall’erogazione dei corsi d’italiano alla pubblicazione di antologie e grammatiche, aveva concrete implicazioni nel nuovo soggiorno, perché permetteva a tali emigranti di sfruttare le proprie conoscenze per costruirsi una «possibilità di affermazione immediata e facile». Nel gennaio 1804, il «Journal des débats», uno dei più importanti periodici letterari parigini noto per le sue posizioni conservatrici, lanciava un duro attacco agli indirizzi di uno dei simboli della cultura italiana quale Dante Alighieri. La polemica serviva soprattutto per criticare quella parte dell’intellettualità francese vicina alla comunità italiana e raccoltasi nella redazione di un altro giornale culturale quale l’ormai qui noto «La Décade». Nella seduta del Corpo legislativo dell’8 gennaio 1810 uno dei due deputati del dipartimento della Dora, il giurista Giambattista Somis, presentava ai suoi colleghi un testo italiano dedicato alla Storia della guerra dell’independenza degli Stati Uniti d’America. Il lavoro era apparso da qualche settimana nelle librerie parigine per i tipi dell’editore Dominique Colas ed egli ne chiedeva l’acquisizione nella biblioteca ufficiale. L’autore era proprio l’altro deputato del dipartimento della Dora, ossia quel Carlo Botta che, come riferito a suo tempo dalla spia piemontese Hus, era giunto a Parigi sin dall’autunno 1804. Ancora nel 1822, cioè a ridosso di soli due anni dalla sua seconda fatica storiografica (quella Storia d’Italia dal 1789 al 1814 che nei decenni a venire molto avrebbe condizionato anche le fortune della Storia della guerra dell’independenza), Botta, nel tornare a riflettere sulla lunga stagione alle spalle, avrebbe attribuito le polemiche di quegli anni a quella che, in un misto di orgoglio e amarezza, definiva la «disgrazia dello scrivere italiano».
Caro mio, voi arrivate nel bel mezzo di una battaglia accanita, è necessario che vi decidiate rapidamente. La letteratura è divisa innanzitutto in parecchie zone, ma i nostri grandi uomini sono divisi in due campi. I realisti sono romantici, i liberali sono classici. La divergenza di opinioni letterarie si congiunge alla divergenza delle opinioni politiche, e ne consegue una guerra fatta con ogni arma, inchiostro a torrenti.
Honoré de Balzac [1]

1. Grammatiche e dissertazioni linguistiche: meri ripieghi culturali?

Nella sua affascinante ricostruzione degli ambienti letterari italiani in Francia agli inizi del XIX secolo, Mariasilvia Tatti ha fatto giustamente notare come fra i settori al tempo animati dagli esuli vi fosse in particolare quello relativo alla didattica della lingua. Un ambito, questo, che, dall’erogazione dei corsi d’italiano alla pubblicazione di antologie e grammatiche, aveva concrete implicazioni nel nuovo soggiorno, perché permetteva a tali emigranti di sfruttare le proprie conoscenze per costruirsi una «possibilità di affermazione immediata e facile» [2]
. Tuttavia, se è fuor di dubbio che la dimensione pratica giocò un ruolo fondamentale nello stimolare una simile tendenza, ci sembra al contempo che {p. 222}anche valutazioni a carattere più prettamente politico ebbero un’incidenza non da poco e, dunque, che tale interesse fosse tutt’altro che una «sorta di compensazione alla lontananza e al disimpegno» [3]
.
Le esigenze di sopravvivenza nel nuovo contesto nazionale, infatti, non spiegano del tutto le ragioni di un impegno, quello volto alla produzione di testi a carattere linguistico, che fu caratterizzato non solo da una certa consistenza numerica, ma anche dalla non scontata circostanza per cui ad animarlo furono uomini sin lì estremamente connotati sul piano ideologico. Simili esigenze, inoltre, spiegano ancor meno la prosecuzione nel tempo di tale impegno, le cui reali motivazioni, invece, meritano di essere attribuite innanzitutto a propositi di natura politico-culturale, come del resto spesso emerge dalle singole prefazioni delle opere in questione. Non sembra un caso, dunque, che un numero consistente di esuli si concentrasse – e in maniera non solo prolungata nel tempo, ma via via sempre più intensa – sull’esaltazione della lingua italiana.
In questo discorso, una significativa eccezione è costituita dalle pubblicazioni di Antonio Scoppa, il quale, sbarcato a Marsiglia nell’estate del 1799 e poi rimasto in Francia fino al 1816, fece della lingua madre il modello di perfezione a cui il francese poteva e doveva tendere, così ponendosi in una prospettiva poco apprezzata dai suoi connazionali, ma utile alla politica culturale napoleonica. Da un lato, dunque, vi furono le isolate posizioni di questo prete siciliano che, alle iniziali grammatiche volte a permettere d’«apprendre en peu de temps [...] la langue italienne», avrebbe fatto seguire più ampie dissertazioni linguistiche in cui esaltava la sonorità del francese e le sue connessioni con l’italiano [4]
, {p. 223}e che, nei drammatici mesi del 1815, arrivò a vincere il concorso straordinario indetto dall’Institut National, in tal modo attestando non solo la vertiginosa ascesa che aveva contraddistinto il suo soggiorno oltralpe, ma anche il generale apprezzamento di cui le sue riflessioni beneficiarono da parte delle massime istituzioni parigine [5]
. Dall’altro lato, invece, non mancò – e anzi fu ancor più diffusa – l’appassionata difesa dell’italiano delle origini, difesa particolarmente densa di contenuti politici perché finalizzata a salvaguardare sul terreno culturale quell’identità nazionale che prima il crollo del sogno repubblicano e poi la crescente presenza francese nella penisola avevano ormai reso di difficile realizzazione da un punto di vista istituzionale [6]
.
Così, se già nel 1802 il napoletano Vincenzo Manni, nella sua qualità di professore di italiano, pubblicava a Lione un dizionario francese-italiano [7]
, solo pochi mesi più tardi Gaetano Carcani, dopo esser stato nella Napoli del 1799 direttore della stamperia nazionale, dava alle stampe a Nantes, dove nel frattempo era stato nominato responsabile della biblioteca locale e dove nel 1810 avrebbe proposto la fondazione di una scuola pubblica [8]
, una grammatica in cui non mancavano esplicite prese di posizione in direzione purista. Intitolato La Filologia, ovvero le regole della gramatica italiana, il testo, redatto sia in italiano che in francese, era presentato come {p. 224}una personale offerta dell’autore alla sua «nouvelle Patrie, en reconnaissance de la généreuse adoption [...] trouvée dans son sein» [9]
. Al tempo stesso, il lavoro era accompagnato da una lunga dissertazione che, intitolata Origine, avvanzamenti, disavventure e stato presente della lingua italiana, era sì presentata quale mero «esercizio di lettura», ma in fondo si rivelava il vero cuore delle riflessioni di Carcani [10]
.
Infatti, pur riconoscendo come non si dovesse «alla cieca usare tutte le parole e frasi degli antichi», questi sottolineava la necessità di «più parsimonia e maggior giudizio nell’introdurre nuove parole», per poi esprimere la sua convinzione secondo cui «dagli antichi senza dubbio [...] s’hanno a prendere le regole della grammatica nostra ed infinite belle frasi». Per questo, prima esaltava il contributo del latino nella formazione di una lingua nazionale (convinto com’era che «meglio e men rozzamente per l’ordinario hanno scritto nell’italico idioma quegli che più perfettamente possedevano il latino»), poi si avventurava in una disamina storica sull’italiano che cominciava da quel XIV secolo in cui la «triade» Dante-Petrarca-Boccaccio aveva posto le basi per il modello linguistico da prendere a riferimento:
Senza parere troppo affezionato per quei tre gloriosi maestri che han portato la lingua a sì illustre segno, che da loro le regole e le maniere del parlare tuttavia si traggono, né hanno avuto pari nella proprietà, purità e sincerità dello stile; si può dire [...] che non solo coltivassero, ma perfezionassero ancora la lingua; e come tali fanno e faranno mai sempre autorità e saranno come esempi a tutti quei che in puro e corretto stile vogliono scrivere all’eternità [11]
.
Secondo Carcani, tuttavia, a partire dal Cinquecento ci si era allontanati dalla perfezione stilistica, preferendo «aprire la strada alle metafore ed alle allusioni», mentre in {p. 225}seguito, ossia durante il Barocco, «la corruzione del buon gusto nel XVII secolo divenne ancora più insopportabile». Le cose erano invece migliorate sul finire di quel secolo, quando gli italiani, «volendone riformare il cattivo gusto, hanno facilmente lasciato l’ampolloso del secolo XVII per formarsi uno stile più grave». E non è un caso che, stando alla sua ricostruzione, a contribuire a questo progressivo ritorno della lingua alla sua purezza originaria vi fossero intellettuali quali il giurista Mario Pagano e il grecista Pasquale Baffi che avevano contribuito alla breve esperienza della Repubblica napoletana del 1799 e che egli ricordava in maniera commossa, testimoniando così il sempre vivo legame che univa la nuova prospettiva linguistica con il recente passato politico [12]
. Non è un caso nemmeno che la dissertazione si concludesse con un accorato appello agli «ingegni italiani» ad attivarsi per «arricchire ed ingentilire la nostra lingua», in quanto era sua convinzione che proprio per tale via passasse la possibilità di contribuire, «parimenti fuori d’Italia», a tutelare «il pregio e la gloria» della lingua nazionale [13]
.
In una prospettiva nel complesso simile si collocò anche l’impegno didattico-letterario del ligure Niccolò Giosafatte Biagioli, fra i patrioti giunti in Francia nel 1799 per la partecipazione alla rivoluzione romana e in assoluto fra le figure più interessanti dell’esilio italiano nella Francia napoleonica [14]
. Dopo aver svolto la funzione di insegnante di italiano al Lycée Prytanée in sostituzione del citato Buttura, fra 1804 e 1805 egli diede alle stampe due lavori, entrambi editi per i tipi del «magasin de livres Italiens» di Louis Fayolle e con cui si proponeva di far conoscere oltralpe la bellezza della lingua madre. Nel primo, Tacito volgarizzato da Bernardo Davanzati, riproponeva con tutto il carico della sua vena polemica le
{p. 226}traduzioni in volgare effettuate nel Cinquecento dallo storico fiorentino Davanzati all’esplicito scopo di «dimostrare di quanta precisione e di quanto nerbo sia capace la dolcissima nostra lingua» e così difendere quest’ultimo dagli attacchi subiti da parte di alcuni intellettuali francesi [15]
:
Note
[1] H. de Balzac, Illusioni perdute, Milano, Bur, 1995, pp. 289-290.
[2] M. Tatti, Bohème letteraria italiana a Parigi all’inizio dell’Ottocento, in Ead. (a cura di), Italia e Italie. Immagini tra rivoluzione e Restaurazione, Roma, Bulzoni, 1999, p. 152.
[3] Ibidem, p. 145.
[4] Dato che i suoi testi della stagione consolare sono già stati riportati in questo lavoro (vedi infra, pp. 109-110), qui indichiamo solo quelli successivi: Grammaire italienne pour les dames, Paris, Gérard, 1808; Éléments de la grammaire italienne mis à la portée des enfants de cinq à six ans, Paris, Courcier, 1811; Les vrais principes de la versification développés par un examen comparatif entre la langue italienne et la française, Paris, Courcier, 1811-1814, voll. 1-3; Des beautés poétiques de toutes les langues, considérées sous le rapport de l’accent et du rythme, Paris, F. Didot, 1816.
[5] P. Conte, Il siciliano Antonio Scoppa fra grammatiche italiane e dissertazioni linguistiche. Una voce in controtendenza nella Parigi dei puristi, in «Culture del testo e del documento», 69, 2022, pp. 73-94.
[6] Circa i dibattiti sulla lingua in età napoleonica: E. Baccini, L’impero culturale di Napoleone in Italia. Stampa, teatro, scuola secondo il modello francese, Roma, Carocci, 2023; Ead., L’Empire français et la langue italienne: le débat sur la langue et les conséquences de l’époque napoléonienne en Italie, in «LRF», 16, 2019, online: https://journals.openedition.org/lrf/2680. Sempre utile è anche P. Hazard, La Révolution française et les lettres italiennes, Paris, Hachette, 1910.
[7] Dizionario portatile e di pronunzia francese-italiano ed italiano-francese, Lyon, Cormon e Blanc, 1802.
[8] G. Carcani, Prospectus de l’établissement d’une maison d’éducation à Nantes, Nantes, Busseuil, 1810.
[9] G. Carcani, La Filologia, ovvero le regole della gramatica italiana, Nantes, L’auteur, 1803.
[10] G. Carcani, Origine, avvanzamenti, disavventure e stato presente della lingua italiana, Nantes, s.d.
[11] Ibidem, p. XI.
[12] Ibidem, p. XXVI.
[13] Ibidem, p. XXXI.
[14] F. Timo, Un Italiano della letteratura all’estero: Niccolò Giosafatte Biagioli e il suo impegno per l’affermazione delle lettere italiane nella Parigi del primo Ottocento, in C. Allasia, M. Masoero e L. Nay (a cura di), La letteratura degli Italiani, vol. 3, Gli Italiani della letteratura, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2012.
[15] N.G. Biagioli, Tacito volgarizzato da Bernardo Davanzati, Paris, Fayolle, 1804.