Viaggio nelle character skills
DOI: 10.1401/9788815366962/c1
Nei successivi capitoli del libro
vengono illustrate le due principali fonti cui attingere per la comprensione della
genesi e dello sviluppo delle non cognitive skills sulle quali
perciò non ci dilunghiamo e a cui rinviamo per gli opportuni approfondimenti:
a) quella economica con gli studi e le ricerche sulla natura e
sulla formazione del capitale umano e l’incidenza che su di esso hanno sia le
disposizioni innate sia le capacità dipendenti dall’ambiente e dall’educazione
¶{p. 38}(capitolo di Agasisti, Ribolzi e Vittadini);
b) quella psicologica debitrice alle teorie sulla formazione
della personalità, alla nozione di Capitale psicologico e alla motivazione
all’apprendimento (capitolo di Pisanu, Fraccaroli, Gentile e Recchia).
4. Conoscenza, attitudini, comportamento
La rilevanza assunta dalle
non cognitive skills nell’istruzione e nell’educazione ha due
principali motivazioni: la trasformazione delle condizioni dell’impiego professionale e
del lavoro e la riproposizione di una prospettiva etica nella formazione.
Andreas Schleicher, che
all’argomento ha dedicato notevoli studi
[20]
, ha osservato, presentando a Davos 2020 il Rapporto
PISA, che i giovani sembrano ignorare i fenomeni trasformativi che la
digitalizzazione sta generando nel mondo del lavoro e che i sistemi educativi attuali
non hanno prospettive sul futuro. Le non cognitive skills
costituirebbero, invece, un modo non solo per adattarsi alle nuove esigenze
del lavoro, ma anche per affrontare nuove e complesse situazioni, molte delle quali
appaiono, al momento, ancora imprevedibili.
Sul secondo versante, l’attenzione è
posta sulle non cognitive skills in rapporto ai valori etici, in
modo da sottrarli a una concezione puramente funzionale – una sorta di
prestanza – e inserirli, quali novelle virtù, nella prospettiva
del bene e del buon agire – ossia come «abituale abilità a fare il bene tout
court»
[21]
. Nella pratica tali differenti concezioni possono facilmente congiungersi e
confondersi, ma è opportuno conservare la distinzione concettuale, anche in
considerazione delle differenti finalità e del diverso contesto culturale di
¶{p. 39}riferimento: mondo del lavoro, la prima, comportamento e
formazione morale degli alunni, la seconda (sul rapporto tra le non cognitive
skills e la formazione etica si rinvia alle riflessioni proposte nel
capitolo di Andrea Maccarini).
Nell’economia delle non
cognitive skills la loro definizione è stata gradualmente associata alla
nozione di character, sulla quale merita svolgere almeno un paio di
considerazioni. La prima: a questa espressione fanno riferimento molti studiosi ed essa
appare ormai una costante in tutti i lavori che si misurano con le risorse necessarie
per affrontare le sfide del XXI secolo. Si tratta dell’evidente convinzione che la
funzione educativa non si esaurisce nell’apprendimento cognitivo. La personalizzazione
di cui oggi tanto si parla non si esaurisce, dunque, nella messa a punto di strategie
apprenditive, ma è personalizzazione autentica (e non solo individualizzazione)
[22]
se si estende all’intera persona.
Seconda considerazione:
l’espressione character viene impiegata nella cultura educativa
anglosassone e statunitense in specie in varie accezioni non sempre sovrapponibili con
il significato che nella nostra lingua diamo alla parola carattere.
Con character di volta in volta si indicano la capacità di vivere
all’interno di un gruppo sociale (la formazione delle disposizioni sociali); la
condivisione di valori comuni (creazione di un collante ideale e patriottico per
partecipare alla vita comunitaria); la forma preventiva per contenere abusi e forme di
devianza (droga, alcol, violenza teppistica, ecc.); la disponibilità a farsi carico di
responsabilità comuni (educazione del carattere come consapevolezza sociopolitica).
Quando si parla di
character education si rinvia inoltre a una composita varietà
di azioni molto articolata che oscilla tra una certa direttività trasmissiva di valori
preordinati con un alto rischio autoritario alla individuazione di quelle pratiche che,
centrate sulla persona, ritengono invece più opportuno e rispettoso della persona
mobilitare dal basso atteggiamenti che favoriscono l’abitudine alla riflessione e
coerenza personale e all’esercizio della «volontà buona». I
¶{p. 40}tratti di personalità non sono predeterminati, ma largamente
flessibili e influenzabili dall’intervento educativo. La pedagogia (e la psicologia)
entrano in gioco quando si passano a considerare le dinamiche personali attraverso cui
il bene entra in relazione con la capacità di volizione.
All’educatore non basta infatti
soltanto identificare i beni educativi o le fasi dello sviluppo del ragionamento morale,
fattori entrambi importanti in vista della crescita etica personale, ma non altrettanto
sufficienti perché questa si compia effettivamente. L’educatore si pone infatti il
problema di «come» transitare dall’individuazione dei vari aspetti nei quali si
manifesta il bene (un gesto altruistico, un valore, un ideale, uno stile di vita) alla
sua traduzione pratica e all’assimilazione nel patrimonio morale della persona. Solo a
questa condizione si compie il processo virtuoso tra intenzione, progetto personale e
realizzazione.
Un’ulteriore riflessione, a
proposito del modo di intendere le non cognitive skills, è data dal
loro rapporto con le cognitive skills o, più in generale, con il
problema della conoscenza e, per quanto riguarda la scuola, la trasmissione del sapere.
Per un verso, le non cognitive skills sono considerate l’altro lato
della medaglia della formazione: da una parte vi sono le attività conoscitive e
intellettuali, dall’altra le attività pratiche e comportamentali, solitamente trascurate
nei processi di istruzione, ma altrettanto importanti e degne non solo di
considerazione, ma anche di valutazione. Per altro verso, la
promozione delle non cognitive skills è vista come un superamento
del modo «tradizionale» di istruzione, considerato «nozionistico» e «accademico», e
composto da concetti, definizioni e contenuti; ad esso si contrappongono le capacità di
trattare situazioni complesse, il problem solving, la creatività e
l’apprendimento collaborativo. Per altro verso ancora, le non cognitive
skills sono viste come componente essenziale della formazione, che,
ponendo attenzione allo sviluppo umano dell’allievo, favorisce il suo apprendimento e la
sua crescita, senza censurare il suo bisogno di conoscenza, di memoria e di
ragionamento.
Un fattore essenziale per dirimere
le varie prospettive e atteggiamenti nei confronti delle non cognitive
skills è la base ¶{p. 41}teorico-pratica sulla quale esse
si fondano e che consente ad esse di legittimarsi e affermarsi. Gli studiosi sono
concordi nel ritenere che i principali riferimenti delle non cognitive
skills siano, dal punto di vista teorico, il
costruttivismo, e, dal punto di vista
pratico, le nuove tecnologie dell’informazione e
della comunicazione
[23]
. Tali riferimenti, quando non sono taciuti, sono ammessi come ovvi e
indiscutibili. Tuttavia, una riflessione accurata sulle non cognitive
skills dovrebbe comportare un’analisi critica di tali fondamenti, delle
pratiche che essi inducono e delle conseguenze che determinano sul versante
dell’istruzione e dell’apprendimento
[24]
.
Per quanto concerne l’aspetto
teorico, l’assunzione del costruttivismo come base teorica, psicologica e filosofica
delle non cognitive skills si presenta problematico per una serie
di motivi che riguardano sia le vicende interne a tale dottrina, i suoi limiti e le
critiche che ha ricevuto
[25]
, anche sulla base ¶{p. 42}degli effetti non sempre positivi
della sua applicazione, sia l’esclusività del riferimento, ovvero il presupposto che non
vi possa essere altra base teorica delle non cognitive skills che
non sia il costruttivismo. Per quanto riguarda l’aspetto pratico, l’utilizzo delle ICT,
ad esempio nella didattica, nella configurazione dell’ambiente scolastico e degli stessi
edifici scolastici, nella qualificazione del linguaggio e delle strutture mentali, esige
una seria analisi di approfondimento, che, senza pregiudizi né timori, sappia
comprenderne gli sviluppi e le applicazioni, evidenziandone criticamente benefici e
limiti e apportando, anche in forza di auspicabili monitoraggi, le opportune correzioni
che gli utenti stessi, in prima istanza gli allievi, sono in grado di proporre. Insomma
non basta fornire (anche se bisogna farlo) a ogni studente un tablet per ritenere che il
suo rendimento scolastico e il suo rapporto con il sapere siano migliori.
Se lo sviluppo delle non
cognitive skills nell’istruzione può offrire ad essa una nuova linfa e un
nuovo sviluppo, la considerazione critica dei nodi teorici e pratici che le sorreggono e
accompagnano può far evitare che la loro auspicabile introduzione nel mondo della scuola
e dell’educazione sia non solo ingenuo, ma anche difficoltoso e insidioso, in modo tale
da concorrere allo sviluppo integrale e intellettuale del soggetto implicato nel
processo educativo – di colui che viene educato, ma anche di chi educa – potenziando
attitudini e capacità, destinate a divenire habitus, con cui
l’individuo guarda e si rapporta al mondo e agli altri.
Note
[20] Per quanto riguarda la valutazione, si veda A. Schleicher, Why PISA is Testing Students’ Social and Emotional Skills, May 18, 2019, https://www.brisbanetimes.com.au/education/why-pisa-is-testing-students-social-and-emotional-skills-20190426-p51hic.html.
[21] C. Ciappei e M. Cinque, Soft skills per il governo dell’agire. La saggezza e le competenze prassico-pragmatiche, Milano, Franco Angeli, 2014, Introduzione, p. 13.
[22] CERI-OCSE, Personalizzare l’insegnamento, Bologna, Il Mulino, 2008.
[23] Cfr. R. Motschnig-Pitrik e A. Holzinger, Student-centred Teaching Meets New Media Concept and Case Study, in «Educational Technology & Society», 5, 4, 2002, pp. 160-172; M.D. Lytras, D. Ruan, R.D. Tennyson, P. Ordonez De Pablos, F.J. García Peñalvo e L. Rusu (a cura di), Information Systems, E-learning, and Knowledge Management Research, 4th World Summit on the Knowledge Society, WSKS 2011, Mykonos, Greece, September 21-23, 2011, Berlin-Heidelberg, Springer Verlag, 2013, in particolare R. Motschnig-Pitrik e L. Rohlíková, Constructivist and Person-Centered Learning in Higher Education. Using Indicators and Case Examples for Comparing Good Practice, pp. 44-57; F. Altinay Aksal, Z. Altinay Gazi e A. Isman, A Comprehensive Look into the Learners’ Transferable Skills Related to Constructivist Approach, in «World Applied Sciences Journal», 4, 4, 2008, pp. 558-567; A.W. (Tony) Bates, Teaching in a Digital Age Guidelines for Designing Teaching and Learning, Vancouver, BCcampus, 2015, 20192.
[24] Cfr. M. Kara, A Literature Review: The Usage of Constructivism in Multidisciplinary Learning Environments, in «International Journal of Academic Research in Education», 4, 1-2, 2019, pp. 19-26.
[25] Cfr. P.A. Boghossian, Paura di conoscere. Contro il relativismo e il costruttivismo, Roma, Carocci, 2006; P.G. Rossi, Post-costruttivismo. L’attrito del reale, l’analisi pratica, le tecnologie, in E. Corbi e S. Oliverio (a cura di), Realtà tra virgolette? Nuovo realismo e pedagogia, Lecce-Brescia, Pensa MultiMedia Editore, 2013, pp. 91-109; M. Pellerey, Che cosa abbiamo imparato sul piano della progettazione didattica dalle critiche al costruttivismo in ambito pedagogico?, in «Giornale Italiano della Ricerca Educativa», VII, 13, 2014, pp. 250-271. Si vedano anche il capitolo The Negative Heuristic and Criticisms of Constructivism in Science Education, in K.S. Taber (a cura di), Progressing Science Education, Dordrecht, Springer, Science & Technology Education Library, vol. 37, 2009, pp. 147-217 e A. Alanazi, A Critical Review of Constructivist Theory and the Emergence of Constructionism, in «American Research Journal of Humanities and Social Sciences», 2, 2016, pp. 1-8.