Viaggio nelle character skills
DOI: 10.1401/9788815366962/c5
In questa prospettiva, una delle
indicazioni più chiare e rilevanti per le politiche educative è che le
character skills sono già educate e sviluppate nei primi
anni di vita: la qualità dei rapporti in famiglia e nel quotidiano contesto sociale
sono fattori determinanti per il crescere di un rapporto più adeguato con la realtà.
Si indica con il termine «malleabilità» questa plasticità dei tratti delle
character skills
[55]
. Pertanto, è importante che gli interventi educativi – che devono mirare
a sviluppare congiuntamente cognitive e character
skills – siano ben disegnati sin dalle prime fasi del percorso
educativo
¶{p. 125}degli studenti, nella fase di scuola pre-primaria
e primaria. Peraltro, è stato dimostrato che questi interventi hanno effetti
positivi non solo nel breve periodo, ma per migliorare i risultati scolastici anche
nelle fasi successive del percorso formativo. È inoltre interessante evidenziare
che, più avanti nel tempo, quando gli studenti diventano adolescenti, è più facile
intervenire sulle character skills rispetto alle pure
conoscenze e competenze cognitive. È, quest’ultima, un’altra indicazione importante
per le azioni educative che scuole e altre istituzioni possono mettere in campo.
Un’ultima indicazione importante
che viene citata dalla ricerca è che le character skills
possono essere influenzate lungo tutto l’arco della vita, anche nel periodo post
scolastico e universitario. Da questo punto di vista, si conferma l’idea che il
character, inteso come insieme delle
skills menzionate, sia da considerare tutt’altro che
immutabile; l’esperienza educativa può intervenire anche dopo il percorso scolastico
tradizionale, e ci sono ampi margini di intervento ad esempio nel quadro di azioni
educative lungo tutto l’arco della vita (life-long learning).
Un’ultima importante
considerazione riguarda la possibilità di definire interventi educativi e formativi
ad hoc in ottica di prevenzione piuttosto che di «rimedio».
Gli studi relativi alle azioni per lo sviluppo delle competenze assicurano che è
preferibile tentare di individuare gli studenti a rischio di carenze nelle
cognitive skills e nelle character
skills quanto prima, per accompagnarne lo sviluppo nelle prime fasi
dell’esperienza educativa. Tali azioni sono decisamente più efficaci successivamente
agli interventi attuati quando ormai le carenze si sono manifestate. Nondimeno, la
letteratura accademica e l’esperienza di valutazione di diversi interventi hanno
comunque evidenziato la possibilità di azioni efficaci, anche quando non si riesca
ad intervenire nei primi stadi dell’azione formativa; in altri termini, una certa
proattività della scuola nel considerare adeguatamente la dimensione di sviluppo
delle character skills è comunque sempre
desiderabile.¶{p. 126}
4. Alcuni messaggi conclusivi
Il lungo percorso delle teorie del
capitale umano ha portato a legarlo alle abilità, alle conoscenze e alle competenze
degli studenti, misurabili in molti casi oggi attraverso rilevazioni sistematiche di
organizzazioni nazionali e internazionali. Le conoscenze (cognitive
skills) sono immediatamente evidenti, quantificabili e misurabili:
possono essere confrontate nel tempo (oggi so più/meno di ieri), nello spazio (so
più/meno del mio vicino di banco) e nei campi del sapere (so la matematica meglio/peggio
dell’inglese). Possono essere oggetto di un programma scolastico, di cui si misura
l’efficacia, misurazione che può essere applicata anche a chi insegna (se so l’inglese
meglio/peggio di un’altra persona, scuola, nazione, è possibile che il mio insegnante/il
metodo di insegnamento sia migliore/peggiore). È oggi evidente che le dimensioni della
conoscenza non sono riducibili alle sole cognitive skills
propriamente dette: tali dimensioni sono presenti anche in quelle caratteristiche
definite come «non cognitive skills, aspetti della personalità,
competenze o abilità non cognitive, carattere e competenze socioemozionali» classificati
in vari modi nella letteratura corrente, da studiosi di diverse discipline, da psicologi
a sociologi, da pedagogisti a economisti. Come si è visto, la classificazione dei
singoli tratti data dai Big Five, e dalle altre tassonomie
descritte nei precedenti paragrafi, sono abbastanza correlate fra loro. Il dibattito
verte piuttosto su due aspetti cruciali. Innanzitutto le diverse denominazioni di
non cognitive skills, soft skills,
character skills non sono semplici sinonimi ma rimandano a
concezioni diverse.
Forse quella di character
skills è la più espressiva perché mostra che non sono meccanismi isolati
ma espressioni diverse di quell’immisurabile, unitario e personale tratto latente che li
genera, la persona, che nel percorso formativo è capace di un
impegno o un’attività in modo accurato e responsabile, e nell’ambito lavorativo sa
utilizzare le conoscenze adattandole alle circostanze. È poi fondamentale sottolineare
che le character skills non sono innate e immutabili, ma sia la
scuola che l’extrascuola, in particolare il lavoro, possono
¶{p. 127}svilupparle tanto più efficacemente quanto più l’intervento è
precoce e riesce a coinvolgere famiglie e contesto sociale.
Non è dimostrabile che ci sia un
nesso di causalità tra formazione e character skills, ma la sola
esistenza di una sistematica correlazione rende importante la possibilità di
incrementarli attraverso specifici interventi educativi.
Quindi, anche a nostro avviso nel
solco di quanto diceva Heckman
[56]
è possibile e doveroso progettare percorsi educativi e interventi
compensatori miranti a sviluppare le character skills. Questa
scelta è tanto più urgente oggi per contrastare fenomeni preoccupanti in ambito
educativo. Il primo è l’affermarsi di orientamenti che spostano l’attenzione dei sistemi
scolastici dalla trasmissione dei valori di base e dall’educazione della persona – per
secoli obiettivi primari della scuola – alla pura e semplice trasmissione di
informazioni. Il secondo è una situazione di crescente difficoltà delle famiglie, oggi
molto più incapaci a svolgere uno dei loro compiti tradizionali, la formazione delle
abilità non cognitive, anche per lo scarso supporto loro dato in questo dalle politiche
sociali.
Contestualizzando nella società post
pandemia, come è logico e probabilmente doveroso, quanto abbiamo detto sul capitale
umano e il suo ruolo, possiamo ricordare che la caratteristica della tarda modernità è
il passaggio da una società di produttori a una società di consumatori.
Il presente è caratterizzato da un
generale senso di incertezza, in cui i legami interpersonali sono indeboliti, e in cui
non è chiara l’immagine di convivenza sociale e civile, il ruolo dello Stato e delle
comunità di base nel progettare il bene comune.
Le competenze non cognitive sono
fondamentali per quel processo di adattamento dinamico dei singoli in condizioni di
difficoltà in cui si vivono esperienze negative, che viene definito resilienza. Servono
sia per le strategie individuali che comunitarie e aiutano a modificare gli stili di
vita in cui le relazioni familiari, amicali o comunitarie riducono gli
¶{p. 128}effetti negativi della crisi valorizzando il capitale sociale e
le reti di solidarietà
[57]
.
Le iniziative individuali diventano
strutturate e assumono una forma «societaria» grazie all’uso delle ITC e delle
piattaforme digitali, che simulano i comportamenti delle comunità, che condividono beni
e servizi senza interscambio economico, con ricompense diverse dai beni economici
(benessere, integrazione, equilibrio con l’ambiente)
[58]
. Per questo è oggi cruciale puntare su di una trasformazione del sistema
formativo, che valorizzi un più ampio ventaglio di competenze.
Note
[55] J.J. Heckman, J.E. Humphries e T. Kautz, The Myth of Achievement Tests: The GED and the Role of Character in American Life, cit.; T. Kautz, J.J. Heckman, R. Diris, B. Ter Weel e L. Borghans, Fostering and Measuring Skill: Improving Cognitive and Non-cognitive Skill to Promote Lifetime Success, cit.
[56] J.J. Heckman, J.E. Humphries e T. Kautz, The Myth of Achievement Tests: The GED and the Role of Character in American Life, cit.
[57] A. Alaminos e C. Penalva, Economía Colaborativa: Definiciones y Escenarios, Alicante, OBETS - Instituto Interuniversitario de Desarrollo Social y Paz, Universidad de Alicante, 2018.
[58] Si veda ad esempio A. Sundararajan, The Sharing Economy: The End of Employment and the Rise of Crowd-based Capitalism, Cambridge, MIT Press, 2016.