Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c7
Ancora una volta, dunque,
l’attenzione a importanti esponenti della cultura italiana era funzionale alla
promozione della lingua, reputata il principale mezzo per rivendicare all’Italia una
funzione internazionale, poiché «fra le più pregiate cose e le più care che abbiam noi
altri italiani, pregiatissima e carissima è senza alcun dubbio la dolce e bella lingua
nostra, la quale in tutta Europa e senza fallo ancor nel mondo intero ora è pur la sola
che non sol ritrae, ma avanza ancor assai la melliflua sonorità delle più belle lingue antiche»
[29]
. Del resto, Angeloni non nascondeva
¶{p. 231}come con tale
lavoro intendesse continuare a servire la mai abbandonata causa patriottica:
Se con questa picciola opera esser potrò, come dianzi io dissi, non del tutto disutile alla mia cara patria, io mi terrò troppo bene il più contento ed il più appagato uomo del mondo; perciocché quantunque io senta, col cangiare aspetto e pelo, menomarsi in me tutti gli altri appetiti, pur nondimeno quello dell’amor patrio sì fattamente in me diviene ogni dì più fervente [30] .
Insomma, per Angeloni, per Biagioli,
per Carcani e per altri ancora, la difesa del plurisecolare prestigio dell’italiano non
era solo un (seppur importante) mezzo di sostentamento, ma originava da un più profondo
progetto culturale volto a tenere acceso, appunto sul terreno linguistico, il fuoco di
una prospettiva nazionale che, nonostante le delusioni e le sconfitte sin lì subite, mai
si era del tutto sopito e che, d’altronde, proprio in un contesto internazionale come
Parigi doveva e poteva essere ulteriormente alimentato.
2. «Caecus non judicat de colore»: per un Dante «napoleonico»
Nel gennaio 1804, il «Journal des
débats», uno dei più importanti periodici letterari parigini noto per le sue posizioni
conservatrici, lanciava un duro attacco agli indirizzi di uno dei simboli della cultura
italiana quale Dante Alighieri. La polemica serviva soprattutto per criticare quella
parte dell’intellettualità francese vicina alla comunità italiana e raccoltasi nella
redazione di un altro giornale culturale quale l’ormai qui noto «La Décade». L’occasione
era fornita dall’avvio, presso l’Athénée di Parigi, dei corsi pubblici sul poeta
fiorentino tenuti dal bretone Pierre-Louis Ginguené, una delle firme di punta de «La
Décade» e figura quanto mai centrale nei rapporti culturali fra Italia e Francia di
quegli anni. Questi, infatti, dopo aver svolto funzioni diplomatiche a Torino durante il
Direttorio, con l’avvento al potere di Bonaparte si ¶{p. 232}era
dedicato allo studio della letteratura peninsulare, facendo delle sue lezioni una sorta
di laboratorio che avrebbe poi portato alla pubblicazione, a partire dal 1811, dei
diversi tomi della monumentale Histoire littéraire d’Italie
[31]
.
Nel numero del 12 di quel mese, il
redattore del «Journal des débats» criticava l’utilità dei corsi pubblici dell’Ateneo e
contestava metodologicamente la lezione inaugurale dedicata proprio alla biografia di
Dante. L’articolo arrivava poi a mettere in discussione lo stesso argomento trattato
nella lezione, ritenendo scongiurabile un’attenzione così pronunciata verso un lavoro,
la Divina Commedia, che in fondo altro non era che un «poème barbare»
[32]
. Ma era con il numero della settimana successiva che il periodico, sempre
per la penna del suo misterioso giornalista firmatosi con la sola iniziale «A.»,
sferrava il suo attacco più veemente al capolavoro dantesco, sostenendo che la «fortune
prodigeuese d’un ouvrage aussi bizarre» fosse a larghi tratti incomprensibile, in quanto
si trattava di un’opera in cui gli enormi difetti non erano affatto compensati da
qualche sporadico tratto positivo:
Un plan irrégulier, des conceptions bizarres, une imagination sans règle et sans frein, des détails souvent horribles et dégoutants, un mélange absurde de la mythologie et de la théologie, des comparaisons triviales et ridicules, un langage barbare, bas ou ampoulé, tels sont les défauts de la Divine Comédie du Dante. Combien grandes doivent être les qualités qui compensent et rachètent de pareils défauts! Comment un écrivain qui choque ainsi, presque à chaque page, les bienséances, le bon sens, la raison et le goût, peut-il être regardé, par une nation polie, comme le premier de ses poètes? [33]
Parole, queste, semplicemente
inaccettabili per gli italiani presenti nella capitale francese, i quali, invece,
nell’opera dantesca vedevano il capolavoro assoluto della propria
lette¶{p. 233}ratura. Così, solo tre giorni più tardi a rispondere con
toni furiosi era «La Domenica», ossia il settimanale italiano che, come detto, sin
dall’estate precedente aveva avviato le sue pubblicazioni a Parigi grazie al contributo
di diversi esuli del 1799. Infatti, in coerenza con la missione che si erano dati di
valorizzare il meglio della letteratura del proprio paese, i suoi animatori riportavano
sdegnati le accuse a Dante per poi informare i lettori di aver deciso di avviare una
quanto mai necessaria analisi del capolavoro del poeta fiorentino. Per il momento, in
quel numero del 22 gennaio in cui in tutta fretta erano state segnalate le gravi parole
del «Journal des débats», ci si limitava a evocare in risposta i versi dello stesso
Dante più qualche significativo commento latino: «“O tu chi sei che vuoi sedere a
scranna, / e vuoi veder da lungi mille miglia, / colla veduta corta di una spanna!”. O
per dirlo in lingua che quadrerà meglio al nostro Aristarco: Caecus non
judicat de colore»
[34]
.
Cominciava di lì, ad opera del
direttore Antonio Buttura, una lunga ricostruzione del viaggio dantesco finalizzata ad
agevolare «ai francesi l’intelligenza del più sorprendente e difficile de’ nostri
poeti»: tale analisi avrebbe occupato, non senza l’accompagnamento della trascrizione di
numerosi versi, un totale di ben 14 numeri per poi interrompersi, dopo oltre 4 mesi,
solo agli inizi dell’estate, alla vigilia della definitiva sospensione del giornale
[35]
. Ed era, il Dante raccontato nelle pagine de «La Domenica», un modello di
riferimento non solo dal punto di vista poetico, ma anche sotto il profilo politico.
Secondo i redattori, infatti, egli aveva tra i suoi meriti l’aver operato, proprio come
loro dall’esilio e proprio come loro mediante una produzione letteraria impregnata di
contenuti ideologici, per gli interessi ¶{p. 234}della penisola,
descrivendo – ad esempio nei celebri versi sulla «serva Italia di dolore ostello», che
non si mancava di riportare – tutti i mali della «situazione politica dell’Italia».
Inoltre, è quanto mai significativo
che tale analisi, nel sottolineare la positiva novità rappresentata dalla circostanza
per cui «una Nazione coltissima vegga formarsi in un paese e in una lingua straniera il
primo corso ben ragionato e completo della propria letteratura», cominciasse con un
esplicito riferimento alle lezioni tenute all’Athénée da Ginguené, di cui si comunicava
di voler metodologicamente seguire lo «stesso cammino» e a cui ci si rivolgeva per
«pregarlo in nome de’ nostri concittadini a proseguir con impegno sino alla meta»
[36]
. Ed è altrettanto significativo che di Dante, non a caso descritto come il
«creatore del puro e dolce idioma nostro», si evidenziasse in particolare il ruolo
svolto nel porre le basi dell’italiano moderno, perché ciò mostra come l’attenzione alla
Divina Commedia si inserisse in un generale lavoro volto, anche
attraverso la divulgazione dei grandi classici, a salvaguardare la lingua delle origini.
Da questo punto di vista, non è un
caso che solo due anni più tardi, ormai cessata l’attività di direttore de «La
Domenica», Buttura – che nonostante gli incarichi presso il Ministero degli esteri non
aveva abbandonato i suoi interessi letterari – compisse un’operazione complementare a
quella effettuata con Dante, incentrata anch’essa sul proposito di difendere il corretto
utilizzo della lingua madre. Nelle prime settimane del 1806, infatti, dava alle stampe
la traduzione italiana dell’Art poétique, opera di uno dei maggiori
poeti francesi del Seicento quale Nicolas Boileau, e lo faceva avendo cura di motivare
in prefazione le ragioni che lo avevano indotto a tale lavoro. Innanzitutto, vi era
«l’utilità che ne potrebbe ritrarre la gioventù studiosa»; poi, non mancava la «lusinga
di poter rispondere anch’io col fatto alle accuse d’inesatta, languida, e lunga, che
soglion dare molti Francesi alla nostra lingua, facendola correre a pruova di forza,
d’esattezza e di brevità coll’opera migliore del loro autor più severo»; infine, era
presente il «desiderio di rendere ¶{p. 235}un sincero omaggio alla
letteratura francese faticando per la nostra, e così nutrire la giusta reciproca stima
fra due nazioni da tanti vincoli unite»
[37]
.
Inoltre, a testimonianza dello
stretto legame che in quegli anni univa letteratura e politica, va aggiunto che se il
lavoro era emblematicamente dedicato a quel Marescalchi ai tempi titolare del Ministero
degli esteri presso il quale Buttura lavorava, sempre nella prefazione questi, che non a
caso solo tre anni dopo avrebbe presentato al pubblico una raccolta di Poesie
liriche consacrate a Napoleone il Grande
[38]
, ricordava «l’invito di Boileau a tutte le muse [...] di celebrare il nome
del suo Monarca e Mecenate» per poi esortare «l’Italia, asilo delle belle arti», a
dimostrarsi capace di «cantar degnamente il Grande che la chiama ad alti destini». Anche
per questo, la traduzione avrebbe ottenuto il gradimento degli italiani raccoltisi nel
salone di Giulia Beccaria, il cui figlio, un giovane di belle speranze di nome
Alessandro Manzoni, non appena letta la fatica dell’esule veronese si affrettava a
scriverne in toni lusinghieri ai suoi corrispondenti a Milano per auspicarne l’adozione
da parte dei licei del Regno d’Italia
[39]
.
Tornando a Dante, ciò che qui più
preme mettere in evidenza è che, al di là della polemica innescata nel 1804 dal «Journal
des débats», gli anni napoleonici si rivelarono a dir poco cruciali per la sua
conoscenza in Francia, dando così avvio al suo utilizzo a scopi politici poi a lungo
sviluppatosi nei decenni risorgimentali
[40]
. Ad esempio, nel 1813 l’editore Salmon offriva al pubblico parigino
un’edizione illustrata della Divina Commedia nella quale i versi
dell’Alighieri erano accompagnati dalle immagini disegnate
¶{p. 236}dalla penna di Sofia Giacomelli
[41]
. Inoltre, in quel contesto Dante era fatto sempre più oggetto d’attenzione
anche da parte dell’intellettualità francese: così, se nel 1811 proprio Ginguené
dedicava al poeta fiorentino gran parte dei primi due volumi con cui cominciava le
pubblicazioni della sua Histoire littéraire d’Italie
[42]
, a partire da quello stesso anno il letterato Alexis-François Artaud de
Montor, ai tempi vicino a Buttura e proprio come Ginguené con trascorsi da diplomatico
in Italia, dava alle stampe la traduzione commentata dei tre volumi del capolavoro dantesco
[43]
. Al riguardo, è utile riportare quanto l’autore sosteneva circa finalità e
contesto dell’iniziativa, perché le sue parole attestavano pubblicamente il debito
contratto con una comunità, quella degli italiani in Francia, che molto si era adoperata
per far conoscere i maggiori autori della propria letteratura:
Note
[29] Angeloni, Sopra la vita, le opere ed il sapere di Guido d’Arezzo, cit., pp. 40-42.
[30] Ibidem, pp. 53-54.
[31] P. Grossi, Pierre-Louis Ginguené, historien de la littérature italienne, Berne, Lang, 2006.
[32] «Journal des débats», 21 nevoso XII (12/01/1804).
[33] Ibidem, 28 nevoso XII (19/01/1804).
[34] «La Domenica. Giornale letterario-politico», n. 30, 22 gennaio 1804.
[35] Nello specifico, a parte l’annuncio del 22 gennaio, i numeri con articoli dedicati alla Divina Commedia furono i seguenti: n. 32 (5/02), n. 33 (12/02), n. 34 (19/02), n. 35 (26/02), n. 36 (4/03), n. 37 (11/03), n. 38 (18/03), n. 44 (29/04), n. 45 (6/05), n. 46 (13/05), n. 47 (20/05), n. 48 (27/05), n. 50 (10/06), n. 51 (17/06). All’Inferno veniva dedicato lo spazio maggiore, ossia i primi sette numeri, mentre i successivi tre vertevano sul Purgatorio e gli ultimi quattro sul Paradiso.
[36] Ibidem, n. 32, 5 febbraio 1804.
[37] L’arte poetica di Boileau Despreaux recata in versi italiani da A. Buttura, Paris, P. Didot, 1806.
[38] A. Buttura, Poesie liriche consacrate a Napoleone il Grande, Paris, 1809.
[39] A. Manzoni, Tutte le lettere, a cura di C. Arieti, Milano, Adelphi, 1986, vol. 1, p. 21.
[40] F. Di Giannatale, Il mito di Dante nella letteratura risorgimentale, in G. Motta (a cura di), Il Risorgimento italiano. La costruzione di una nazione, Bagno a Ripoli, Passigli, 2012, pp. 81-95.
[41] La Divina comedia di Dante Alighieri composta e incisa da Sofia Giacomelli, Paris, Salmon, 1813.
[42] P.-L. Ginguené, Histoire littéraire d’Italie, Paris, Michaud, 1811, voll. 1-2.
[43] A.-F. Artaud de Montor, Le Paradis, Paris, Treuttel-Wurtz, 1811; L’Enfer, Paris, Smith-Schoell, 1812; Le Purgatoire, Paris, Blaise-Pichard, 1813.