Orientarsi nell'orientamento
DOI: 10.1401/9788815411648/c1
La stessa denominazione della fase rivela l’accentuazione efficientista della funzione attribuita all’orientamento. In questo periodo l’orientamento deve produrre occupazione, deve rendere visibili le opportunità lavorative e favorirne l’incontro con i soggetti, deve indirizzare, di fatto, le scelte formative e persino la programmazione medesima delle iniziative formative. Nella sua espressione più radicale questa fase ha spesso innescato cortocircuiti temporali: il bisogno espresso dal mondo produttivo è immediato o a corto raggio, gli esiti dei percorsi formativi programmati in risposta a quei bisogni richiedono invece tempo medio-lungo. I soggetti in questo tipo di processo aggiustano le proprie ambizioni e i propri progetti sulla base di una promessa occupazionale che poi non viene mantenuta.
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In questi anni vengono sovrapposte all’orientamento iniziative di informazione e promozione di scuole, università, percorsi formativi e di «opportunità» occupazionali.
Si moltiplicano i career day, i saloni dell’orientamento, gli open day, le giornate di incontro tra aziende e diplomati, tra aziende e laureati.
Le modalità operative di orientamento sono centrate sull’informazione e sullo sviluppo di micro capacità essenziali per il momento della ricerca del percorso formativo o del lavoro (ad es. leggere un piano di studi, redigere un curriculum vitae, sostenere un colloquio di lavoro).
L’accelerazione tecnologica e la rilevante mole di informazioni disponibili online, la progressiva organizzazione e disponibilità delle stesse, i mutamenti molto più rapidi nelle dinamiche economiche e nel mondo del lavoro, la maggiore mobilità di persone e informazioni hanno reso, nonostante le ovvie resistenze, di fatto inutilizzabile il modello nel suo complesso.
3.3. Il paradigma formativo
Dalla seconda metà degli anni Novanta, tuttavia, si può parlare, anche in Italia, di emersione del paradigma formativo.
Il contributo dell’Isfol è stato rilevante per questo passaggio storico: la vivacità incredibile nel sollecitare, sostenere e produrre ricerca, la costruzione e condivisione di strumenti operativi, la creazione di occasioni e l’attenzione a favorire la formazione degli orientatori, la loro aggregazione, le occasioni di confronto e la creazione di un’identità professionale sono stati, in quegli anni, fondamentali [Salomone 2005; Grimaldi, Porcelli e Rossi 2015]. Il contemporaneo avanzamento della ricerca sull’orientamento e una produzione normativa avvertita e stimolante (seppur mai dotata di risorse adeguate), in dialogo con la ricerca medesima, sono stati altri elementi fondativi per il cambio di paradigma. Importante è stato anche il lavoro di associazioni e agenzie formative che in quegli anni hanno tradotto operativamente metodi emergenti, e che hanno contribuito alla formazione, ¶{p. 37}da parte di orientatori esperti, di altre centinaia di nuovi orientatori (con la definizione di figure professionali dotate di ampia strumentazione formativa). Il paradigma formativo prende forza dunque già a inizio secolo anche nelle pratiche orientative, seppure non in quelle maggioritarie [Batini e Surian 2008; Batini 2009; 2011].
L’obiettivo dell’orientamento formativo è quello di aiutare le persone a sviluppare abilità e competenze di autorientamento e di esplorare le proprie capacità, interessi, valori e obiettivi personali, in modo da attuare scelte consapevoli riguardo al loro percorso formativo e professionale.
Nel paradigma formativo l’orientamento intende supportare la persona nella conoscenza e sviluppo di sé e nell’allenamento di una serie di capacità che la conducano all’autonomia nella progettualità e nella gestione di sé e delle scelte, nella consapevolezza dell’interdipendenza con gli altri e delle diverse condizioni di esercizio e difficoltà che possono prodursi. Ci viene in aiuto allora il concetto di capacità combinate, proposto da Marta Nussbaum, che:
non sono semplicemente delle abilità insite nella persona, ma anche le libertà o opportunità create dalla combinazione di abilità personali e ambiente politico, sociale ed economico. Per rendere chiara la complessità delle capacità, mi riferisco a tali libertà sostanziali come a capacità combinate. […] Naturalmente le caratteristiche di una persona (i tratti personali, le capacità intellettuali ed emotive, lo stato di salute e di tonicità del corpo, gli insegnamenti interiorizzati, le capacità di percezione e di movimento) sono fortemente rilevanti per le sue capacità combinate, ma bisogna distinguerle dalle capacità combinate stesse, di cui rappresentano soltanto una parte [Nussbaum 2012, 28].
Il paradigma formativo ritiene che pensare all’orientamento semplicemente come un acceleratore o un facilitatore di scelte faccia incorrere in rischi troppo alti e in fenomeni contro-distributivi.
Tutti i metodi che condividono la finalità di costruzione e sviluppo di apprendimenti, con il soggetto al centro, possono riconoscersi nel paradigma formativo. Assistiamo oggi a un generale accordo, riflesso persino in recenti provvedimenti ¶{p. 38}normativi, sulla rilevanza di questo paradigma (variamente nominato).
I paradigmi di orientamento formativo si caratterizzano per la versatilità di utilizzo in contesti trasversali della vita dell’individuo. Ad esempio, partendo da ordini e gradi scolastici inferiori, percorsi strutturati di orientamento formativo hanno permesso uno spostamento verso maggior consapevolezza personale e acquisizione di nuove conoscenze e competenze in scuole secondarie di primo grado: dopo un percorso basato sul Four-in-line Model di Van Esbroeck [2011], gli studenti hanno rilevato una maggior efficacia in termini di consapevolezza e gestione delle emozioni e dei sentimenti in riferimento all’imminenza di una scelta formativa, nonché una maggior consapevolezza sul piano cognitivo e desideri più nitidi relativamente a una professione lavorativa.
L’orientamento formativo si configura come uno strumento utile anche con studenti di scuola secondaria di secondo grado [Suryadi, Sawitri e Hanifa 2018] e nella transizione tra scuola-lavoro e/o scuola-università [Dato et al. 2023; De Maria e Montorsi 2023]: a titolo esemplificativo, uno studio condotto dall’Università di Padova mette in evidenza come, attraverso un metodo strutturato, gli studenti percepiscano un incremento in termini di competenze e di conoscenze [Restiglian et al. 2020]. Inoltre, risulta essere particolarmente efficace nella prevenzione della dispersione scolastica [Schmitsek 2022] e universitaria, poiché interviene nel miglioramento del metodo di studio, nel rafforzamento della scelta accademica compiuta e nel miglioramento delle relazioni tra docenti e studenti [Piazza e Rizzari 2020].
Le pratiche di orientamento formativo si sono dimostrate particolarmente preziose anche nel convalidare e sviluppare le competenze dei giovani immigrati: uno studio su circa 130 immigrati ospitati dai Centri di accoglienza straordinaria (CAS), Centri provinciali per l’istruzione degli adulti (CPIA), Sistemi di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) e Caritas distribuiti sul territorio di Roma ha messo in risalto che la maggior parte degli utenti si ritiene abbastanza in grado di gestire processi e strategie elaborative ¶{p. 39}per comprendere e ricordare, orientarsi e organizzarsi nei compiti di studio, relazionarsi e collaborare con gli altri nello studio e nel lavoro, controllare e gestire ansia ed emozioni [Margottini e Rossi 2019].
3.3.1. La Teoria del «Life Design» e i metodi al suo interno
La Teoria del Life Design si autodefinisce paradigma [Savickas et al. 2009], ma può essere utilmente ricompresa negli approcci formativi all’orientamento, individua una serie di «snodi», di passaggi fondamentali che rendono necessario cambiare approccio all’orientamento. Passaggi che possiamo considerare parzialmente comuni ai presupposti teorici di altri approcci all’orientamento. Un’attenzione che si sposta dai tratti stabili dell’individuo all’evoluzione continua del soggetto, in interazione dinamica con i propri contesti di riferimento. Il passaggio dalla prescrizione di una posizione lavorativa adeguata alle caratteristiche del soggetto a strategie di adattamento e di coping che l’individuo può utilizzare nel corso del suo continuo processo di autorientamento rappresenta un’importante evoluzione nell’ambito dell’orientamento e della gestione delle carriere. Questo cambiamento riflette una visione più contemporanea dell’orientamento, che considera la carriera come un percorso dinamico che richiede una riprogettazione continua da parte dell’individuo
[13]
. Il passaggio dalla casualità lineare alle dinamiche non lineari: mentre i vecchi modelli di orientamento si basavano sull’idea che, nel processo di individuazione della carriera, i passaggi e le tappe fossero lineari e omogenei per tutti gli individui, nei nuovi approcci all’orientamento, invece l’individuo viene considerato portatore di capacità specifiche di significare il suo contesto, le sue aspettative, i suoi interessi, i suoi valori personali. Per questo motivo, è fondamentale conoscerlo per ¶{p. 40}rintracciare le dinamiche personali in azione nei percorsi di orientamento.
La minore stabilità nelle descrizioni del soggetto attraverso l’individuazione di caratteristiche o tipologie e la maggiore variabilità attribuita agli interessi, rispetto a quanto descritto dalle teorie precedenti modella il processo di orientamento intorno al soggetto, ai suoi significati, ai suoi valori, alle sue aspirazioni, ai suoi interessi.
Le caratteristiche proprie del Life Design Model sono [Hartung 2019; Savickas et al. 2009]:
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il trovare una collocazione permanente (life-long): l’orientamento come sistema di supporto e costruzione di strategie di sviluppo applicabili in tutto l’arco di vita;
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l’essere olistico (holistic): il focus non è sul contesto lavorativo, ma su tutti i differenti contesti «abitati» dal soggetto;
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l’essere contestuale (contextual): una considerazione attenta dei contesti e degli ambienti in cui il soggetto è ed è stato immerso nel corso della sua vita;
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l’essere preventivo (preventive): l’orientamento è uno strumento preventivo per le situazioni di rischio. Non va utilizzato soltanto nel momento in cui il soggetto è chiamato a compiere transizioni, ma va implementato prima, in modo che il soggetto possa affrontare i momenti di transizione avendo già gli strumenti.
Gli obiettivi del Life Design Model sono: il supporto alle persone per lo sviluppo di strategie adattabili e flessibili per i differenti compiti evolutivi; l’aiuto alle persone per comprendere e accedere alle proprie trame di sviluppo attraverso la costruzione di narrazioni coerenti e continuative del proprio percorso; la creazione di occasioni per confrontarsi con differenti attività, con il fine di mettersi alla prova ed entrare in contatto con le proprie abilità e i propri interessi; il supporto per percepirsi autori del proprio sviluppo, stimolando l’intenzionalità nel processo di costruzione delle traiettorie di crescita.
Questo approccio si basa sull’idea che la vita di una persona non debba essere determinata solo dal caso o dalle circostanze esterne, ma che possa essere attivamente progettata e plasmata.
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Note
[13] Qui si segna un punto di distanza da altri approcci che considerano, invece, maggiormente la funzione creativa, creatrice e di costruzione piuttosto che l’adattamento.