Luigi Mengoni
Diritto e valori
DOI: 10.1401/9788815413499/c6

VI Forma giuridica e materia economica
Da Studi in onore di A. Asquini, vol. III, Cedam, 1963, pp. 1075-1093, e da «Jus», 1966, pp. 5-13

1. Liberismo economico e ordinamento giuridico.

La «solita immagine del diritto come “forma”, come veste della realtà economica» [1]
, ossia la percezione del rapporto tra economia e diritto nei termini della relazione logica tra forma e contenuto, è vera, ma dice poco perché il problema è di determinare la natura e il modo di operare della relazione. Occorre evitare di rappresentarsi la regola del diritto come un recipiente in cui si riverserebbe poi una massa economica [2]
.
La connessione tra forma giuridica e materia economica si manifesta anzitutto nel comportamento individuale. In quanto si svolge nella società, il comportamento economico del singolo ha bisogno della qualificazione giuridica. Che l’ordinamento giuridico, almeno un dato ordinamento giuridico della proprietà, sia un presupposto indefettibile dell’attività economica degli individui raggruppati in società, abbia cioè una funzione determinante dei tipi di comportamento economico individuale, è proposizione di cui nessuno dubita. Le leggi economiche esistono soltanto nella teoria pura, esse non sono che deduzioni dal principio economico o postulato edonistico {p. 148}operante in condizioni giuridiche date [3]
.
Il problema riguarda piuttosto la connessione tra forma giuridica ed economica considerata come il complesso delle relazioni tra i comportamenti economici individuali, e in questo senso come ordine economico risultante dalla riduzione dei rapporti a unità sistematica in vista di un optimum di benessere collettivo. Si domanda allora se il diritto abbia soltanto la funzione di organizzare le forme esteriori del processo economico, nell’ambito delle quali i singoli comportamenti economici si svolgono in condizioni di sostanziale immunità dalla regola giuridica, essendo deterministicamente orientati verso un ordine naturale prestabilito, oppure se il diritto costituisca uno strumento attivo del processo economico, in virtù del quale l’ordine economico riceve l’impronta della volontà umana. La prima concezione prospetta il rapporto del diritto con l’economia in termini di pura causalità logica, la seconda in termini finalistici.
La prima è la concezione classica, che costituì la base teorica della politica del laissez faire. Il modello classico dell’economia considera il diritto come una serie di dati che, insieme con l’altra serie costituita dalle condizioni naturali dei soggetti, degli oggetti e della tecnica produttiva, determinano i presupposti del comportamento economico individuale. Le istituzioni giuridiche entrano nella definizione del comportamento economico come elementi rilevanti per il conseguimento di fini meramente soggettivi o individuali, non come fattori costitutivi di un ordine dei rapporti economici concepito come creazione dello spirito umano, e quindi come risultato di un consapevole perseguimento di finalità sociali oggettive. L’ordine economico è concepito come ordine naturale, risultato di {p. 149}un automatismo di cui si ritiene dotato il processo economico, purché sia garantita ai protagonisti di esso la piena libertà di perseguire il proprio interesse individuale.
Non per questo si può dire che il pensiero classico fosse orientato verso un mero ideale utilitaristico. L’idea direttrice del liberalismo è un valore morale, appunto l’idea della libertà, intesa nel senso di autodeterminazione e assunta come principio formale dell’esperienza economica [4]
. Storicamente l’idea di libertà, intesa come libertà da vincoli, fu posta a base di una nuova regolamentazione giuridica alla quale fu assegnato essenzialmente un compito negativo: quello appunto di spazzare via i vincoli che opprimevano l’attività economica nel precedente periodo corporativistico e mercantilistico, e insieme di delimitare la libertà di ciascuno in modo da garantire un’uguale misura di libertà a tutti. L’ordinamento giuridico viene ricostruito come un sistema di diritti soggettivi, cioè di libertà esteriormente delimitate dalla norma giuridica, ma destinate a svolgersi senza alcun vincolo giuridico intrinseco, in uno spazio vuoto di diritto [5]
. La celebre definizione della proprietà come un «buco nel centro di un circolo di norme» è un riflesso di questa concezione. La politica del laissez faire fu un tentativo di risolvere il problema dell’ordine dell’economia con puri strumenti desunti dal meccanismo dello scambio. Quando l’idea dell’ordine naturale abbandonò l’originaria base metafisica che la qualificava come una sorta di ordine provvidenziale, la «mano invisibile» (la quale si cura sia del mendicante sia del re) si identificò sempre più con le leggi economiche che regolano il meccanismo del mercato concorrenziale [6]
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Ma le leggi economiche esistono soltanto nella teoria {p. 150}pura, e quindi possono offrire una valida direttiva di politica economica solo nella misura in cui rimangono immodificati i dati di fatto rilevanti come presupposti per la costruzione del modello teorico con l’ausilio del quale le leggi economiche sono formulate. La caratteristica del pensiero classico, dal punto di vista giuridico, è allora quella di una posizione acritica nei confronti delle istituzioni giuridiche esistenti. Esse non sono assunte come oggetto di ricerca scientifica, non vengono analizzate nel loro concreto funzionamento vitale, ma sono considerate soltanto come presupposti, come dati di cui non ci si preoccupa di controllare la sostanziale rispondenza nei fatti. Nella concezione liberale – sia del primo periodo, legato al giusnaturalismo razionalista, sia del secondo periodo, legato al positivismo normativo – la fiducia in un ordine naturale dei rapporti economici si fonda sulla fiducia nell’onnipotenza della forma giuridica, nella forza del diritto di annullare la resistenza della materia economica esclusivamente mediante istituzioni destinate a garantire a ciascun consociato un’uguale misura di libertà di scelta.
Ora il diritto di proprietà, la libertà di iniziativa economica, la libertà di contratto, quando siano garantiti da un adeguato apparato coattivo contro il furto, la violenza e la frode, sono certamente in grado di costituire un ordine dell’economia: ma solo un ordine formale, che riceve giustificazione dalla conformità a principi economici razionalmente elaborati, la cui applicazione pratica ha ottenuto risultati cospicui per quanto riguarda l’industrializzazione e quindi il rapido incremento della produzione economica. Ma la semplice conformità allo scopo dell’economia non basta a giustificare la norma giuridica. Essa integra il dato elementare del diritto, in quanto implica l’effettività del diritto, la sua esistenza come ordine sociale, posto che il diritto ha questa caratteristica, che l’esistenza appartiene alla sua essenza [7]
. Tuttavia l’in{p. 151}cremento del prodotto sociale non è di per sé un valore giuridico, ma solo un valore utilitaristico [8]
; e l’effettività dell’ordinamento giuridico è un valore giuridico formale, che riceve contenuto sostanziale solo in quanto il diritto realizzi un ordine sociale giusto, ossia realizzi la pace nella giustizia.
Soltanto la concezione giusnaturalistica, ispirata a una immagine ottimistica dell’uomo, può ritenere che la giustizia dei rapporti sociali sia un risultato automatico del gioco delle libertà individuali; e soltanto alla concezione strettamente positivistica le istituzioni giuridiche, come la proprietà e il contratto, possono apparire indifferenti di fronte agli scopi per i quali esse vengono concretamente utilizzate. Praticamente la distanza fra le due concezioni è assai breve, e del resto è noto che al positivismo normativo si è giunti attraverso il positivismo scientifico della scuola pandettistica, il cui criptogiusnaturalismo è ormai unanimemente riconosciuto [9]
. La forma giuridica è impotente a dominare la materia economica quando si svolge esclusivamente nella concessione di diritti soggettivi, riducendo l’idea del dovere giuridico a quella di semplice limite o misura della libertà individuale e così rinunciando a introdurre il dovere nell’intima struttura dell’agire libero. Il diritto soggettivo diventa forma costante di una funzione variabile, le cui esplicazioni sfuggono al controllo dell’ordine giuridico: diventa insomma, secondo il rovesciamento del rapporto operato dall’analisi marxista, mero epifenomeno dell’economia, forma formata anziché forma formante. La proprietà di una fabbrica di macchine è formalmente sempre uguale, ma la sua funzione, cioè il suo significato, varia a seconda che l’imprenditore sia soggetto alla concorrenza o fruisca di una posizione di monopolio. Soltanto nel primo caso essa si attua come potere di autonomia, come libertà di pianificazione dell’im
{p. 152}presa individuale in vista di risultati che riguardano soltanto il proprietario e di cui egli solo quindi sopporta il rischio; nel secondo caso, invece, la proprietà diventa potere dal punto di vista sociale-economico in quanto influisce in modo determinante sul comportamento economico di altri soggetti, limitandone di fatto la libertà [10]
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Note
[1] Capograssi, Pensieri vari su economia e diritto, in Scritti giuridici in onore di Romano, vol. I, Padova, 1940, p. 222. Sull’insufficienza di questa formula, benché in principio esatta, cfr. oltre Stammler, appresso citato, Heymann, Recht und Wirtschaft, in Festgabe für Stammler, Berlin-Leipzig, 1926, p. 222 e, da ultimo, Raiser, Wirtschaftsverfassung als Rechtsproblem, in Festschrift f. J. von Gierke, Berlin, 1950, p. 184.
[2] Stammler, Wirtschaft und Recht nach der materialistischen Geschichtsauffassung?, Berlin-Leipzig, 1921, p. 108.
[3] Croce, Il libro del prof. Stammler, in Materialismo storico ed economia marxista (Saggi critici)2, Milano-Napoli, 1907, p. 152. Cfr. pure, più recentemente, Isay, Die juristische Tecbnik der Wirtschaftslenkung, in Festschrift f. Schmidt-Rimpler, Karlsruhe, 1957, p. 405 («un’autonomia dell’economia rispetto all’ordine giuridico non esiste»); Hesse, Wirtschaftsform und Rechtsordnung, in Festgabe f. Jahn, Berlin, 1955, p. 9 («l’ordinamento giuridico determina la forma dell’economia»).
[4] Ballerstedt, Wirtschaftsvertassungsrecht, in Die Grundrechte. Handbuch der Theorie und Praxis der Grundrechte, a cura di Bettermann, Nipperdey e Scheuner, vol. III, 1, Berlin, 1956, p. 14 (fondamentale per tutto lo studio).
[5] Radbruch, Rechtspbilosophie4, a cura di E. Wolf, Stuttgart, 1950, p. 159.
[6] Roll, Storia del pensiero economico, Torino, 1954, p. 611.
[7] Welzel, Naturrecht und Positivismus, in Festschrift f. Niedermeyer, Gottingen, 1953, p. 289.
[8] Kaiser, Wirtschaftsverfassung als Rechtsprohlem, cit., pp. 196 ss.; Ballerstedt, op. loc. cit.
[9] Wieacker, Privatrechtsgeschicbte der Neuzeit, Gottingen, 1952, pp. 253 ss., 271 ss.
[10] Eucken, Grundsätze der Wirtschaftspolitik, Bern-Tübingen, 1952, pp. 272 s.