Alessandro Sicora, Silvia Fargion (a cura di)
Costruzioni di genitorialità su terreni incerti
DOI: 10.1401/9788815411365/c4
Come si è più volte sottolineato nel capitolo 1, il discorso sulla genitorialità che sembra influenzare politiche, servizi e professionisti, ma anche i genitori stessi, appare ispirato alle idee del modello cosiddetto intensive parenting, tema già affrontato in questo volume, che attribuiscono tutte le responsabilità (e le colpe) ai genitori. In questo capitolo entreremo più in specifico nel merito di quali sono gli standard dell’intensive parenting.
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All’interno di questa ideologia individualista, molti hanno sottolineato come l’essere genitore diventi una performance da misurare in base ai suoi risultati, come emerge anche dall’invenzione del verbo parenting, fare il genitore [Ramaekers e Suissa 2012; Daly 2013; Raffaetà 2015].
Il maternage intensivo non è certo un tema nuovo, ma un aspetto del modo in cui è cambiata la cultura sui bambini negli ultimi anni riguarda l’enfasi sulla centralità del bambino e sulla priorità assoluta che va data ai suoi interessi. In un certo senso i genitori (leggi: le madri) si dovrebbero cancellare, per dedicarsi totalmente ai bambini. Ovviamente come Hays [1996] molti anni fa faceva notare, questi miti sulla maternità sono anche profondamente contraddittori: le madri dovrebbero occuparsi in modo totale dei figli e nello stesso tempo avere un reddito alto per offrire tutte le opportunità ai bambini, ed essere realizzate come donne. In ogni caso la centralità dei bambini non è da considerarsi necessariamente un miglioramento delle loro condizioni di vita: da un lato i bambini sono descritti come preziosi e inestimabili, dall’altro sono anche visti come estremamente vulnerabili in un ambiente ad alto rischio [Smyth e Craig 2017]; da qui, come si è detto anche nel capitolo 1, la perdita per i bambini di tutte le esperienze, pubbliche e non, non supervisionate, e l’idea che i genitori debbano svolgere un ruolo cruciale nel proteggere e prendere il controllo della vita dei loro figli [Furedi 2001; Daly 2013]. Questo sottopone i genitori a forti pressioni e contribuisce ad aumentare le ansie connesse alla genitorialità. A un aumento delle ansie contribuisce anche il crescente impatto della psicologia dello sviluppo e della neuropsicologia che ha contribuito a sottolineare l’impatto delle esperienze infantili e degli stimoli ricevuti in questa fase sullo sviluppo cognitivo della persona. Il fatto che i bambini siano trattati e forniti di stimoli ed esperienze in modo corretto determinerà il loro successo futuro o meno. Anche questo è in sintonia con l’ideologia neoliberale e attribuisce ulteriori responsabilità ai genitori [McDonald-Harker 2016]. Si parla a questo proposito di determinismo genitoriale: se guardiamo a come vengono definiti i doveri dei genitori, e in particolare delle madri, si incontra un ginepraio di indicazioni e regole anche contraddittorie. La costante è che il non seguire queste regole o indicazioni produce danni irreparabili anche a livello dello sviluppo del cervello. In comune queste regole e standard hanno il fatto che sono basati su una concezione dei bambini come una sorta di investimento sociale per futuri guadagni: madri e padri in modi diversi hanno la responsabilità di fornire ai figli tutte le opportunità e gli stimoli per avere successo nella vita [Smyth e Craig 2017; Ramaekers e Suissa 2012]. In breve, i genitori dovrebbero dedicare un’enorme quantità di tempo, e di tempo esclusivo (quality time), e denaro all’educazione dei figli, sia controllando e sostenendo il loro rendimento scolastico, essendo in costante contatto e coinvolti con la scuola, sia organizzando attività extrascolastiche che offrano stimoli di crescita: devono essere in grado di controllare i bambini e guidarli in tutti gli {p. 117}aspetti della vita. Tutti gli aspetti della vita dei bambini dovrebbero essere pianificati e organizzati, in modo da offrire loro una possibilità di sviluppo. Questo garantirebbe risultati elevati a scuola e il successo in una società competitiva [Doepke e Zilibotti 2019]. I compiti dei genitori rispetto ai figli si dilatano: con l’idea del determinismo genitoriale, uno dei miti dell’intensive mothering/parenting, come sostengono Faircloth e colleghi, comporta come risultato che si perde ogni tipo di spontaneità nel rapporto genitori-figli, che viene «professionalizzato» in tutti i suoi aspetti e in tutte le dimensioni di quotidianità [Faircloth, Hoffman e Layne 2013, 6].
Molti sottolineano come, a fronte di questa responsabilizzazione totale dei genitori e di questa rappresentazione dell’educazione dei figli, i genitori reali vengono spesso, se non sempre, rappresentati come non all’altezza del compito, inadeguati, insicuri, bisognosi di guida [Sità 2017; Satta 2017; Macvarish 2014; Ramaekers e Suissa 2012; Richter e Andresen 2012]. Questa visione è collegata a un numero crescente di soggetti che rivendicano l’autorità su come i genitori dovrebbero svolgere il loro ruolo [Favretto 2013; Ramaekers e Suissa 2012; Satta 2017] e/o criticano e definiscono ciò che è sbagliato e ciò che dovrebbe essere fatto.
Peraltro gli standard dell’intensive parenting hanno una dimensione di ricatto morale estremamente potente, che rende molto complesso opporsi ad essi: sostenere che i bambini non devono essere al centro della vita, che non è necessario dedicarsi totalmente in termini di tempo ed energie a loro significa essere tacciati di cinismo e giudicati come cattivi genitori [Hays 1996]. Come si è accennato sopra i miti sono pervasivi: diverse ricerche mostrano come rappresentino un riferimento per insegnanti e professionisti nel valutare i genitori indipendentemente dalle condizioni economiche e di vita della famiglia [Lareau 2011; Fargion 2023; Love et al. 2021].
Se questo può essere considerato un discorso pervasivo sulla genitorialità, comprendere come i genitori, che per ragioni diverse sono in condizioni di particolare instabilità, si riposizionano rispetto all’educazione dei figli, deve anche considerare come i genitori fanno i conti con questi stereotipi sociali. Si tratta di comprendere come le persone fronteggiano le sfide della relazione educativa con i figli e nello stesso tempo come rielaborano le potenti pressioni sociali connesse al discorso sulla genitorialità.

5. Posizionarsi tra radicali cambiamenti e il quotidiano evolversi dei rapporti familiari

Abbiamo presentato la difficile posizione degli assistenti sociali e un approccio teorico che ci ha permesso di analizzare le interviste con i genitori in modo da valorizzare la loro prospettiva. Come si rappresentano i genitori stessi in situazione di instabilità o insicure?{p. 118}
Abbiamo incontrato genitori in situazioni di incertezza molto diverse tra loro. Essere genitori dovendo affrontare una forte precarietà economica o una migrazione forzata significa ad esempio confrontarsi con sfide e risorse molto differenti, che abbiamo cercato di comprendere attraverso questo lavoro di ricerca. Ma anche all’interno delle singole esperienze genitoriali, la dinamicità del fare famiglia, i cambiamenti che attraversano i rapporti intergenerazionali, la continua decostruzione e ricostruzione di equilibri e confini, portano alla definizione di esperienze e vissuti diversificati sia in termini di dinamiche sia in termini di soluzioni da gestire. Anche solo considerando i genitori coinvolti in alta conflittualità abbiamo incontrato situazioni in cui il conflitto è esploso subito dopo la separazione, altre in cui è esploso anni dopo la separazione, per esempio quando uno dei due coniugi ha iniziato un’altra relazione. In alcuni casi invece l’alta conflittualità aveva caratterizzato le ultime fasi del matrimonio. Anche per quanto riguarda il collocamento dei figli sembra difficile fare una classificazione, anche perché le situazioni sono dinamiche e fluide. Le situazioni di genitori LGBT o in migrazione forzata e in povertà presentano un’altrettanto ampia varietà di storie e contesti.
Tuttavia, emergono alcuni aspetti trasversali nelle narrazioni dei genitori che abbiamo incontrato. Questi hanno a che fare con un processo di continua definizione e ridefinizione del proprio percepirsi come genitori, sia rispetto ai propri figli, sia rispetto alle aspettative espresse dalla società e dalle reti relazionali che frequentano, sia dalle istituzioni con le quali si confrontano, in particolare tra queste la scuola, il mondo della sanità e il servizio sociale.
In alcune situazioni il processo di posizionamento come genitori è forzato all’interno di dinamiche del contesto che hanno agito rompendo equilibri consolidati. Questo riposizionarsi dopo una frattura è molto forte nel vissuto di genitori altamente conflittuali, come afferma un papà:
[sono diventato genitore] in due fasi, in una prima fase quella legata a quando fisicamente i miei figli hanno visto la luce. La seconda fase è quando ho avuto il distacco dalla quotidianità per cui la mamma li ha portati via da casa.
Per alcuni genitori la separazione ha significato una modificazione abbastanza radicale del proprio ruolo, che ha a che fare anche con aspetti legati alla gestione quotidiana del proprio carico di lavoro e cura, come afferma una mamma:
Prima già era molto [il lavoro di cura], perché mi occupavo sempre io. Poi si è aggiunto un altro carico, quello di andare anche a lavorare. Quindi a me la separazione non è che mi ha aiutato, mi ha peggiorato ulteriormente.
In altri casi questo radicale cambiamento può essere legato a un cambiamento di contesto, che non si conosce e che spaventa, spingendo verso preoccupazioni molto forti e un senso di incertezza con il quale occorre {p. 119}confrontarsi nella propria quotidiana esperienza genitoriale. Racconta una mamma che ha vissuto l’esperienza della migrazione forzata:
Essere mamma ti dà preoccupazione e io ne sento la responsabilità. Nel mio paese non temevo il futuro. Con la migrazione è iniziato un altro tipo di preoccupazione, il futuro che io sento come il buio. Sto facendo tutto quello che posso per essere una buona madre, ma a volte mi sembra che non sia mai abbastanza ciò che faccio. La preoccupazione per il domani è molto forte perché siamo in una nuova cultura, un nuovo paese, nuova lingua, cambia tutto, ma anche le incertezze sono più grandi.
Tuttavia, in molti casi il processo di posizionamento viene descritto in modo meno radicale, quasi come in una dinamica quotidiana e progressiva di continua ridefinizione del proprio ruolo genitoriale, mentre il peso degli eventi e dei cambiamenti non tocca la sostanza del proprio fare il genitore. In questo caso le modificazioni e i percorsi evolutivi sono collegati con dei processi che non c’entrano con la situazione complessa, ma sono dei percorsi naturali di sviluppo o di crescita insieme, come racconta questo padre che vive una situazione di alta conflittualità:
non è stato quello [la separazione] a farmi cambiare il modo di fare papà. Cambiare il modo di fare il papà me lo fa cambiare l’interazione con i miei figli. (…) Se ho un bambino piccolo basta alzare la voce, lui si acquieta, ma un adolescente anzi si mette ad alzarla più di te. E allora non alzo più la voce, più fermezza e vado proprio a cercare di dargli un modello e un confronto, non più un’imposizione.
Alcuni genitori raccontano di come gli eventi critici che hanno dovuto affrontare rappresentino un’occasione importante per ripensarsi, come se questi fossero un’opportunità per accorgersi maggiormente di come evolve la propria relazione con i figli, come afferma un papà separato:
Lì ho capito che, non voglio dire che prima fossi stato un padre staccato, perché non lo ero. L’educazione familiare e la quotidianità era diversa rispetto a quella di adesso, come potete facilmente immaginarvi. Questo mi ha fortunatamente portato a fare una riflessione e a pensare che il mio ascolto doveva essere superiore rispetto a quello che era precedentemente, perché probabilmente anche i bambini, quasi ragazzi ormai, avranno avuto esigenze diverse.
Il primo e più importante posizionamento i genitori sembrano assegnarlo proprio alla relazione che si costruisce con i figli, che chiede loro di fare i conti con un altro da sé che occorre conoscere e riconoscere, lasciando il dovuto spazio al tempo e ai cambiamenti insiti nell’evoluzione dei singoli individui. Afferma un papà in situazione di alta conflittualità:
Quindi sì io ho cercato da subito con mia figlia di intavolare un buon rapporto, il gioco, il divertimento, lo stare insieme, le piccole cose, quello che finora mia figlia {p. 120}ha fatto e che io ho cercato di seguire. Inizialmente erano cose per bambini piccoli quindi il gioco, lo scherzo. Adesso vedo che sta cambiando, cerco di essere un padre che dà delle indicazioni a mia figlia, cerco di affiancarla, cerco di, se posso, indicarle un metodo, aiutarla a vedere il mondo, di portarla con me, di crescere. Ecco, di crescere come padre e farla crescere come figlia, accanto a suo padre insomma.

5.1. Definirsi attraverso il significativo investimento sul futuro dei figli

Questo posizionarsi e in parte anche lasciarsi definire dall’incontro e dalla quotidiana relazione con i propri figli da molti genitori viene raccontato come un aspetto identitario; ad esempio alcuni genitori hanno risposto alla richiesta di presentarsi come persone mettendo al primo posto il proprio ruolo di mamma o papà, come afferma un papà LGBT:
Ora vuoi o non vuoi ho dovuto interrompere la mia vita, è completamente cambiata in positivo, nonostante le mille difficoltà, assolutamente in positivo, ed è lui che ci dà la forza e il coraggio di cambiare, andare avanti, modificarci, plasmarci per cercare di dargli il meglio.
Oppure i genitori raccontano di aver fatto scelte importanti, a volte anche radicali, per poter garantire ai figli un futuro positivo. Racconta un padre che ha affrontato una migrazione forzata:
Li amo da morire, tutto ciò che ho fatto e che faccio lo faccio per loro. Anche essere venuto qui, è stato pensato e voluto per loro.
Più in generale è possibile affermare che per gli intervistati l’arrivo dei figli nella propria vita ha rappresentato un processo di decentramento rispetto a sé, ai propri bisogni e ai propri tempi, per lasciare uno spazio maggiore a quello dei figli, come afferma un papà LGBT:
i figli in qualche modo ti relativizzano nel tempo perché comunque sia è un qualcosa che va avanti, dopo di te, ma che comunque fa parte di te, e anche nel momento attuale, perché comunque sia i tuoi desideri, le tue cose che vuoi fare, non vuoi fare, eccetera passano anche prima sulle esigenze dei figli… questo però non in maniera di dire come una rinuncia «Che cavolo vorrei fare questa cosa», ma proprio che ti cambia la prospettiva, non ci pensi neanche più, cioè non è che i figli, almeno come le sento io, in qualche modo mi limitano; però appunto sicuramente mi hanno trasformato, nel senso che non penso a un progetto mio senza di loro.
In quasi tutte le interviste con genitori in situazione di precarietà economica emerge la necessità di sacrificare sé stessi come persone per riuscire a fare i genitori; in assenza di risorse adeguate a soddisfare i bisogni fondamentali dei membri della famiglia, si antepongono i bisogni dei bambini [Sanfelici 2022],
{p. 121}si è disposti a tutto. In numerose interviste emerge il sacrificio di sé come persona, ad esempio in risposta a una domanda sulle possibili conseguenze delle difficoltà economiche sulla figlia, una mamma risponde: