Character skills e didattica digitale
DOI: 10.1401/9788815374615/c5
Vi sono poi i comunicativi,
che manifestano un andamento simile ai precedenti e per i quali si osserva
dunque una drastica riduzione con l’ultimo
storytelling: potremmo tentare di spiegare questo
elemento facendo riferimento a una diffusa crescita dell’individualismo e
alla progressiva perdita della dimensione collettiva, di gruppo. Nell’arco
di un anno e mezzo sono venute meno per gli adolescenti le forme comuni
dell’interazione quotidiana; sono parimenti venuti meno anche i luoghi
dell’interazione, con i loro significati materiali e simbolici. Ne è
scaturito un ripiegamento su sé stessi, un isolamento progressivo che ha
portato a mettere al centro sempre e soltanto l’individuo. Spesso si è
trattato di una tendenza enfatizzata, spesso inconsapevolmente, anche dalla
scuola, ultimo baluardo a difesa dell’essere adolescenti, ultimo scampolo di
normalità. E di fronte allo spiazzamento diffuso per ciò che il mondo non
poteva più offrire, ecco che la scuola diviene il rifugio: è la logica di
coloro che decidono di investire su sé stessi al massimo, per non perdere
tempo e per contrastare la rappresentazione sociale diffusa della
generazione perduta che pagherà suo malgrado lo scotto della DAD e delle
scuole chiuse; ma anche di coloro che pensano che alla fine la scuola non
¶{p. 151}sia poi così male, o almeno serva a riempire un
tempo che diversamente sarebbe tutto ugualmente vuoto; e infine è anche la
strategia di coloro che colgono l’opportunità per un riscatto, trovando
nella scuola un’occasione di rivincita, proprio loro che fino all’ultimo
giorno passato in classe pensavano che la scuola servisse a poco o niente.
Potrebbe essere conferma di
questa ipotesi l’andamento opposto, tra le tre tracce tematiche, del modo
riflessivo dell’autonomia. Si tratta dell’unico modo della riflessività che
cresce con il passare del tempo. Possiamo supporre che il distanziamento
abbia contribuito a favorire l’autonomia in alcuni; per altri probabilmente
ci si è indirizzati verso i fratturati, in conseguenza di un ripetuto evento
altamente sfidante come la pandemia, che ha minato le sicurezze e le zone di
comfort degli adolescenti. Più autonomia significa teoricamente anche più
capacità progettuale, più orientamento al futuro, più indipendenza dai
legami, a maglia stretta o larga, di cui si era circondati. La scuola in
standby, la rarefazione delle relazioni, la
selezione tra le amicizie hanno aperto la strada per molti a processi di
responsabilizzazione e incremento di autonomia. Per questi studenti il
lockdown, la scuola a intermittenza e la DAD sono divenute acceleratori di
crescita e maturazione.
Sono infine stati definiti
«non classificabili» due tipi di narrazioni: quelle troppo brevi per poter
estrapolare una qualsiasi indicazione, e quelle troppo disordinate e
caotiche, nelle quali fosse impossibile individuare in modo univoco un solo
modo della riflessività. Il primo tipo di problema è stato riscontrato
soprattutto nelle narrazioni degli studenti degli istituti professionali: in
molti casi la capacità narrativa era modesta, quasi nulla; i componimenti
ammontavano a qualche riga. Quelli più lunghi erano comunque superficiali e
poco aderenti alla traccia che era stata fornita, ripetitivi, privi di
contenuti personali, cronachistici, legati agli aneddoti veicolati dai
media. Il secondo problema viceversa si è osservato più frequentemente nei
liceali e in particolare tra gli studenti di liceo classico, le cui storie
si distinguono per ricchezza espositiva e capacità riflessiva. Tra questi
studenti più che tra tutti gli altri si è osservata una dispersione tra i
¶{p. 152}modi della riflessività nei diversi testi: come se
a ogni traccia, a ogni momento del tempo corrispondesse un modo del sentire,
del sentirsi e dell’essere. Per questi studenti il fattore tempo (che passa,
che scorre, che scivola via, che ci cambia, che non può essere recuperato) è
centrale e restituisce modi della riflessività che sono omogenei all’interno
del singolo storytelling ma estremamente frammentati
tra storytelling diversi, come se proprio il fattore
tempo sgretolasse man mano l’unità dell’individuo, lo esponesse a un
cambiamento drastico, forse a un adattamento necessario; di certo in ognuno
dei momenti del tempo la riflessione su ciò che si è è stata fortemente
condizionata da ciò che è accaduto prima, in una catena causale sulla quale
l’individuo pare non avere potere, subendola inesorabilmente.
Il dato mancante si
riferisce invece a coloro che, pur presenti in aula e regolarmente
appartenenti alla classe, non hanno redatto nessuno dei tre componimenti.
Tale dato trova due spiegazioni prevalenti: l’una riconducibile alla DAD,
per cui alcuni studenti sono risultati di difficile tracciamento da parte
degli insegnanti, a maggior ragione per le attività non curricolari e non
legate a una valutazione; l’altra invece imputabile a comportamenti attuati
dagli studenti (rifiuto a partecipare all’attività; svogliatezza nello
svolgimento dell’attività, mancato rispetto dei tempi di consegna per
l’attività) e comunque tollerati dagli insegnanti.
Entrambi i fattori di
criticità (i non classificabili e i mancanti) ci consegnano un elemento su
cui è necessario riflettere. In primo luogo, si tratta del ruolo docente e
della sua autorevolezza: se è ormai ampiamente diffuso uno stile negoziale e
dialogico tra alunni e docenti, ciò non può equivalere a una discrezionalità
da parte degli studenti rispetto a quali attività svolgere, come e quando.
Il rifiuto dello studente di svolgere un’attività decisa dagli insegnanti in
quanto ritenuta formativa e complementare rispetto al programma didattico è
indicatore di una certa svalutazione della scuola e della mancanza di
comprensione rispetto al suo ruolo e significato. Tollerare questa
libertà/anarchia da parte degli studenti significa riconoscere che
l’insegnante svolge un ruolo del tutto accessorio e l’istituzione scuola
¶{p. 153}non possiede credibilità e strumenti per «farsi
riconoscere». In alcuni casi, anche la qualità degli elaborati ha sollevato
alcuni dubbi in merito alla collocazione dell’asticella delle aspettative
dei docenti, a quali pretese siano ritenute essenziali nei confronti degli
alunni. Il fatto poi che queste narrazioni inclassificabili appartengano per
lo più agli istituti professionali non è motivo di conforto o di
minimizzazione del problema.
Tirando le somme, tutti
questi spunti interpretativi non intendono affatto proporre affermazioni
decisive e «chiuse». Pensiamo però che i dati emersi dall’indagine
illuminino una realtà interessante. Anzitutto, appare stimolante l’idea che
l’attraversamento del periodo di crisi abbia potuto modificare, almeno in
parte, lo stesso stile riflessivo dei ragazzi
[4]
. Il calo della dimensione metariflessiva e di quella
comunicativa e l’incremento della riflessività autonoma si prestano, poi, a
interpretazioni differenti. Un approfondimento del processo di maturazione
personale si accompagna, pare, a un maggiore individualismo. Questo esito
corrisponde all’esito del gioco, in cui la passione per gli obiettivi è
stata qualificata come legata al breve termine, a una prospettiva fortemente
individuale e poco cooperativa. Rimane da capire meglio, tuttavia, come
questi atteggiamenti si qualifichino e da quali condizioni dipendano.
Tornando a considerare i
modi della riflessività, ci siamo chiesti inoltre se il genere e la filiera
scolastica frequentata esercitino su di essi una qualche influenza. Nella
tabella 5.3 è illustrata la distribuzione dei modi della riflessività in
base al genere, attraverso le tre narrazioni.
Si osserva qui che il
genere è senz’altro rilevante ai fini della classificazione nei modi della
riflessività e alla loro evoluzione nel tempo. Le femmine sono maggiormente
autonome. Tale modo riflessivo, inoltre, cresce anche maggiormente
¶{p. 154}al terzo storytelling rispetto
ai coetanei maschi. Il processo di maturazione e conquista di autonomia,
responsabilità e indipendenza sembra essere quindi maggiormente declinato al
femminile. Le studentesse sono sovrarappresentate altresì nel modo della
riflessività fratturata, almeno all’inizio del periodo preso in esame,
mentre riducono questa fragilità nel corso del tempo. Questo potrebbe essere
un ulteriore elemento che conferma il processo di rafforzamento
dell’autonomia e dell’indipendenza delle ragazze. Dal canto loro i maschi si
distinguono per la metariflessività, che è costantemente più elevata
rispetto alle femmine. Da rilevare anche che i componimenti non
classificabili si riconducono a due elementi: in primo luogo sono in
crescita, sia per i maschi sia per le femmine, man mano che si procede;
l’ultimo tema è quello in cui tale modalità fa registrare i punteggi più
alti. Inoltre, in tutte e tre le narrazioni i non classificabili sono di
gran lunga più diffusi tra i maschi. Volendo forzare l’interpretazione si
potrebbe azzardare l’idea che i maschi si caratterizzino per essere più
idealisti oppure più disorientati e maladattati. Possiamo anche ipotizzare
al riguardo che per molti soggetti il trascorrere del tempo aumenti la
confusione e che il procedere del tempo relativo al progetto produca una
sorta di stanchezza nella narrazione, che diventa man mano meno lucida, più
confusa.
Fratturati |
Comunicativi |
Metariflessivi |
Autonomi |
Non classificabili |
|||||||||||
1o |
2o |
3o |
1o |
2o |
3o |
1o |
2o |
3o |
1o |
2o |
3o |
1o |
2o |
3o |
|
Femmine |
34,8 |
38,3 |
30,4 |
24,2 |
13,3 |
7,1 |
12,1 |
23,3 |
10,7 |
15,2 |
6,7 |
26,8 |
13,6 |
18,3 |
25,0 |
Maschi |
21,2 |
26,4 |
31,3 |
15,4 |
22,6 |
2,1 |
30,8 |
22,6 |
14,6 |
9,6 |
5,7 |
18,8 |
23,1 |
22,6 |
33,3 |
¶
Un altro lato della
questione concerne la distribuzione dei modi della riflessività nelle
diverse tipologie di scuole. Questi risultati sono illustrati nella tabella
5.4. Alcuni commenti: si conferma la concentrazione dei non classificabili
in alcune scuole (la Bianca e la Verde in particolare) di cui già è stata
sottolineata la criticità sotto diversi aspetti, tra l’altro in crescita da
uno storytelling all’altro. I liceali costituiscono il
gruppo maggiormente affollato tra gli autonomi, anche se con vistose
oscillazioni, imputabili per lo più alla fase intermedia (il secondo tema
corrispondeva alla metà dell’anno scolastico 2020-2021), nella quale
prevaleva un mix tra incertezza e speranza, che può
avere condizionato la narrazione.
Il modo riflessivo
comunicativo risulta essere quello meno frequentato da parte degli studenti
di tutte le filiere,
¶{p. 156}seppure anche qui con alcune
variazioni. In primo luogo, si tratta del modo della riflessività che
presenta le maggiori variazioni tra scuole e tra un tema e l’altro, un dato
anche imputabile ai diversi gradi di aggiornamento rispetto agli eventi,
alla fruizione riflessiva delle informazioni veicolate dai media, a uno
sguardo più o meno critico nei confronti degli accadimenti dell’attualità.
Esso inoltre è il modo della riflessività che più pare decrescere
progressivamente con il procedere degli storytelling,
per travasarsi verso altri modi più rivolti all’individualità.
Note
[4] Per inciso, questa osservazione apre la strada a ulteriori indagini su come gli stili riflessivi si evolvano nel tempo, lungo tutto l’arco del processo di socializzazione e di costruzione (e rielaborazione) dell’identità, essendo interamente parte di esso. Ciò significherebbe introdurre nel modello archeriano un’ulteriore complessità.