Sindacato e rappresentanze aziendali
DOI: 10.1401/9788815412324/p1
Prefazione alla riedizione digitaledi Cristina Alessi, Ordinaria di Diritto del Lavoro nell’Università di Brescia, Direttrice OSMER
Un percorso di ricerca.
La ri-pubblicazione del volume di
Tiziano Treu sull’evoluzione delle forme di rappresentanza dei lavoratori si colloca nel
quadro della ricerca sulla formazione extra-legislativa del diritto del lavoro che aveva
condotto alla pubblicazione, tra l’altro, del lavoro di Umberto Romagnoli su
contrattazione e partecipazione, anch’esso recentemente inserito nello Scaffale di
Lavoro e Diritto
[1]
. Il percorso di ricerca intrapreso dall’A. riguarda lo sviluppo e
l’affermazione di nuovi modelli di rappresentanza dei lavoratori in azienda, attraverso
l’analisi delle vicende che hanno investito, negli anni compresi tra il 1954 e il 1970,
la FIM-CISL. L’accostamento dei due volumi mi pare particolarmente importante, dal
momento che la loro lettura ci consente di cogliere gli aspetti fondamentali della
rappresentanza sindacale in azienda, l’azione e l’organizzazione
[2]
, in anni cruciali per la sua affermazione. L’accostamento, come del resto
ricorda lo stesso Treu, è rilevante anche per il metodo di indagine, dovuto per entrambi
gli Autori all’attenzione «anzi alla curiosità riservata fin dall’inizio alle prassi
applicative del diritto, ¶{p. 2}alla law in
action»
[3]
. Si tratta di un dato che si ritrova con molta
intensità nella dottrina del periodo
[4]
, tanto che il rinvio ai dati di realtà «si rivelò poi fondamentale per
l’acquisizione di una consapevolezza metodologica della disciplina»
[5]
. La ricerca di Treu si caratterizza infatti per l’approccio empirico, per
l’analisi cioè del concreto dispiegarsi della rappresentanza sindacale in alcune grandi
aziende del Nord Italia, svolta attraverso lo studio della contrattazione aziendale e
della documentazione congressuale, nonché interviste e analisi dei dati
[6]
. Non c’è dubbio che l’attenzione per la prassi delle relazioni industriali
sia un tratto caratteristico della produzione scientifica di Tiziano Treu
[7]
, che l’A. coltiva fin dai suoi studi presso la School of
Industrial Relations della Cornell University tra il 1962 e il 1964, una
scuola «molto attenta alla storia e alla pratica delle relazioni industriali»
[8]
.
L’esperienza statunitense si riflette
nella premessa al volume, dove l’A. denuncia «la disattenzione della nostra cultura,
giuridica e non, per l’osservazione empirica del fenomeno sindacale e della dinamica
interna di tutti i gruppi sociali organizzati», in assenza della quale «resta
¶{p. 3}preclusa ogni possibilità di corretto intendimento
delle realtà indicate». Si tratta di un’impostazione teorica che Treu non ha mai
abbandonato, pur ricordando la necessità di «non sovrapporre il metodo giuridico con la
descrizione e l’analisi dei fatti»
[9]
.
In effetti, la lettura dei risultati
della ricerca offre numerosi spunti per la comprensione non solo del fenomeno
dell’organizzazione sindacale a livello di impresa negli anni immediatamente precedenti
all’emanazione dello Statuto dei lavoratori, ma anche delle soluzioni adottate, per
l’appunto, dal legislatore, in particolare nell’art. 19, che ha rappresentato il momento
più importante per l’affermazione dei diritti sindacali nei luoghi di lavoro, aprendo la
strada al riconoscimento della presenza sindacale come forma di contropotere aziendale
[10]
. Per non dire, poi, che il dibattito sviluppatosi dagli anni ’60 in avanti
può certamente offrire «un materiale importante di riflessione» anche per il futuro
[11]
.
Dalle CI alle SAS e oltre.
Lo studio dell’evoluzione delle forme
di rappresentanza dei lavoratori in quegli anni consente di cogliere il progressivo
declino delle commissioni interne e il tentativo di affermazione delle sezioni sindacali
aziendali come articolazioni del sindacato esterno, nonché lo sviluppo di nuove forme di
rappresentanza che riflettano gli interessi dei lavoratori presenti nei luoghi di lavoro
[12]
. In verità, ¶{p. 4}l’analisi di Treu non si
limita alle dinamiche interne alla FIM-CISL, che resta pur sempre l’angolo visuale
privilegiato, ma riguarda anche la FIOM-CGIL, con la quale spesso la prima viene messa a
confronto.
L’indagine dell’A. mostra come a
partire dalla metà degli anni ’50 si manifesti una progressiva decentralizzazione e
verticalizzazione della struttura contrattuale, attraverso il riconoscimento
dell’impresa come luogo privilegiato per l’azione sindacale e per la differenziazione
salariale, attraverso lo stretto legame che si sviluppa progressivamente tra dinamiche
retributive e incrementi della produttività. Questo aspetto, sottolinea l’A., segna però
la distanza delle posizioni della FIM rispetto alla FIOM, quest’ultima particolarmente
restia ad ammettere una diversificazione del trattamento economico su base aziendale
[13]
.
In quegli stessi anni, il passaggio
dalle CI alle SAS apre un acceso dibattito in ordine al ruolo e alle funzioni di queste
ultime articolazioni del sindacato territoriale, sulla spinta delle rivendicazioni da
parte dei lavoratori di una maggiore autonomia e di un più stretto collegamento con le
realtà aziendali. In particolare, la questione centrale diviene quella della possibile
attribuzione alle rappresentanze nei luoghi di lavoro di un potere autonomo di
contrattazione, questione che vede contrapporsi, anche in questo caso, CISL e CGIL che
tuttavia, pur nell’articolazione delle posizioni, convergono sulla necessità mantenere
il controllo sulla contrattazione aziendale da parte delle organizzazioni sindacali
esterne. Siamo nel pieno della stagione del decentramento controllato, che in realtà si
proietterà ben oltre quegli anni, se si pensa a quanto avviene con le R.S.A. nel periodo
post-statutario e con le R.S.U. a partire dall’accordo del luglio 1993.
¶{p. 5}In verità, già in quel periodo cominciano a
manifestarsi alcune tensioni rispetto al modello di rappresentanza sindacale promosso
dal sindacato esterno e la comparsa di modelli e forme organizzative di diretta
emanazione dei lavoratori, con i quali occorre fare i conti. La ricerca svolta dimostra
anche una forte propensione dell’A. a valorizzare gli strumenti di democrazia sindacale,
quali l’assemblea, e anche l’importanza della partecipazione dei lavoratori alle
decisioni che riguardano l’organizzazione del lavoro e dell’attività produttiva in
azienda.
Dal 1968 in poi, ci dice sempre
l’A., si sviluppa un’intensa attività di contrattazione aziendale, anche di reparto,
specie in stabilimenti come quello dell’IVECO di Brescia
[14]
, accompagnata da un rafforzamento dello strumento assembleare e dalla
comparsa sulla scena dei delegati sindacali e dalla formazione di gruppi extrasindacali.
Il tutto nel quadro di una conflittualità elevata e della rivendicazione di un ruolo non
più subalterno ma autonomo del livello di contrattazione aziendale rispetto a quello nazionale
[15]
.
In questo quadro, si manifesta in
tutta la sua evidenza l’incapacità della SAS di porsi come interlocutrice dell’azienda,
come tramite tra questa e i lavoratori nonché tra i lavoratori e l’organizzazione
sindacale esterna. Il giudizio che ne dà l’A. è dunque di un sostanziale fallimento
dell’istituto e addirittura dell’inconsistenza della SAS come «fattore di rinnovamento
democratico dell’azione
¶{p. 6}aziendale» (p. 147).
Note
[1] U. Romagnoli, Contrattazione e partecipazione, Il Mulino, 1968.
[2] Utilizzo qui, in forma riadattata, gli elementi che secondo Mario Napoli caratterizzano il sindacato: l’organizzazione, l’azione e i destinatari della tutela. Si v. M. Napoli, voce: Sindacato, in DDP, sez. Commerciale, Utet, 1999,
[4] Come osserva M. Barbera, I soggetti antagonisti: i lavoratori subordinati e le organizzazioni collettive, in ‘20 maggio’ Biblioteca del centro Studi di Diritto del Lavoro, n. 2/2007, p. 170.
[5] R. Del Punta, Il contratto collettivo aziendale, in W. Chiaromonte, M.L. Vallauri, Riccardo Del Punta. Trasformazioni, valori e regole del lavoro, vol. II, Scritti scelti di diritto del lavoro, Firenze University Press, 2024, p. 62.
[6] Lo sottolinea anche M. Magnani, L’opera scientifica di Tiziano Treu nel diritto del lavoro in trasformazione, in Jus, 2013, p. 350, che ne parla come di un’opera «frutto di una ricerca condotta sulla base di un’impressionante mole di documenti sindacali e di indagini sul campo, nell’ambito dei gruppi di studio su «La formazione extralegislativa del diritto del lavoro», segnalandone la rispondenza all’insegnamento metodologico di Gino Giugni.
[7] Di tale attenzione si trova traccia in innumerevoli scritti. In questa sede mi limito a ricordare il volume Relazioni Industriali e contrattazione collettiva, scritto con Gian Primo Cella, Il Mulino, 2009.
[10] In questo senso F. Mancini, Relazione, in G. Arrigo, a cura di, Lo Statuto dei lavoratori: un bilancio politico, De Donato, 1977, p. 11.
[11] R. Del Punta, op. cit., p. 57. L’A. riferiva l’osservazione al dibattito in corso verso la fine degli anni ’80 sulla razionalizzazione del sistema contrattuale, ma è osservazione che vale anche per il presente.
[12] B. De Mozzi, La rappresentanza sindacale in azienda: modello legale e modello contrattuale, Cedam, 2012, p. 21 ss.
[13] Su questi aspetti si v. anche M. Napoli, La CISL e il diritto del lavoro, in Jus, 2012, p. 547 ss.
[14] Si vv. i dati riportati a pag. 127, nota 43, che dimostrano come nel periodo considerato la frequenza media degli accordi aziendali a Brescia e provincia sia più elevata che a Milano e provincia. Si tratta di un dato che caratterizza da sempre il sistema di relazioni sindacali nel territorio bresciano, come dimostrano le ricerche effettuate dall’OSMER (Osservatorio sul mercato del lavoro e sulle relazioni collettive). Si v., da ultimo, N. Casnici, M. Castellani, a cura di, Relazioni industriali decentrate. Ricerche empiriche e riflessioni a partire dal caso bresciano, F. Angeli, 2023 e C. Alessi, L. Guaglianone, a cura di, Ragioni e passioni della contrattazione collettiva di secondo livello, Aracne, 2017.
[15] G. Giugni, Diritto sindacale, Cacucci, 2014, p. 170 ss.