Alessandro Sicora, Silvia Fargion (a cura di)
Costruzioni di genitorialità su terreni incerti
DOI: 10.1401/9788815411365/c4
Nel paragrafo precedente si è messa in luce la complessità della posizione degli assistenti sociali e quanto sia complicato entrare in contatto, accogliere e dare spazio all’esperienza dei genitori che il servizio sociale si trova ad af
{p. 111}fiancare. Del resto, le barriere a un ascolto delle prospettive di madri e padri in difficoltà non riguardano solo il servizio sociale.
Nel capitolo 1 si è visto come le narrazioni dominanti sulla famiglia presentino una visione in cui si screditano i vissuti e i pensieri dei genitori, e si tende a definire la genitorialità come intrinsecamente problematica. Alcuni autori [cfr. Treloar 2018] in relazione alla squalifica della voce dei genitori, specialmente se in contesti di sfida, hanno definito la situazione in termini di ingiustizia epistemica, una situazione in cui ai soggetti incasellati in una certa categoria viene negata a priori la credibilità.
La questione aperta è come proporre nuove ottiche per leggere le realtà familiari, in un contesto in cui le famiglie e i pattern relazionali in cui l’educazione dei bambini ha luogo si stanno profondamente allontanando dai modelli ideali dominanti. In altre parole, l’ottica della ricerca CoPInG è stata quella di studiare come si può uscire da una prospettiva che osserva le esperienze e le narrazioni dei genitori a partire da standard predefiniti, e come si può invece spostare il fuoco dell’attenzione e valorizzare i modi in cui le persone ridefiniscono le proprie funzioni e relazioni negli specifici contesti carichi di tensioni e incertezze. Invece che misurare l’allontanamento da qualsivoglia modello ideale, si tratta di trovare delle strade per comprendere come madri e padri negoziano la propria posizione e i propri compiti per fronteggiare la genitorialità. Come si è più volte sottolineato questa è una conoscenza sentita come fondamentale per i professionisti che sono chiamati ad affiancare i genitori e a sostenerli. Ovviamente c’è una consapevolezza che ogni situazione è diversa e unica nella sua peculiarità, e che una delle qualità del servizio sociale è proprio di valorizzare le differenze e personalizzare l’intervento. Tuttavia, avere delle coordinate per una comprensione delle esperienze è senz’altro un contributo per colmare il divario di prospettive che inevitabilmente si produce nell’incontro tra professionisti e persone.
Il riferimento che è emerso come significativo, anche a partire dall’analisi dei dati, è connesso alla teoria del posizionamento elaborata nell’ambito della psicologia sociale da Harré e Van Lagenhove [1999]. Si tratta di un approccio che si presenta come «un possibile apparato concettuale che consente una teorizzazione di costruzionismo sociale basata sull’analisi dinamica delle conversazioni e dei discorsi» [ibidem, 8].
L’ispirazione per questa teoria è venuta proprio dall’avere identificato il ri-posizionarsi come una categoria rilevante nelle rappresentazioni dei genitori. In effetti la teoria del posizionamento, nel contesto della psicologia sociale, propone il concetto di posizionamento come alternativa al concetto di ruolo, che viene visto come un sistema di aspettative statico, rigido e astratto. Il concetto di ruolo non riesce, secondo Harré e Van Lagenhove [ibidem], a cogliere le dinamiche, la fluidità e i processi di continua ridefinizione della propria identità e di ciò che è consentito/dovuto negli specifici contesti relazionali e di vita. Al contrario l’idea di posizionamento è di per sé dinamica e {p. 112}aperta a continue negoziazioni e ridefinizioni nella vita quotidiana, e meglio permette di cogliere la fluidità delle relazioni [Bjerre 2021].
Già nel capitolo introduttivo del libro si è sottolineato come la genitorialità intesa come pratica situata avvenga in contesti di grande instabilità e dinamicità, tanto più nelle situazioni che chiamano in causa la figura dell’assistente sociale. Abbiamo visto come il peso delle ideologie ha portato a vedere la genitorialità in termini di totale responsabilità genitoriale e di un insieme quasi infinito di doveri a volte anche contraddittori, una definizione generalizzata e che non tiene conto degli squilibri connessi al genere o alla classe sociale, ma anche di tutte le circostanze e crisi della vita familiare. La lente offerta dalla teoria del posizionamento è proprio associata alla scelta di voler prendere le distanze da un’ottica del dover essere e degli standard ideali, e ci accompagna anche nell’abbandonare l’idea che abbia un senso guardare alla genitorialità in termini di ruoli stabili e statici. Anzi, come accennato sopra, quello che Harré e colleghi sostengono è che non sia proficuo pensare in termini di sistemi di aspettative astratti per comprendere le interazioni quotidiane nei contesti sociali di vita. Identità e funzioni possono più efficacemente essere lette come costruite e rinegoziate all’interno di pratiche sociali discorsive.
Utilizzeremo il termine «pratica discorsiva» per tutti i modi in cui le persone producono attivamente le realtà sociali e psicologiche (…). La comprensione e l’esperienza degli attori della loro identità sociale, del mondo sociale e del loro posto in esso, è costruita in modo discorsivo [Davies e Harré 1990, 44-45].
Quando Davies e Harré si riferiscono al discorso intendono da una parte una sorta di bagaglio di risorse di modi di definirsi socialmente costruiti, un insieme di possibili schemi cognitivi per comprendere e collocarsi nella realtà sociale. Ma dall’altra si pensa al discorso come a qualcosa di dinamico che gli attori sociali costruiscono nelle interazioni quotidiane.
L’individuo emerge attraverso i processi di interazione sociale, non come un prodotto finale relativamente fisso, ma come un individuo che si costituisce e si ricostituisce attraverso le diverse pratiche discorsive a cui partecipa. Di conseguenza, «chi si è» è sempre una domanda aperta, la cui risposta dipende dalle posizioni rese disponibili nelle proprie e altrui pratiche discorsive e, all’interno di queste pratiche, dalle storie attraverso le quali si dà un senso alla propria e altrui vita. Le storie si collocano all’interno di una serie di discorsi diversi, e quindi variano drasticamente per quanto riguarda il linguaggio utilizzato, i concetti, le questioni e i giudizi morali rilevanti e le posizioni dei soggetti rese disponibili all’interno di essi [ibidem, 47].
Partecipare a una specifica pratica discorsiva in un contesto relazionale vuol dire collocarsi in una categoria che ne esclude o meno altre (ad es. essere padre esclude essere figlio) e in quel momento partecipare alle pratiche discorsive e alla costruzione di significati che sono propri di quelle categorie, {p. 113}nonché muoversi all’interno degli specifici ordini morali che caratterizzano l’appartenenza a dette categorie. In questo senso per le persone collocarsi in una determinata categoria comporta un ricollocarsi in termini di qualità alternative connesse alla posizione e allo specifico ordine morale cui ci si riferisce: per esempio mettere al centro i figli significa essere un bravo genitore e quindi non un cattivo genitore.
Si riconosce come in effetti ciascuna persona assuma diverse posizioni nella vita sociale e partecipi a diverse pratiche discorsive, e come ci sia un lavoro per connettere i differenti processi di posizionamento. Questo lavoro può consentire un’armonizzazione o esporre a contraddizioni: nel nostro caso, per esempio, l’essere donna o uomo, etero o omosessuale da una parte e l’essere madre o padre dall’altra, possono essere presentati in modo armonico, ovvero in termini di contraddizione e conflitto, o anche di non riconoscimento sociale.
Nella narrativa delle persone si può cogliere come esse siano in dialogo e si collochino rispetto ai discorsi sociali cui partecipano in una certa posizione, e nello stesso tempo collochino gli altri personaggi della narrativa (ad es. buon genitore vs cattivo genitore, soggetto che aiuta vs avversario). In questa valutazione emergono anche i modi con cui le persone si confrontano con gli stereotipi sociali, accettano o tentano di opporsi ad essi [Van Langenhove e Harré 2010].
Quindi quando si parla di posizionamento ci si riferisce a come il soggetto si presenta all’interno del discorso o dei discorsi relativi alla categoria (nel nostro caso del genitore). Si considerano quindi le modalità in cui il soggetto, nel dare un senso alla propria storia, attribuisce a sé e agli altri personaggi diritti e doveri e le strategie narrative utilizzate per presentarsi come buon genitore. Questo è un punto centrale della teoria del posizionamento, e cioè come diritti e doveri vengono distribuiti, riconosciuti, misconosciuti, affermati o negati nelle complesse interazioni della vita quotidiana. Le persone si possono sentire in dovere o in diritto, ma nello stesso tempo non autorizzate ad assumere determinate funzioni. Per esempio, un genitore può ritenere parte delle sue funzioni e sentirsi titolato a educare i figli come ritiene opportuno, e nello stesso tempo non sentirsi socialmente autorizzato a farlo. Per il nostro ambito una madre o un padre possono percepire che insegnanti o assistenti sociali in base alla loro posizione di potere si arroghino il diritto di dettare come loro stessi dovrebbe comportarsi con i figli.
Il posizionamento comporta quindi anche un riconoscimento di competenza e di potere: chi è competente rispetto a una certa azione o funzione. Per esempio, uno studio sulle dinamiche familiari ha mostrato come nell’osservazione delle interazioni familiari nel contesto di un’attività di «rimembranze del passato», solo alcuni membri della famiglia erano reputati competenti nel dare un contributo, e i contributi dei «non competenti» venivano ignorati. Inoltre la madre di famiglia aveva il potere di giudice rispetto alla validità dei contributi. Nel caso dei genitori il tema di chi ha competenza su cosa è {p. 114}particolarmente forte e anche ampiamente discusso in questi anni. Senz’altro quando si parla di competenza non si tocca solo la questione genitore/contesto sociale, ma anche la relazione tra genitori e le dimensioni di genere inscritte nella relazione stessa.
In questo senso la comprensione dei modi in cui madri e padri espongono la propria genitorialità in specifici contesti apre a una comprensione dei modi di reinterpretare o contrapporsi ai discorsi dominanti, anche in relazione alle dimensioni di genere connesse alla genitorialità. Vale la pena di sottolineare come lo studio di questi processi consenta di cogliere il lavoro di costruzione della propria identità; si parla di un lavoro perché in ogni contesto o luogo in cui la persona interagisce si riproduce la necessità di ridefinirsi.
Davies e Harré [1990, 48] hanno definito il posizionamento come «il processo discorsivo attraverso il quale i sé sono situati nelle conversazioni come partecipanti osservabili e soggettivamente coerenti in linee narrative prodotte congiuntamente». Le ricerche ispirate al posizionamento si sono quindi spesso incentrate sullo studio di momenti di interazione, su incontri interpersonali tra soggetti e hanno studiato come le persone negoziano le loro posizioni nei contesti sociali rilevanti, affermando diritti e doveri che ritengono propri, che rivendicano o che si sono assunti [Harré et al. 2009]. Per esempio, nello studio citato sopra si sono osservate le dinamiche familiari in una specifica attività tipica di quella famiglia, denominata «rimembranze». Tuttavia, molti studiosi hanno sottolineato anche la rilevanza di questa teoria per l’analisi di interviste e narrazioni intese esse stesse come forme di interazione [Bamberg 1997; Bamberg e Georgakopoulou 2008]. Se l’analisi della narrazione non consente di cogliere le pratiche di negoziazione nel loro attuarsi, tuttavia apre a una comprensione di come le persone costruiscono un significato alla loro esperienza e a come assumono o attribuiscono diritti e doveri, a come si collocano e collocano le altre persone significative nel contesto, rispetto a un determinato ordine morale. Come Harré stesso sottolinea [2008], «il pensiero ha molte forme, ma la forma più importante per la maggior parte delle persone è il pensiero come uso di strumenti cognitivi per svolgere i compiti della vita quotidiana». Quindi comprendere come viene pensata la propria posizione in un certo contesto, nel nostro caso della genitorialità in situazioni di incertezza, analizzare come le persone si sentono viste e giudicate e come reagiscono a questo giudizio, rappresentano strade rilevanti verso una comprensione delle pratiche genitoriali. Una ricerca che illustra questo tipo di analisi è quella presentata da Otterlei e Engebretsen [2022]. I due autori hanno studiato le narrazioni dei genitori cui erano stati allontanati i figli nel contesto della tutela dell’infanzia. In particolare, hanno esaminato come i genitori si sentivano posizionati e si posizionavano rispetto ai professionisti e alle autorità responsabili dell’allontanamento. In questo senso hanno illuminato le forme di resistenza a essere definiti «dei mostri» e i modi per riaffermare la propria umanità. Per esempio, una delle strategie identificate è quella di riconoscere possibili errori {p. 115}e omissioni, ma disconoscere un’intenzionalità che invece i genitori si sentivano attribuita. Un’altra ricerca interessante sempre sulla genitorialità è quella di Love et al. [2021]. Gli autori in questo caso analizzano il rapporto con la scuola delle famiglie afroamericane, a partire da un’analisi delle aspettative in termini di diritti/doveri da parte della scuola nei confronti dei genitori. Si mette in luce come dette aspettative non tengano conto dei contesti di vita e delle disuguaglianze sociali. Anche in questo caso la ricerca mette a fuoco le forme di resistenza da parte dei genitori all’essere posizionati in termini di deficit in relazione a standard basati sulle famiglie bianche di classe media.
In sostanza le domande con cui si interrogano i testi di narrazioni e interviste sono riducibili a tre aree: come la persona si posiziona rispetto agli altri personaggi del racconto e li posiziona in relazione a sé stessa; come la persona si posiziona rispetto all’audience; come la persona si posiziona rispetto a sé stessa.
Nel caso della ricerca sulla genitorialità in situazioni di incertezza e fragilità, la ricerca CoPInG ha messo in luce come una delle questioni costanti che madri e padri affrontano riguardi proprio il comprendere come ridefinire i propri compiti nel fare i conti con la propria situazione di vita: come, a fronte di una carenza cronica di risorse o di un nuovo instabile contesto relazionale, possano essere ridefiniti diritti e doveri in relazione ai figli e ci si possa ricostruire un’identità di buoni genitori. In queste negoziazioni i soggetti reinterpretano e rimodellano le narrazioni prevalenti nella società:
la teoria del posizionamento si concentra sugli incontri interpersonali e su come le cornici normative e gli standard morali influenzino il modo in cui le persone percepiscono le situazioni, vivono, pensano, sentono e agiscono [Otterlei e Engebretsen 2022, 769].
La teoria del posizionamento ci richiama al fatto che quindi questo lavoro è sostenuto e informato da un confronto continuo con gli stereotipi sociali e con i miti sull’educazione dei bambini. A questo proposito, prima di presentare i risultati della ricerca in merito, si introducono alcune riflessioni sugli ideali di genitorialità che si sono affermati negli ultimi decenni.

4. Il peso delle idealizzazioni sulla genitorialità: i dogmi dell’«intensive parenting»

Come si è più volte sottolineato nel capitolo 1, il discorso sulla genitorialità che sembra influenzare politiche, servizi e professionisti, ma anche i genitori stessi, appare ispirato alle idee del modello cosiddetto intensive parenting, tema già affrontato in questo volume, che attribuiscono tutte le responsabilità (e le colpe) ai genitori. In questo capitolo entreremo più in specifico nel merito di quali sono gli standard dell’intensive parenting.
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