Quale welfare dopo la pandemia?
DOI: 10.1401/9788815412003/c1
Sul piano delle disuguaglianze
territoriali, che riflettono quelle sociali più ampie, si muove invece il sesto capitolo
di Michela Voglino e Simone Tosi. Il tema è affrontato da un punto di osservazione
specifico che è quello delle rappresentazioni delle periferie e delle politiche che si
concentrano su questi contesti. Gli autori, muovendo dall’acceso dibattito
¶{p. 22}sulla vita urbana e le disuguaglianze sociospaziali esploso con
i primi lockdown, discutono di questi territori storicamente nati per ospitare «i
newcomers in cerca di cittadinanza» (cfr.
infra, p. 104). Gli autori mostrano come nel tempo la periferia
sia stata progressivamente riconcettualizzata come indicatore spaziale del disagio,
della carenza, della marginalità sociale oltre che geografica. La pandemia ha da questo
punto di vista costituito una grande occasione per una riflessione sui modelli
abitativi, sui luoghi di lavoro, sullo spazio (sia privato sia pubblico spesso carente)
delle relazioni sociali. Il rinnovato interesse per le periferie, secondo gli autori, si
è tuttavia tradotto in scelte relative alla città depoliticizzate che invisibilizzano il
legame tra questione sociale e questione urbana. Una dinamica che Voglino e Tosi
riscontrano nel tentativo di «sbarazzarsi» della periferia e del concetto stesso, senza
tuttavia risolvere – ma dislocando – i problemi sociali (disoccupazione, precarietà
lavorativa, povertà, tensioni etniche ecc.) che ancora oggi, come ieri, danno forma ad
una domanda insoddisfatta di cittadinanza sociale.
La seconda parte del volume si
concentra su aree specifiche di intervento. Se il secondo capitolo di Elena Granaglia ha
permesso di mettere a fuoco la natura non generalizzata ma disuguale dei processi di
impoverimento, David Benassi e Gianluca Busilacchi si occupano nel capitolo settimo, il
primo di questa seconda parte, direttamente del tema della povertà e delle politiche di
contrasto. In particolare, i due autori fanno il punto su quanto è avvenuto in Italia
sul fronte della povertà e delle politiche di sostegno al reddito nei primi anni
successivi allo scoppio della pandemia. Dopo un breve sguardo alle principali
caratteristiche della povertà in Italia, mostrano come gli effetti della crisi
ricalchino queste caratteristiche e abbiano al contempo inasprito la vulnerabilità di
categorie fino ad allora al riparo dal rischio di povertà. Gli autori sottolineano come
l’insieme delle misure adottate per far fronte all’emergenza socioeconomica abbia
consentito di limitare gli effetti della pandemia e contribuito, inoltre, a smorzare le
critiche (feroci, occorre sottolinearlo) al reddito di cittadinanza, che guadagna
proprio in questo periodo maggiore centralità e consenso. Una legittimazione
¶{p. 23}che non ne ha tuttavia impedito la recente abolizione che segna,
per Benassi e Busilacchi, un «deciso passo indietro nella evoluzione del welfare state
italiano» (cfr. infra, p. 138).
Come dicevamo, la pandemia ha poi
portato in primo piano i temi della salute e della sanità pubblica. A questo proposito,
Lavinia Bifulco, Emanuele Polizzi e Vanessa Mascia Turri, nell’ottavo capitolo,
affrontano i problemi strutturali dell’assistenza sanitaria in Italia, in particolare
per quanto riguarda i servizi di prevenzione, le cure primarie e territoriali. Il
disinvestimento nei servizi e nel personale, il peso crescente di attori e logiche di
mercato, la carenza di attività preventiva, e la frammentazione e le disuguaglianze
connesse alla regionalizzazione, sono alcuni dei condizionamenti strutturali di
indebolimento e frammentazione del diritto alla salute oltreché di impreparazione
rispetto all’emergenza sanitaria. Il capitolo evidenzia come sul piano delle risorse si
giochi una partita importante, anche se non l’unica. Molte risorse sono state di fatto
assorbite prima dalla gestione dell’emergenza pandemica e poi dall’aumento dei tassi di
inflazione. Inoltre, nel policy-making mancano chiari segnali di rottura rispetto agli
approcci di mercato, concentrati sul rapporto tra domanda e offerta anziché tra
dimensione sanitaria, sociale e territoriale, cioè sulle diverse condizioni sociali
rilevanti per la salute.
La pandemia ha avuto poi fortissime
ricadute anche sul sistema scolastico italiano. Camilla Borgna e Marco Romito nel nono
capitolo ne ripercorrono le debolezze strutturali e interrogano la capacità del PNRR di
correggere gli squilibri e le fragilità esistenti. Con uno sguardo attento alle
concezioni della scuola e dell’educazione considerate e promosse dal PNRR, e in
particolare sottese alla riforma dell’orientamento, Borgna e Romito osservano la
continuità rispetto alle logiche sottostanti le politiche dell’istruzione degli ultimi
decenni. Tra queste, il managerialismo come paradigma di governance
privilegiato e la riconcettualizzazione della scuola come un «servizio» finalizzato a
promuovere le competenze e l’occupabilità degli studenti.
Quest’ultimo punto è al centro anche
del decimo capitolo, di Anila Alushi, che discute i limiti delle politiche di
¶{p. 24}welfare rivolte ai giovani concentrandosi sull’investimento
sociale quale principale frame dell’agenda europea dell’istruzione
e delle transizioni scuola-lavoro. Alushi ne evidenzia i pilastri principali, a partire
dall’importanza dell’istruzione e della formazione di competenze come investimento nel
capitale umano. Rispetto all’Italia, è evidenziata sia la limitata penetrazione
dell’investimento sociale nell’agenda nazionale sia la tendenza a tradurlo nei termini
più restrittivi dal punto di vista degli effetti di uguaglianza e giustizia sociale.
L’autrice sottolinea come la pandemia abbia invece reso evidente la necessità di
approcci capacitanti. Il riferimento è all’approccio delle
capabilities di Sen [1999] che enfatizza il rapporto di
interdipendenza tra l’agency individuale e le opportunità dei
contesti sociali e istituzionali, una sfida il cui futuro ci sembra ancora decisamente
incerto e aperto a evoluzioni differenti.
A simili conclusioni giunge anche
l’undicesimo capitolo, di Maria Chiara Cela, che fa il punto sulle politiche abitative
in Italia e sul diritto all’abitare dei giovani nel contesto di storica
residualizzazione che caratterizza questo ambito del welfare. L’autrice si sofferma
sulla cronica debolezza delle risposte di policy a questo problema,
e in particolare sulle criticità connesse all’introduzione di forme di condizionalità
che fanno dell’attivazione dei beneficiari un criterio dirimente per l’accesso dei
giovani al residuale diritto all’abitare. Oltre all’ampliamento e alla ristrutturazione
del patrimonio pubblico, Cela evidenzia l’importanza che il welfare abitativo si integri
in un quadro composito di politiche in grado di proteggere da nuovi e vecchi rischi
sociali e di contrastare le dinamiche di impoverimento del lavoro che incidono
negativamente sulle opportunità di accesso alla casa. Anche in questo caso, tuttavia,
l’autrice segnala come la rinnovata consapevolezza del ruolo che l’abitare riveste nella
vita delle persone durante la pandemia non sembra aver fatto (ri)acquistare altrettanta
centralità alla questione abitativa nell’agenda politica italiana.
Il volume è stato realizzato con il contributo del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale, Università di Milano-Bicocca, ¶{p. 25}nell’ambito del Progetto di Eccellenza 2018-2022, ed è parte delle attività di ricerca del Working Group «Welfare e Istituzioni» diretto da Lavinia Bifulco. In particolare, nasce da una riflessione avviata a partire dal ciclo di incontri Quale welfare dopo la pandemia? La riorganizzazione del welfare e il nodo della cittadinanza ai tempi del Covid-19. Gli incontri si sono svolti da remoto durante i lockdown del 2020 e del 2021 e hanno coinvolto molti dei colleghi e delle colleghe che hanno contribuito alla realizzazione di questo volume. Il nostro ringraziamento va sia a loro sia a chi ha partecipato agli incontri offrendo spunti preziosi alla discussione. Un importante ringraziamento va anche a Sandro Busso e Nicola de Luigi per gli utilissimi commenti alla prima versione del libro.
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