«Anche là è Roma»
DOI: 10.1401/9788815410559/c4
Anche i riferimenti al
colonialismo fascista che si intravedono nel libro rientrano per l’appunto in questo
schema. Nel volgersi al passato, Ciccotti aveva buon gioco nell’affermare che
l’espansione della potenza romana era sostanzialmente una realizzazione
repubblicana. La pubblicistica servile sul princeps, tutta
presa dall’equiparazione di antico e nuovo impero, fingeva in certi casi di non
accorgersi che il più delle conquiste romane si era realizzato nei tempi della
repubblica (o tutt’al più sotto Traiano). Nell’analisi di Ciccotti, invece, l’impero
era chiaramente definito «l’opera secolare della Repubblica», «l’opera collettiva
del popolo romano sotto l’insegna repubblicana» (p. 103), di cui «l’autocrazia
diveniva poi “l’occupante” e “l’erede”» (p. 105). Augusto non aveva invece
realizzato alcuna conquista e Ciccotti ravvisa in questo particolare una specifica
del suo regime rispetto alla tipologia di governo da esso rappresentato. «Gli
autocrati – afferma infatti lo studioso –, d’ordinario, dovendo farsi perdonare la
confiscata libertà e il potere assoluto, ricorrono a miraggi di conquiste, onde
lampeggiano a’ soggetti beneficii spesso sognati od effimeri e al dominatore ancor
più effimero prestigio» (pp. 61-62). Al contrario, Augusto non poteva che imporsi
con la garanzia della pace su una società ormai stremata dalle guerre civili. Poiché
l’allusione ai «miraggi di conquiste» non s’inseriva
¶{p. 191}nell’analisi dell’operato augusteo, se non e
contrario, la sua presenza non può che spiegarsi con riferimento agli
eventi contemporanei.
Dopo aver valutato il passato,
Ciccotti passa quindi al pensiero del futuro ed è sulla generale valutazione
dell’impero territoriale costituito da Roma e della maniera di gestirlo da parte di
Augusto che il libro si chiude. Per lo studioso l’impero è anzitutto esito di una
doppia «irrazionalità»: politica, perché implica una perdita di autonomia per
entrambi i soggetti coinvolti, e morale, perché legittima «il dominio di un popolo
su un altro». Tutt’al più, l’impero può rappresentare un compromesso fra le varie
compagini regionali in gioco, ma non può essere che temporaneo. «Appunto perché
compromesso», l’impero porta in sé «i germi della propria dissoluzione» e, in
seguito a un urto esterno «come fu quello de’ Barbari», quella che sembrava la
grande realizzazione di Roma, il «dominio universale», si rivelerà in tutta la sua
fatiscenza (p. 132).
Mostrando le debolezze del
sistema geopolitico augusteo, Ciccotti tentò di rovesciare la retorica della
romanità, ma nel contempo ne adottava anche alcune categorie. L’autore, ad esempio,
deplorava che il sistema imperiale permettesse l’elevazione sociale dei non italici,
dando «a Roma la figura di essere dominata da quelli che un tempo vi erano giunti in
atto di nemici vinti ed in catene» (p. 129). Un’espressione che, insieme ad altre,
denota da parte dello storico una sorta di nostalgia per l’assetto repubblicano,
«quando le colonie avevano avuto un netto carattere di irradiazione romana». Anche
sul piano storiografico Ciccotti, pur avendo la capacità di mettere in luce
contraddizioni e debolezze della politica di regime attraverso la riflessione sul
passato romano, non riuscì a immaginare un’alternativa che non fosse quella del
ritorno indietro. Così come elogiava nostalgicamente le conquiste repubblicane,
così, sul piano politico contingente, si illudeva di dover tener vive le forme
istituzionali dello stato liberale; cioè quelle stesse istituzioni che avevano
permesso la nascita del fascismo.
Il Profilo di
Augusto rappresentò nondimeno un tentativo forte di mettere in
discussione la strabordante retorica fasci¶{p. 192}steggiante che
imperversava nelle monografie romaniste di quegli anni. Forse l’unico attacco al
princeps in quell’anno, mosso da una sede editoriale non
marginale e da parte di un affermato storico dell’antichità. «Fra tanta luce
d’entusiasmo, un’ombra» fu il commento sprezzante di Massimo Pallottino che
ripercorreva le più recenti pubblicazioni su Augusto per la rivista dell’Istituto di
Studi Romani
[91]
. Non si rese conto di aver così paragonato il lavoro di Ciccotti a una
di quelle umbrae che, dietro Enea e la gens
Iulia, sono in realtà fra i grandi protagonisti del poema
virgiliano.
Note
[91] M. Pallottino, Profili di Augusto, in «Roma», giugno 1940, pp. 168-178: 174.