Note
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La relazione tra lettura e consumi culturali è ormai acclarata e anche un’analisi territoriale la conferma [Cepell-AIE 2021]. I consumi culturali risultano positivamente associati alla lettura. Uno studio commissionato nel 2015 da GeMS (gruppo editoriale Mauri Spagnol), La felicità di leggere, realizzato dal Cesmer (Centro di studi su mercati e relazioni industriali dell’Università di Roma III), è stato condotto su un campione di 1.100 persone, divise tra lettori e non lettori. Lo studio avrebbe evidenziato correlazioni tra amare la lettura ed essere più ottimista, meno aggressivo, più predisposto alla positività e riuscire ad apprezzare meglio il proprio tempo libero. Secondo lo studio, l’indice di felicità dei lettori (misurato con la scala di Veenhoven) sarebbe superiore a quello dei non lettori. Analoghi i risultati ottenuti con la scala di Diener e Biswas-Diener, che misura la frequenza di sei emozioni positive (positività, benessere, piacere, felicità, gioia e serenità) vissute recentemente dagli individui: i lettori avrebbero un indice superiore ai non lettori. I non lettori, al contrario, proverebbero con maggiore frequenza le sei emozioni negative (negatività, malessere, dispiacere, tristezza, paura e rabbia). I lettori apparirebbero, infine, più soddisfatti del loro tempo libero rispetto ai non lettori (scala Van Boven e Gilovich che misura l’indice di felicità generato dall’impiego del tempo libero).
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Si rimanda al paragrafo dedicato alla bibliovarietà per un approfondimento.
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Viene tradizionalmente associata la disposizione alla lettura all’esposizione alla lettura stessa nei primi anni di età: bambini esposti alla lettura condivisa fin dalla più tenera età risultano maggiormente interessati alla lettura già all’età di 4 e 5 anni rispetto ai bambini che sperimentano la lettura condivisa soltanto quando sono più grandi [Whitehurst e Lonigan 1998]. I dati sugli interventi intensivi con la lettura ad alta voce condivisa dicono, tuttavia, che anche interventi successivi producono effetti rilevanti. Una serie di studi riferiti all’età adolescenziale ha rilevato la preferenza degli studenti per la lettura ad alta voce dell’insegnante come metodo: sono state evidenziate forti associazioni tra l’utilizzo della lettura ad alta voce e atteggiamenti positivi degli studenti nei confronti della lettura [Ivey 2003; Albright e Ariail 2005; Ariail e Albright 2006]. Uno studio di Hemphill [Hemphill et al. 2015], svolto con un campione di studenti delle scuole secondarie cresciuti in contesti di povertà, evidenzia, ad esempio, come un intervento intensivo di lettura ad alta voce possa migliorare una serie di prestazioni, quali la decodifica di parole, la comprensione, la rapidità e l’accuratezza di lettura. Queste evidenze sottolineano come la scuola possa svolgere un ruolo determinante nell’evitare che le condizioni di svantaggio si cristallizzino. Vale quindi per l’esposizione alla lettura il noto proverbio: «Il momento migliore per piantare un albero è vent’anni fa, il secondo momento migliore è adesso».
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Uno studio longitudinale ha documentato i comportamenti di lettura all’interno di diversi contesti familiari. I dati evidenziano una correlazione positiva tra le condizioni di rischio – basso reddito familiare, bassa scolarizzazione, scarsa salute fisica o mentale dei genitori – e assenza di lettura in famiglia [Taylor, Zubrick e Christensen 2016]. Un’interessante ricerca, che ha comparato studenti di 22 paesi con diversi background di istruzione e livelli di performance riguardanti la lettura, ha evidenziato come coloro che hanno genitori con un livello di istruzione più basso raggiungono risultati inferiori rispetto agli studenti i cui genitori hanno un livello di istruzione più alto. Le differenze nei risultati degli studenti variano tra i 40 e i 90 punti, a vantaggio di coloro che hanno familiari con alto livello di istruzione [Araujo e Costa 2015].
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Già nel 2019, l’Organizzazione per lo sviluppo economico (OCSE-PIAAC) collocava l’Italia in fondo alla classifica per quanto riguarda la percentuale di cittadini (15-65 anni) che ottengono un punteggio intermedio o superiore nelle misure di lettura. I dati OCSE-PISA (INVALSI, 2019) per gli studenti di 15 anni dipingono un quadro simile a quello degli adulti. Come è noto i dati relativi alle abilità in «italiano» secondo l’INVALSI, risultano in peggioramento, nel biennio 2019-2021, in particolare per le secondarie di I e II grado. I punteggi dei laureati italiani sono uguali o inferiori a quelli degli adulti con un diploma dei paesi che si posizionano ai primi posti del ranking OCSE-PIAAC. Oltre a evidenziare punteggi di lettura significativamente inferiori alla media degli altri paesi, i lavoratori italiani utilizzano tali abilità in modo meno intensivo.
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Nel 2020 è aumentata leggermente (complice forse la pandemia) la quota dei lettori rispetto all’anno precedente: solo il 41,4% delle persone di 6 anni e più ha letto almeno un libro negli ultimi 12 mesi. A partire dall’anno 2000, quando la quota di lettori era al 38,6%, l’andamento è stato crescente fino a toccare il massimo nel 2010 con il 46,8% per poi diminuire di nuovo e tornare, nel 2016 (40,5%), intorno al livello del 2001. Si registra stabilità fino al 2019 e poi una lieve crescita nel 2020. La quota più alta di lettori continua a essere quella dei giovani. Tra gli 11 e i 14 anni ha letto almeno un libro per motivi non strettamente scolastici o professionali il 58,6% dei ragazzi (negli ultimi 10 anni questa fascia registra un calo di 6,8 punti percentuali). Nel 2020 la percentuale delle lettrici è del 46,4%, in aumento di 2 punti percentuali rispetto al 2019, e quella dei lettori è al 36,1%. Il divario si manifesta dal 1988, anno in cui risultavano lettori il 39,3% delle donne rispetto al 33,7% degli uomini. Il pubblico più affezionato alla lettura è rappresentato dalle ragazze tra gli 11 e i 24 anni: oltre il 60% ha letto almeno un libro nell’anno [Istat 2022].
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Nel 24,4% delle famiglie italiane, cioè in 6,2 milioni di nuclei familiari, non si arriva a una «biblioteca» composta da più di 10 libri. Solo il 7,3% delle famiglie possiede una biblioteca di più di 400 libri: poco più o poco meno di dieci metri lineari [Cepell-AIE 2021].
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Il livello di istruzione si conferma l’elemento determinante: legge libri il 72,8% dei laureati (75,0% nel 2015), il 49,1% dei diplomati e solo il 26,8% di chi possiede al più la licenza elementare [Istat 2022].
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Famiglie di basso livello socio-economico possiedono minor materiale librario, leggono meno e intrattengono un minor numero di dialoghi e interazioni verbali con i bambini [Brooks-Gunn e Markman 2005]. Il reddito familiare determina varietà e numerosità di libri disponibili nelle famiglie, e l’entità del coinvolgimento dei genitori [Wambiri e Ndani 2015]. Lo status di minoranza etnica o il background migratori di una famiglia è associato a un maggiore abbandono scolastico, e può influire sull’apprendimento, poiché bambini e ragazzi in età scolare potrebbero non parlare bene la lingua di insegnamento [Momo et al. 2019]. La quantità di tempo dedicato alla lettura ad alta voce in famiglia risulta essere associata a punteggi più alti nelle abilità verbali e di lettura successive dei bambini [Price et al. 2018]. Anche territorialmente le aree meno sviluppate del paese, in Italia, hanno percentuali di lettori del tutto differenti. L’abitudine alla lettura, infatti, continua ad essere più diffusa nelle regioni del Nord: ha letto almeno un libro negli ultimi 12 mesi il 48,2% delle persone residenti nel Nord-ovest, il 48,5% di quelle del Nord-est, il 44,3% delle regioni del Centro e il 29,2% dei residenti al Sud.
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Essere un lettore debole è uno dei fattori predittivi più forti della dispersione scolastica [Balfanz et al. 2010]. Uno studio longitudinale di Hernandez [2012], svolto con circa 4.000 studenti della terza primaria, ha dimostrato che avere difficoltà di lettura alla primaria si associa a un rischio significativamente maggiore di non diplomarsi in tempo.
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Il divario che l’alfabetizzazione informale domestica produce nei punti di partenza scolastici può risultare significativo già all’ingresso della scuola primaria [McNaughton 2001]. Le differenze, già riscontrabili all’inizio del nido, tendono a persistere negli anni dell’età scolare [Chatterji 2006].
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La dispersione scolastica è saldamente associata all’insuccesso scolastico [Dalton, Gennie e Ingels 2009; Sabates et al. 2010] e ai fallimenti formativi, intesi sia come ripetenze di anni scolastici [Alivernini e Lucidi 2011; Batini et al. 2019] che come insuccessi relativi a una sola disciplina [Mata, Monteiro e Peixoto 2012]. Revisioni sistematiche della letteratura sulle cause dell’abbandono scolastico in Africa e Asia, che hanno osservato gli andamenti in vaste aree geografiche differenti [Momo et al. 2019], confermano la relazione tra le abilità di lettura e il successo scolastico a 12 anni e la possibilità di completare gli studi secondari. Sono molte le indagini che hanno confermato il legame tra basso rendimento scolastico e maggiore probabilità che gli studenti abbandonino gli studi [Hunt 2008; Cardoso e Verner 2006].
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Il National Child Development Study, tra i più importanti studi longitudinali mai condotti, ha dimostrato come gli adulti trentenni con migliori livelli di literacy hanno maggiori probabilità di avere un’occupazione rispetto a quelli con competenze inferiori. Inoltre, livelli di alfabetizzazione e di capacità di calcolo più elevati risultano associati a guadagni più elevati (16% in più). I dati PIAAC indicano che mediamente chi ottiene punteggi migliori in lettura ha salari più elevati.
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È il caso, per esempio, della legge Coppino che, come si legge in Roghi [2021, 54], «è del 1877 e obbliga tutti i bambini (e le bambine) a frequentare cinque anni di scuola. Tuttavia, nelle indicazioni che accompagnano la legge, c’è una nota che segnerà la storia futura della scuola: appena gli scolari abbiano raggiunto insieme il possesso “dell’alfabeto e dell’abaco”, devono essere separati in base alla loro futura destinazione. Scrive il ministro Coppino: “Consideriamo bene che dalla scuola primaria i figliuoli del popolo debbano ritrarre conoscenze e attitudini utili alla vita reale delle famiglie e de’ luoghi, e conforto a rimanere nella condizione sortita dalla natura, anziché incentivo ad abbandonarla”. Insomma, tradotto: la scuola non deve spingere i figli del popolo a voler cambiare vita, anzi, una volta imparato a leggere e scrivere, sarà bene che questi rimangano lì dove li ha messi la natura. La natura: come se, insieme alle stagioni e all’alternarsi del giorno e della notte, anche la condizione economica in cui si viene al mondo fosse conseguenza della natura. [...] I poveri con i poveri, i ricchi con i ricchi. E ancora: i maschi sì, le femmine no. La loro istruzione cala, in dieci anni, di 2.600 unità».
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«Rispetto al 2020, la povertà assoluta è diminuita lievemente per tutte le fasce di età, tranne che per i più giovani (0-17 anni), tra i quali è aumentata, dal 13,5% del 2020 al 14,2% del 2021, mettendo ancora una volta in luce le difficoltà economiche delle famiglie con figli minori. Negli ultimi anni, l’incidenza della povertà si è rivelata nettamente più bassa per le persone più anziane (65 anni e più)» [Istat 2022, 27].
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«La lettura è una delle poche attività che, volenti o nolenti, esercitiamo quotidianamente [...]. Leggiamo per lavoro, per la scuola, per diletto; perché dobbiamo, perché lo vogliamo e perché non possiamo evitarlo. E per farlo serve una lunga pratica» [Seidenberg 2017; trad. it. 2021, 3]. Una persona che vive nel Nord del mondo viene continuamente sollecitata a leggere e comprendere: il telefono richiama con un piccolo «bip» o una vibrazione a leggere messaggi per i quali è implicita una richiesta di risposta, connessi a un social network arrivano notifiche che invitano a leggere post o commenti (per interagire si deve «reagire» rispondendo o esprimendo approvazione), le app e i programmi di geolocalizzazione per raggiungere una meta richiedono la lettura delle indicazioni e la traduzione in azioni congruenti, le foto, i video, le immagini sono accompagnate da un testo o una didascalia che completano il significato e lo contestualizzano, la visione di una serie televisiva o un film in una lingua straniera viene supportata dai sottotitoli, la lettura dei contenuti della posta tradizionale ed elettronica, la lettura delle istruzioni per imparare il funzionamento di un nuovo elettrodomestico, le modalità di accesso a un servizio online, la lettura del preventivo per un lavoro in casa o quello di una vacanza, la lettura e comprensione del regolamento o del verbale di una riunione del condominio, la lettura di una comunicazione di un ente, della banca, di un fornitore di servizi, quando tentiamo di seguire il filo del ragionamento che sta proponendo il testo che si sta leggendo in questo momento... l’elenco potrebbe continuare, ciascuno, leggendo, avrà integrato i propri esempi e si sarà riconosciuto nella maggior parte di quelli proposti.
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La padronanza della lingua parlata precede lo sviluppo delle abilità di lettura e le abilità di lettura rimangono indietro per molto tempo: attraverso i processi di alfabetizzazione si cerca di ricomporre questa distanza. Eppure nei testi scritti ci sono parole e strutture di frase che molto raramente si possono trovare nel parlato, per cui è necessario che i testi scritti siano frequentati a sufficienza anche nel lungo periodo in cui le abilità di comprensione in situazione di ascolto e in situazione di lettura autonoma differiscono. Per una disamina di questo processo si rimanda a Seidenberg [2017].
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Una ricerca retrospettiva, condotta su oltre 250.000 studenti quindicenni, utilizzando dati PISA del 2009, ha mostrato come la lettura di testi di narrativa produca effetti significativi riguardo ai punteggi nelle prove di comprensione anche se comparata alla lettura di altre tipologie di testi. Coloro che dichiaravano di leggere «quasi mai» libri di narrativa ottenevano punteggi di circa 26 punti più bassi rispetto a coloro che dichiaravano di leggere narrativa più volte alla settimana. Non si sono registrate, al contrario, relazioni tra frequenza di lettura di altre tipologie di testo (saggistica, giornali, riviste...) e i punteggi nelle prove di lettura PISA [Jerrim e Moss 2018].
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Per questa tabella e per quella relativa agli incrementi ottenuti (tab. 3) un ringraziamento particolare va a Giulia Barbisoni.
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I risultati sono stati ottenuti attraverso un’analisi degli incrementi (e i possibili decrementi) dei due gruppi, sperimentale e di controllo, fra prima e seconda somministrazione. È stato calcolato l’effetto del training narrativo confrontando la variazione media nel tempo dei risultati ottenuti ai singoli test per il gruppo sperimentale con la variazione media nel tempo per il gruppo di controllo. Le analisi sono state svolte tramite analisi della varianza a misure ripetute (Time*Group) per valutare l’interazione gruppo/tempo che fornisce la misura di significatività d’impatto dell’intervento nelle classi sperimentali rispetto al controllo. Un ulteriore approfondimento è stato condotto confrontando l’andamento delle risposte del campione considerato con i dati disponibili dei campioni normativi standardizzati italiani relativi ai singoli test utilizzati.
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«La lettura ad alta voce da parte di un soggetto competente consente la fruizione di testi ai quali non avremmo facilmente accesso in maniera autonoma, per motivi legati alle stesse abilità meccaniche di lettura, alla disponibilità di libri adeguati alle esigenze di chi legge e alla capacità (e possibilità) di individuare molti testi originali e diversi tra loro. L’essere in gruppo è parte, fondamentale, dell’esperienza. Non occorre contrapporre la lettura ad alta voce alla lettura autonoma, occorre però ricordare che proponendo soltanto la lettura autonoma otterremmo effetti controdistributivi, finendo per favorire la lettura di chi già legge: è quello che accade nella maggioranza dei progetti di promozione della lettura, che nascono per ridistribuire risorse a chi non ne ha (i non lettori) ma riescono a rivolgersi solo a chi dispone già della capacità di comprendere il valore della lettura e che, quindi, ha meno bisogno di risorse aggiuntive» [Batini 2022, 29-30].
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È evidente come non si possa ignorare, negli ultimi decenni, il contributo della ricerca neuroscientifica sia rispetto ai meccanismi attraverso i quali impariamo a leggere e leggiamo, sia in relazione a quanto avviene durante l’esperienza della lettura e dell’ascolto della lettura.
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Il punto di vista degli studiosi di letteratura si centra quindi sulla relazione tra tempo dedicato alle pratiche «letterarie» o di insegnamento della letteratura nel sistema di istruzione e i risultati in termini di competenze specifiche, disposizione futura alla lettura e pratiche di lettura. Lo sintetizzano bene Simone Giusti e Natascia Tonelli: «Nonostante l’Italia rimanga una tra le nazioni industrializzate con il più basso numero di diplomati e laureati, da molti anni la quasi totalità dei nuovi cittadini e delle nuove cittadine trascorre dai tredici ai sedici anni nelle aule scolastiche [...] durante i quali entra a contatto con le opere della letteratura in lingua italiana, prima grazie alla lettura ad alta voce, poi con la lettura collettiva e individuale di brani antologizzati, di classici della letteratura (integrali o riadattati e ridotti) o di opere della cosiddetta letteratura per l’infanzia, infine attraverso le diverse pratiche didattiche basate sull’analisi dei testi, sullo studio della storia della letteratura italiana e sull’interpretazione o rielaborazione delle opere. Quanto sia proficuo quest’incontro tra le persone e la letteratura non è dato saperlo, anche se i dati sulla quantità di libri letti e posseduti dagli adulti italiani e quelli relativi al cosiddetto illetteratismo o analfabetismo di ritorno fanno pensare che gli effetti siano perlomeno poco duraturi. Chi esce dalla scuola italiana, pur avendo frequentato un certo numero di poesie e di romanzi, partecipato alla realizzazione di spettacoli teatrali e analizzato, parafrasato e studiato brani letterari, autori e autrici, movimenti e poetiche della tradizione, non sembra incline a diventare un lettore o una lettrice assidua» [Giusti e Tonelli 2021, 9-10].
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Secondo le rilevazioni dell’Ufficio statistico del Ministero dell’Istruzione (2021), la percentuale di abbandono complessivo, per la scuola secondaria di I grado, è stata dello 0,64% (pari a 10.938 alunni) per ciascun anno, mentre per la scuola secondaria di II grado questo dato ammonta al 3,79% annuo (pari a 98.787 alunni). In totale, dunque, sarebbero circa 110.000 gli alunni che, ogni anno, abbandonano annualmente la scuola italiana. A questi numeri vanno aggiunti coloro che abbandonano nel passaggio da un anno all’altro o nei passaggi di cicli, ma soprattutto coloro che non definiscono formalmente il loro abbandono ma riducono o azzerano la loro frequenza. La recente categoria della dispersione implicita rende più complesso ancora il problema. La stima relativa alla numerosità complessiva degli abbandoni va dunque rivista al rialzo.
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Il concetto, fondamentale, di povertà educativa è, esso stesso, connesso alla quantità e qualità delle opportunità di esperienze che ciascun minore ha. La povertà educativa è la mancanza di opportunità educative in senso ampio: dalle opportunità di studio e di eventuale approfondimento, alle esperienze di fruizione culturale, al diritto al gioco e alle attività sportive... La povertà educativa colpisce, abitualmente, i bambini e gli adolescenti che vivono in contesti familiari e sociali svantaggiati, caratterizzati da precarietà occupazionale, deprivazione materiale e varie forme di disagio. Il concetto di povertà educativa è comparso nella letteratura negli anni ’90. Attualmente viene abitualmente utilizzato da organizzazioni non governative e governi come costrutto per definire situazioni che necessitano di intervento educativo ad alta priorità e intensità nella definizione delle politiche per l’infanzia e l’adolescenza. Save The Children Italia [2022] stima in 1.382.000 i minori in povertà assoluta, l’abbandono scolastico al 12,7% e i 15-29enni senza scuola, formazione o lavoro al 23,1% (più che in ogni altro paese europeo).
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Le principali dimensioni indagate per la fascia dello sviluppo possono essere rubricate articolandole in due macro-sottogruppi anagrafici:Per la fascia di età 0/6:sviluppo cognitivo: abilità cognitive, memoria, velocità di elaborazione, abilità visuo-motorie;sviluppo linguistico: linguaggio ricettivo ed espressivo;sviluppo motorio: grosso-motricità e motricità fine;comprensione del testo narrativo orale;dimensione emotiva: comprensione della natura e delle cause delle emozioni e capacità di regolarle;prosocialità: prova di completamento di storie sull’orientamento alla prosocialità.Per la fascia di età «scolare»:dimensione cognitiva: abilità di pianificazione, attenzione, simultaneità e successione;competenze linguistiche: capacità di formulare e utilizzare i concetti verbali, capacità di trarre inferenze, velocità di pianificazione, comprensione verbale;comprensione del testo: capacità di leggere e di comprendere il significato di testi di vario tipo (narrativi/informativi).
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L’orientamento narrativo è un metodo di orientamento, nato e sviluppatosi in Italia, inserito all’interno dei paradigmi educativo/formativi dell’orientamento e particolarmente adatto al contesto scuola. L’orientamento narrativo si giova dell’utilizzo di storie e di attività (individuali e di gruppo) autobiografiche, di riflessione, di progettazione, tese allo sviluppo di abilità di autorientamento, a riflettere su chi si è e su cosa si vuole essere, a esplorare sé stessi, le proprie idee, i propri desideri e a trasformarli in progetti. Le attività vengono collocate in particolari snodi della storia che il conduttore/la conduttrice leggono ad alta voce e della quale favoriscono la socializzazione. Solo attraverso la conoscenza di sé, la capacità di immaginarsi nel futuro e lo sviluppo delle abilità necessarie a compiere scelte soddisfacenti e coerenti ed elaborare e rendere operativi progetti è possibile rendere l’orientamento un processo di reale empowerment [Batini e Salvarani 1999a; 1999b; Batini e Zaccaria 2000; 2002]. L’orientamento narrativo ha mostrato, grazie ad evidenze raccolte nel tempo con strumenti standardizzati, la capacità di agire positivamente: sulla prevenzione e riduzione del disagio scolastico, sulle abilità cognitive di base, sull’autostima, sulla resilienza e sull’autoefficacia, sull’intelligenza emotiva (per una ricostruzione delle ricerche sull’orientamento narrativo si veda almeno Batini [2019]). Rilevazioni centrate sulla percezione dei partecipanti, con strumenti qualitativi, hanno confermato quanto rilevato con gli strumenti standardizzati unitamente a migliori percezioni di sé e della propria possibilità di determinare il proprio futuro, maggiore conoscenza di sé e degli altri, chiarezza progettuale, sviluppo di abilità di scelta e molto altro. L’orientamento narrativo ha chiarito altrove i suoi debiti principali [Batini 2011], tuttavia è opportuno qui ricordare il ruolo fondamentale avuto, in Italia, dagli studi sulla pedagogia narrativa, dagli studi sul pensiero narrativo e dalla sociologia narrativa della vita quotidiana.
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Con l’espressione narrazione guida all’interno dell’orientamento narrativo si fa riferimento al romanzo o racconto che viene letto in più incontri. In corrispondenza degli snodi della narrazione si situano le attività di socializzazione e le attività di scrittura e riflessione autobiografica, di scambio, di progettazione individuale e di gruppo (i cui esiti vengono poi a loro volta socializzati). L’intero percorso e ciascuno degli incontri viene progettato nel dettaglio (attraverso un’attività denominata microprogettazione) attraverso: l’identificazione degli obiettivi orientativi specifici del singolo incontro, i brani stimolo della narrazione guida che l’operatore dovrà leggere ad alta voce in quell’incontro, la descrizione delle attività collegate allo stimolo narrativo che si è ascoltato, le modalità di conduzione per l’operatore con i relativi tempi, i materiali allegati (libro, schede attività, eventuali video, schede di approfondimento destinate all’uso del conduttore...). Esistono anche percorsi con più narrazioni antologiche o con l’uso di albi, ma più spesso ogni percorso è incentrato attorno a un’unica narrazione guida [Batini e Giusti 2008].
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Le abilità di lettura autonoma non si sviluppano con tempi e ritmi uguali alle abilità di comprensione e agli interessi. Nella fase di sviluppo (e in ogni fase per coloro che sono poco «allenati») accade spesso che una storia che mi piace e interessa e che posso ascoltare e godere senza difficoltà, se letta ad alta voce da qualcuno, non mi consenta la stessa esperienza se la lettura è autonoma. Continuare ad esporre alla lettura ad alta voce di storie consente la frequentazione di storie adeguate e significative per i soggetti che vi sono esposti, innalzandone le abilità in modo progressivo.
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Generalmente si dice che ci vogliano almeno 12 mesi (ma meglio, senza dubbio, 24) per prepararsi a una maratona per una persona adulta che parte da una condizione prevalentemente sedentaria. Per persone allenate, che praticano sport regolarmente, il tempo può essere anche inferiore, di 8 mesi.
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Alcune stime internazionali sostengono che i genitori che leggono quotidianamente ai propri figli di 4-9 mesi siano meno del 50% [Kuo e Faber Taylor 2004], percentuale probabilmente generosa per l’Italia. Britto, Fuligni e Brooks-Gunn [2002] segnalano, invece, che sia solo il 22% dei genitori a leggere ogni giorno a bambini di età pari o inferiore ai 12 mesi. La propensione dei genitori e degli altri adulti in famiglia a leggere ai bambini pare essere in relazione al proprio senso di autoefficacia, al reddito familiare, alle abitudini e alle esperienze personali dell’adulto circa la lettura [Batini, Tobia et al. 2020].
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Nell’ambito della politica educativa Leggere: Forte! Ad alta voce fa crescere l’intelligenza della Regione Toscana, il gruppo di ricerca della cattedra di Pedagogia sperimentale del Dipartimento FISSUF, dell’Università degli Studi di Perugia, ha realizzato due volumi open access di tecniche di lettura, rivolti al sistema 0/6 e al sistema scolare mediante una triangolazione che ha coinvolto l’esame della letteratura scientifica, dei siti istituzionali e delle ricerche sul tema, interviste sul campo a insegnanti esperti/e di lettura ad alta voce condivisa, focus con esperti/e di lettura [Batini e Giusti 2021a; 2022].
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Il pericolo di una «storia unica» è, sostanzialmente, una questione di relazione delle storie con il potere, come spiega bene Adichie [2009]: le storie che vengono raccontate hanno diversi gradi di potere. Nel 2009 nella sua notissima conferenza intitolata, appunto, I pericoli di una storia unica, ormai trasformata in un libro edito in moltissimi paesi, la scrittrice spiega il pericolo che deriva dall’avere una storia unica su qualcuno o su qualcosa. Tante storie possono rappresentare una storia unica. Abbiamo una rappresentazione plurale e varia degli Stati Uniti perché il loro potere mediatico globale è enorme (da Hollywood sino alla carta stampata) e ci ha consentito di fruire di moltissime storie, diverse, piene di contraddizioni e di elementi dissonanti che ci permettono di vedere molti aspetti degli Stati Uniti. Difficilmente ne avremo quindi una visione monocromatica e stereotipata. La Adichie racconta come, vittima di una storia unica sull’intero continente africano, la sua compagna di stanza, quando la scrittrice si trasferì negli Stati Uniti per studiare, la «compativa» ancora prima di conoscerla. Altrettanto difficilmente, quindi, avremo una rappresentazione plurale della Nigeria (che pure ha, come racconta la scrittrice nigeriana, al proprio interno realtà molto diverse tra loro). Da chi arrivano le poche informazioni che abbiamo sulla Nigeria? Chi e con quale scopo ci ha raccontato la «storia unica» che conosciamo sulla Nigeria?
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I sette nani formalizzano, nella versione dei Grimm del 1857, l’ospitalità a Biancaneve così: «Se vorrai badare alla nostra casetta, cucinare, fare i letti, il bucato, cucire e fare la maglia, e tenere tutto in ordine e pulito, potrai restare con noi e non ti mancherà nulla». «Sì – disse Biancaneve – molto volentieri» [Zipes 2017; trad. it. 2017, 129).
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Ascoltiamo ancora la voce delle studentesse e degli studenti: «per leggere serve proprio quello: il tempo. Per questo a scuola vorremmo ci fosse un tempo da dedicare alla lettura. Un [...] modo per trasmettere la passione per i libri è la lettura ad alta voce: alle elementari ci piaceva così tanto ascoltare la maestra che leggeva e ora, anche se siamo cresciuti, credeteci, quel piacere è rimasto intatto» [Le ragazze e i ragazzi di Mare di Libri 2018, 109].
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Leggere ad alta voce implica comunque, almeno, la disponibilità a cimentarsi sempre più nella consapevolezza dei ritmi, dei suoni, della voce, del volume. La lettura non è neutra, l’efficacia della lettura dipende non soltanto dalle abilità individuali, ma dalla disponibilità a fare un lavoro su di sé come lettrice e lettore.
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Per quanto riguarda lo stile di lettura è molto importante porsi nella situazione di dare voce alla storia. Ciò significa evitare i due estremi: la lettura ad alta voce praticata in maniera monotona, monocorde, con tono e ritmo costanti, e l’eccesso di enfasi e di «caricamento» della propria interpretazione che rischia di mettere chi legge al centro a discapito della storia.
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La ritualità segna l’inizio e la fine della sessione di lettura ad alta voce condivisa. Tipologie e modalità dei riti variano secondo l’età e le caratteristiche del gruppo.
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Soluzioni differenti e, in certo senso, opposte, possono rivelarsi funzionali: certamente stabilire momenti e tempi, che vengono rispettati regolarmente, trasforma la lettura ad alta voce in un rituale educativo/scolastico che coincide con un momento piacevole. Abituare gli studenti, per esempio, al fatto che le loro mattine a scuola prevedano un momento dedicato alla lettura fa nascere complicità tra gli studenti che attendono e l’insegnante che, in un momento definito della giornata, interrompe le altre attività per leggere loro qualcosa di bello.
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Risulta fondamentale la creazione o la ridefinizione di una biblioteca scolastica fornita, aggiornata e funzionante e, ove possibile, la costruzione di una piccola biblioteca di classe.
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Occorre non confondere l’attenzione con richieste di immobilità, compostezza e fissazione dello sguardo che rappresentano, spesso, esigenze degli adulti piuttosto che indicatori di reale partecipazione.
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Si suggeriscono, in modo non esaustivo, le bibliografie proposte in Italia dalla rivista «Andersen» (e i finalisti e i premiati ciascun anno dall’omonimo premio), quelle di Almeno questi! (prodotto dal Centro regionale di servizi per le biblioteche per ragazzi, promosso da Regione Toscana e Comune di Campi Bisenzio e attivo presso la Biblioteca Tiziano Terzani-Villa Montalvo), quelle proposte dall’Associazione Nausika e dalla cattedra di Pedagogia sperimentale dell’Università degli Studi di Perugia nell’ambito dei progetti Leggere: Forte! della Regione Toscana, di Ad Alta Voce Porta Palazzo della Fondazione Scuola e dell’IC 2 di Torino, di Lettrici e Lettori forti della rete di comprensivi di Parma (capofila IC Ferrari).
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Risulta fondamentale ricordare come due gruppi della stessa età anagrafica e con esposizione pregressa alla lettura molto differente possono accedere all’ascolto di testi molto diversi tra loro per complessità, linguaggio, lunghezza e articolazione, e costruire momenti di socializzazione altrettanto differenti.
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Bisogna porre attenzione, però, a non esagerare con le spiegazioni, per non correre il rischio di far vivere un’esperienza noiosa, più simile a una lezione che all’ascolto di una storia. La preoccupazione della comprensione totale è una preoccupazione degli adulti. I bambini e le bambine accedono alla comprensione delle storie attraverso la ripetizione e reiterazione di una lettura. Ricordiamo, ad esempio, che i bambini e le bambine incrementano naturalmente il proprio lessico con l’esposizione alla lettura ad alta voce di storie, estraendo dal testo i significati, attraverso ipotesi mentali che vengono poi verificate e messe alla prova.
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«Se c’è una cosa che invece non ci piace fare, cari professori, quando assegnate un romanzo, sono le schede di lettura. Per favore, non fatecele fare. Ci annoiamo noi a scriverle e voi a leggerle. Lasciateci semplicemente raccontare ad alta voce la trama in classe e che cosa ci è piaciuto, poi lasciateci discutere e dibattere» [Le ragazze e i ragazzi di Mare di Libri 2018, 109].
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Il diario di bordo e altri strumenti di monitoraggio sono resi disponibili dall’Associazione Nausika.