Quale welfare dopo la pandemia?
DOI: 10.1401/9788815412003/c7
Capitolo settimo
Pandemia e povertà in Italia di David Benassi e Gianluca Busilacchi
Notizie Autori
David
Benassi è professore ordinario di Sociologia economica presso l’Università di
Milano-Bicocca, dove insegna Sistemi di welfare comparati e Povertà e salute. I suoi
principali interessi di ricerca riguardano l’analisi della povertà e della disuguaglianza,
con particolare attenzione alle conseguenze sulla salute, e l’analisi dei sistemi di
welfare. Ha recentemente pubblicato il volume Poverty in Italy. Features and
drivers in a European Perspective (con C. Saraceno ed E. Morlicchio, 2020;
ed. it. 2022).
Notizie Autori
Gianluca
Busilacchi è professore associato di sociologia economica nell’Università di
Macerata e visiting fellow presso lo European University Institute. Tra le sue recenti
pubblicazioni: Does the unemployment trap still exist? The case of the Italian
minimum income scheme (con A. Fabbri), in «Social Policy &
Administration», novembre 2023; Contemporary European welfare state
transformations and the risk of erosion of social rights: A normative analysis of the
social investment approach (con B. Giovanola), in «Societies», 13, 2, 2023.
Abstract
Il capitolo che apre la seconda parte dellʼopera è incentrato sul tema della povertà e delle politiche di contrasto. Gli autori esaminano gli interventi di sostegno per contrastare lʼemergenza socioeconomica che ha avuto luogo in Italia nei primi anni successivi alla diffusione del Covid-19. Dalla riflessione emerge come le misure adottate abbiano consentito di ridurre gli effetti della pandemia e di smorzare, seppur temporaneamente, anche le aspre critiche al reddito di cittadinanza.
1. Introduzione
La pandemia da Covid-19 è stato un
evento che ha scosso profondamente le fondamenta sulle quali sono costruite le società
contemporanee, generando un diffuso senso di insicurezza nella popolazione, come
evidenziato nel primo capitolo di Bifulco e Dodaro. L’interruzione delle attività
economiche e il generale senso di incertezza hanno avuto un effetto immediato sul
benessere degli individui, ma come sempre accade le categorie più fragili hanno subito
le conseguenze più gravi. In questo contributo analizziamo quanto è accaduto in Italia
sul fronte della povertà e delle politiche di contrasto. I primi due paragrafi sono
dedicati, il primo, alla ricostruzione delle caratteristiche della povertà in Italia a
partire dal concetto di «regime di povertà», per poi analizzare, nel secondo paragrafo,
l’evoluzione del fenomeno nei due anni successivi allo scoppio della pandemia. Infine,
il terzo paragrafo è dedicato all’analisi dell’efficacia degli strumenti messi in campo,
sia di quelli strutturali (reddito di cittadinanza) sia di quelli straordinari (reddito
di emergenza, vari bonus). Il contributo mette in luce come la pandemia abbia confermato
i tratti di fondo del regime di povertà italiano, ma anche evidenziato la vulnerabilità
di alcune categorie precedentemente al riparo dal rischio di povertà. In questo senso,
l’insieme delle misure messe in campo ha consentito di limitare nel breve periodo gli
effetti della pandemia, ma la loro natura temporanea dimostra che c’è ancora della
strada da fare per disporre finalmente di un sistema strutturato di contrasto alla
povertà. In tale ottica ¶{p. 124}rappresenta certamente un passo
indietro la recente scelta del governo di sostituire (a partire dal
1o gennaio 2024) il reddito di cittadinanza (RDC) con
l’assegno di inclusione, una politica nuovamente categoriale, che farà tornare l’Italia
a essere l’unico paese europeo privo di una misura universalistica di contrasto alla
povertà.
2. La questione della povertà in Italia: il regime di povertà
L’Italia è un paese a elevata
diffusione della povertà: nel 2019
[1]
, prima della pandemia, quasi il 25% degli italiani era a rischio di povertà
o esclusione sociale
[2]
, settimo paese più colpito in UE dopo Romania, Bulgaria, Spagna, Grecia
Lituania e Lettonia. Inoltre, l’Italia, insieme ad altri paesi, manifesta alcune
specificità nel profilo di categorie maggiormente esposte alla povertà. In particolare,
se guardiamo al profilo demografico dei soggetti maggiormente esposti al rischio di
povertà economica (fig. 7.1), vediamo che in Italia, come in Spagna e in Grecia, sono
maggiormente esposti i minori di 18 anni, mentre gli anziani oltre i 65 anni sono più
protetti rispetto alla popolazione in generale. Altri paesi mostrano modelli di
distribuzione del rischio molto diversi. La povertà lungo il ciclo di vita segue quindi
logiche diverse in funzione dei fattori che determinano la distribuzione dei rischi di
impoverimento.¶{p. 125}
Al fine di dare una chiave di lettura
dei diversi profili di povertà presenti nei paesi europei, Saraceno, Benassi e
Morlicchio [2020; 2022] hanno proposto un approccio basato sul concetto di «regime di
povertà». Adottando una prospettiva strutturale allo studio della povertà [Brady 2019],
gli autori sostengono che dimensioni, caratteristiche e intensità della povertà sono un
effetto delle condizioni strutturali che regolano l’accesso alle risorse necessarie per
il benessere degli individui e delle famiglie. Le sfere istituzionali entro le quali
vengono generate e distribuite tali risorse sono, in una chiave polanyiana, la famiglia
e la comunità (reciprocità), il mercato (scambio) e lo Stato (redistribuzione), che
interagendo tra di loro definiscono le diverse combinazioni di risorse accessibili da
parte degli individui. In ciascuna di queste sfere prendono forma assetti istituzionali
che sono variabili nei diversi paesi e che possono cambiare, lentamente, nel tempo
all’interno dello stesso paese. Per esempio, l’età di uscita dalla famiglia d’origine
varia sensibilmente ¶{p. 126}in Europa passando da un minimo di 19 in
Svezia e 21 in Danimarca a valori massimi anche superiori ai 30 anni nei paesi
mediterranei e orientali (Italia 29,9, Eurostat 2021). Il passaggio alla vita autonoma è
influenzato da un insieme di condizioni che attengono alle tre sfere indicate sopra e
alla loro interazione: nell’ambito della reciprocità riguarda i modelli culturali di
riferimento (matrimonio vs convivenza/single, indipendenza
vs legami familiari, male breadwinner
regime vs coppia paritaria) e il ruolo della famiglia nel sostenere
i progetti di autonomia dei figli; nell’ambito del mercato (del lavoro) sono rilevanti
gli assetti occupazionali generali (tassi di occupazione e disoccupazione specifici,
diffusione dei NEET) e la diffusione di forme contrattuali non standard; infine,
nell’ambito della redistribuzione conta il ruolo delle politiche a sostegno
dell’indipendenza dei giovani (accesso all’istruzione universitaria, accesso alla casa,
sostegno del reddito). Il rischio di povertà nei giovani si configura quindi
all’intersezione tra gli assetti specifici delle tre sfere istituzionali, determinando
un rischio variabile in paesi con assetti diversi e rispetto al corso di vita. L’elevata
incidenza relativa della povertà tra i giovani (tra i 18 e i 24 anni) in Danimarca e
Svezia si spiega con una precoce uscita da casa dei genitori già durante gli studi
universitari o al primo ingresso nel mercato del lavoro, che si ridimensiona molto
rapidamente negli anni successivi: un orientamento all’autonomia dei giovani molto
precoce sostenuto da robuste politiche di accesso all’università e alla casa, e un
mercato del lavoro inclusivo integrato da politiche regolative stringenti fanno sì che
la povertà tra i giovani adulti sia un fenomeno vistoso ma temporaneo. Diversamente, in
un paese come l’Italia, data la forte dipendenza dei giovani dalla capacità della
famiglia di sostenere i percorsi di autonomia, in assenza di reali politiche pubbliche
in questo senso e di fronte a un mercato del lavoro selettivo e spesso qualitativamente
scarso, l’età alla quale i giovani lasciano la casa dei genitori è una delle più alte
d’Europa. La centralità della capacità familiare di sostenere il benessere dei propri
componenti, vista la debolezza del mercato del lavoro e delle politiche pubbliche, cioè
quello che è stato chiamato familismo forzato ¶{p. 127}[Gambardella e
Morlicchio 2005], determina sia un’uscita molto ritardata da casa sia una forte
persistenza della povertà familiare. Se dunque in Danimarca e Svezia la povertà è una
fase transitoria nel percorso di transizione alla vita adulta, in Italia (e Spagna)
spesso è una condizione cronica che persiste in tutte le fasi della vita: non per caso,
infatti, il tasso di povertà persistente
[3]
è in Danimarca meno della metà di quello italiano (5,9%
vs 14,1%, Eurostat 2019).
Come l’esempio sulla povertà tra i
giovani adulti mostra chiaramente, l’accesso alle risorse dipende dagli assetti delle
tre sfere ricordate, e dalla complessa interazione tra tutti i fattori coinvolti,
determinando una diversa distribuzione del rischio di povertà tra le diverse categorie
di popolazione. In particolare, il regime di povertà italiano appare caratterizzato da
questi elementi
[4]
:
- un’elevata diffusione, cioè un’incidenza della popolazione e delle famiglie al di sotto della soglia di povertà – comunque venga definita – ampiamente superiore alla media europea (nel 2019 20,1% vs 16,5%) e a elevata persistenza (nel 2019 14,1% vs 10,7%);
- un’elevata eterogeneità territoriale, con alta incidenza nel Mezzogiorno, che è una delle aree maggiormente colpite a livello europeo, e molto contenuta nel Nord, tra le più basse (Campania con il 37,1% vs Emilia-Romagna con 7,3%, nessun altro paese europeo mostra un’oscillazione così ampia, Eurostat 2022);
- una distribuzione del rischio di povertà che diminuisce linearmente al crescere dell’età, quindi un rischio maggiore per i minori di 18 anni (24,5%) e un rischio minore per gli anziani ultra 65enni (16,2%, Eurostat 2019);
- una forte caratterizzazione familiare della povertà, con un rischio nettamente crescente al crescere del numero di componenti, in particolare quando vi sono più minori. Se l’incidenza della povertà totale in Italia nel 2019 è stata¶{p. 128}del 20,1%, quando sono presenti 3 o più minori nel nucleo familiare sale al 30%;
- una elevata diffusione della in-work poverty, cioè della povertà familiare nonostante la presenza di persone regolarmente occupate. Secondo i dati Eurostat (2021), in Italia l’11,5% di tutti gli occupati è in questa condizione, ma aumenta nel caso di chi è impiegato con un contratto a termine (21,5%, dati Eurostat 2021). I dati Istat sulla povertà assoluta (2021) ci segnalano invece che a fronte di un 7% di occupati in tale condizione, tra chi ha un’occupazione di tipo operaio ben il 13,3% si ritrova in povertà assoluta;
- infine, ed è un aspetto che si riscontra in quasi tutti i paesi europei, le persone di nazionalità non italiana scontano un rischio molto più elevato di povertà (31,6%, Eurostat 2019).
Note
[1] Nella prima parte di questo paragrafo limitiamo l’analisi al 2019 per descrivere il regime di povertà italiano in prospettiva comparata prima della pandemia. Nella seconda parte utilizzeremo i dati più recenti per valutare gli effetti che la pandemia ha avuto sulla povertà.
[2] L’indicatore «at risk of poverty or social exclusion» elaborato da Eurostat conteggia tutti gli individui in condizioni di povertà monetaria, o di grave deprivazione materiale e sociale o che vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro. Per ulteriori dettagli vedi il glossario Eurostat https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Glossary:At_risk_of_poverty_or_social_exclusion_(AROPE). Nel resto del capitolo utilizzeremo i dati sulla povertà relativa di fonte Eurostat per descrivere comparativamente il regime di povertà italiano, e i dati sulla povertà assoluta di fonte Istat per analizzare l’impatto della pandemia.
[3] Nella definizione Eurostat è in condizione di povertà persistente chi è povero da almeno tre anni consecutivamente.
[4] Per un’analisi più dettagliata vedi Saraceno, Benassi e Morlicchio [2022].