Sergio Brillante
«Anche là è Roma»
DOI: 10.1401/9788815410559/c4
Anche i riferimenti al colonialismo fascista che si intravedono nel libro rientrano per l’appunto in questo schema. Nel volgersi al passato, Ciccotti aveva buon gioco nell’affermare che l’espansione della potenza romana era sostanzialmente una realizzazione repubblicana. La pubblicistica servile sul princeps, tutta presa dall’equiparazione di antico e nuovo impero, fingeva in certi casi di non accorgersi che il più delle conquiste romane si era realizzato nei tempi della repubblica (o tutt’al più sotto Traiano). Nell’analisi di Ciccotti, invece, l’impero era chiaramente definito «l’opera secolare della Repubblica», «l’opera collettiva del popolo romano sotto l’insegna repubblicana» (p. 103), di cui «l’autocrazia diveniva poi “l’occupante” e “l’erede”» (p. 105). Augusto non aveva invece realizzato alcuna conquista e Ciccotti ravvisa in questo particolare una specifica del suo regime rispetto alla tipologia di governo da esso rappresentato. «Gli autocrati – afferma infatti lo studioso –, d’ordinario, dovendo farsi perdonare la confiscata libertà e il potere assoluto, ricorrono a miraggi di conquiste, onde lampeggiano a’ soggetti beneficii spesso sognati od effimeri e al dominatore ancor più effimero prestigio» (pp. 61-62). Al contrario, Augusto non poteva che imporsi con la garanzia della pace su una società ormai stremata dalle guerre civili. Poiché l’allusione ai «miraggi di conquiste» non s’inseriva
{p. 191}nell’analisi dell’operato augusteo, se non e contrario, la sua presenza non può che spiegarsi con riferimento agli eventi contemporanei.
Dopo aver valutato il passato, Ciccotti passa quindi al pensiero del futuro ed è sulla generale valutazione dell’impero territoriale costituito da Roma e della maniera di gestirlo da parte di Augusto che il libro si chiude. Per lo studioso l’impero è anzitutto esito di una doppia «irrazionalità»: politica, perché implica una perdita di autonomia per entrambi i soggetti coinvolti, e morale, perché legittima «il dominio di un popolo su un altro». Tutt’al più, l’impero può rappresentare un compromesso fra le varie compagini regionali in gioco, ma non può essere che temporaneo. «Appunto perché compromesso», l’impero porta in sé «i germi della propria dissoluzione» e, in seguito a un urto esterno «come fu quello de’ Barbari», quella che sembrava la grande realizzazione di Roma, il «dominio universale», si rivelerà in tutta la sua fatiscenza (p. 132).
Mostrando le debolezze del sistema geopolitico augusteo, Ciccotti tentò di rovesciare la retorica della romanità, ma nel contempo ne adottava anche alcune categorie. L’autore, ad esempio, deplorava che il sistema imperiale permettesse l’elevazione sociale dei non italici, dando «a Roma la figura di essere dominata da quelli che un tempo vi erano giunti in atto di nemici vinti ed in catene» (p. 129). Un’espressione che, insieme ad altre, denota da parte dello storico una sorta di nostalgia per l’assetto repubblicano, «quando le colonie avevano avuto un netto carattere di irradiazione romana». Anche sul piano storiografico Ciccotti, pur avendo la capacità di mettere in luce contraddizioni e debolezze della politica di regime attraverso la riflessione sul passato romano, non riuscì a immaginare un’alternativa che non fosse quella del ritorno indietro. Così come elogiava nostalgicamente le conquiste repubblicane, così, sul piano politico contingente, si illudeva di dover tener vive le forme istituzionali dello stato liberale; cioè quelle stesse istituzioni che avevano permesso la nascita del fascismo.
Il Profilo di Augusto rappresentò nondimeno un tentativo forte di mettere in discussione la strabordante retorica fasci{p. 192}steggiante che imperversava nelle monografie romaniste di quegli anni. Forse l’unico attacco al princeps in quell’anno, mosso da una sede editoriale non marginale e da parte di un affermato storico dell’antichità. «Fra tanta luce d’entusiasmo, un’ombra» fu il commento sprezzante di Massimo Pallottino che ripercorreva le più recenti pubblicazioni su Augusto per la rivista dell’Istituto di Studi Romani [91]
. Non si rese conto di aver così paragonato il lavoro di Ciccotti a una di quelle umbrae che, dietro Enea e la gens Iulia, sono in realtà fra i grandi protagonisti del poema virgiliano.
Note
[91] M. Pallottino, Profili di Augusto, in «Roma», giugno 1940, pp. 168-178: 174.