Diritto e valori
DOI: 10.1401/9788815413499/c6
Rimane così superata l’idea di un ordine naturale dell’economia che il diritto ha solo il compito di garantire, ma viene insieme superata la concezione per cui la legge formalmente valida è per se stessa giusta, in quanto legittimata dalla volontà generale della nazione sovrana. L’ordine dell’economia deve essere il risultato di una decisione consapevole della comunità politico-economica, e in questo senso esso si traduce nel concetto di «costituzione economica». Questa non può divenire diritto positivo se non attraverso atti di legislazione statale, ma la validità delle norme legislative che disciplinano l’economia non dipende semplicemente dal fatto di essere poste da determinati organi competenti e con un dato procedimento, bensì anche da un giudizio sostanziale di conformità del loro contenuto a un sistema di valori fatto proprio dalla legge fondamentale dello Stato
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. Senza
¶{p. 157}questa giustificazione sostanziale, la decisione della maggioranza rischia veramente di apparire una sorta di «giudizio di Dio» secolarizzato
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. La crisi del positivismo legislativo – che è «una crisi della democrazia, più esattamente della forza legittimante della volontà generale»
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– non si supera mediante l’anti-positivismo, ma piuttosto mediante l’attribuzione della garanzia costituzionale ai valori universali della persona umana. In virtù della garanzia costituzionale questi valori metalegislativi vincolano il contenuto delle norme positive, e quindi assumono il carattere specifico del diritto, che è quello di essere un ordine dotato di forza formativa della realtà. Beninteso forza storicamente condizionata, da cui non ci si può attendere che uno sviluppo graduale e forse destinato a non compiersi mai, così che la nuova costituzione economica deve essere concepita parzialmente come ordine in divenire, come tensione della volontà collettiva verso un ordine giuridico che realizzi progressivamente, in termini sempre perfettibili, il principio della preminenza dell’uomo sulla materia economica.
Democrazia economica e intervento diretto dello Stato sono il sottofondo delle nuove forme giuridiche dell’economia. In quanto è il risultato di una decisione politica, la costituzione economica implica essenzialmente l’assunzione da parte dello Stato di una funzione non semplicemente correttiva e integrativa
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, ma propulsiva e direttiva del processo economico, la quale assoggetta i comportamenti individuali e di gruppo a un vincolo immanente di destinazione a finalità sopraindividuali inerenti alla costituzione economica che si vuole realizzare, e ¶{p. 158}la cui realizzazione è appunto affidata all’autorità dello Stato.
Non per questo si può dire che lo strumento giuridico, di cui si riveste il comando dello Stato, si ponga al servizio di finalità di politica economica e da queste soltanto riceva giustificazione. Se così fosse, l’ordine giuridico dell’economia sarebbe soltanto, come è stato detto, il «precipitato, la cristallizzazione giuridica della volontà politico-economica della direzione statale»
[20]
. Questa concezione torna a ridurre il diritto a mera tecnica di organizzazione sociale, misconoscendone la funzione di realizzare storicamente un sistema di valori distinto e sovraordinato ai valori puramente economici
[21]
.
Certo il diritto è anche tecnica, ed è perciò suo compito apprestare alla politica economica gli strumenti il più possibile conformi allo scopo. In questo senso si può parlare di un problema di adeguamento del diritto al fatto, di cui sono aspetti specifici la constatazione di una crisi del concetto di contratto, di una crisi del diritto di proprietà, di una crisi dell’istituto della società per azioni, e via dicendo. Ma già per la soluzione di questo problema non bisogna dimenticare che ogni ordinamento giuridico ha una propria struttura, una propria essenza immanente, onde la costruzione delle categorie giuridiche segue proprie regole, diverse da quelle determinate dai fini puramente economici
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. Anzitutto il diritto ha il compito di garantire l’uniformità della valutazione giuridica dei comportamenti sociali rendendo possibile la previsione della valutazione futura e introducendo così nel processo economico un momento di alto valore costituito dalla sicurezza, senza la quale «l’économie devient duperie, et la modération imprudence»
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. In secondo luogo, ¶{p. 159}vi è un’intima coerenza fra i vari istituti giuridici, in virtù della quale ciascuno di essi riceve pieno significato e valore indipendentemente dalla misura mutevole dell’adeguatezza alle finalità economiche. Così la forma della società per azioni è essenzialmente legata al diritto di proprietà privata, e in funzione di questa connessione si articola la struttura giuridica dell’istituto azionario. Il rilievo che nell’odierna grande società per azioni si è determinato un fenomeno recessivo del controllo dei proprietari sulla gestione sociale, onde la tendenza della società a istituzionalizzarsi sulla base di un interesse obiettivo distinto e spesso in contrasto con l’interesse comune degli azionisti, è una considerazione socio-economica esatta, la quale mette in luce una disarmonia tra il significato della forma giuridica e il contenuto che essa assume nelle grandi società per azioni. Ma il compito della legislazione sulla società per azioni rimane pur sempre quello di «lottare incessantemente per la verità della forma»
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, di conservare cioè il nesso vitale della forma azionaria con l’idea della proprietà e della libera iniziativa privata
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4. L’intervento dello Stato nell’economia.
Ma l’autonomia del diritto nella sua funzione formativa dell’ordine sociale-economico si manifesta anche e soprattutto sotto un altro aspetto. Il diritto vincola le scelte politico-economiche dello Stato alle esigenze della giustizia materiale, alla realizzazione di un ordine giusto della società economica. Questo è il significato dell’art. 3 Cost., il quale istituisce un nesso indissolubile tra Stato di diritto e Stato sociale, nel senso che solo l’intervento nell’economia da parte degli organi pubblici può realizzare compiutamente lo Stato di diritto inteso in senso sostanziale, come sintesi ¶{p. 160}di libertà e di uguaglianza
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. Nel suo pieno significato lo Stato di diritto postula che l’uguaglianza formale dei cittadini non produca disuguaglianze sociali, che la libertà degli uni non si traduca in strumento di limitazione o di annullamento in fatto della libertà degli altri. Si introduce così una specificazione nel concetto di costituzione economica: essa si realizza nella misura in cui il diritto riesce a ottenere che ogni comportamento economicamente rilevante soddisfi il precetto della giustizia materiale.
Qui si apre una complessa problematica per il giurista. La Costituzione ripudia la concezione formale che identifica la giustizia con l’efficienza dell’ordinamento positivo, con la sua capacità di rendere in generale possibile il vivere e l’operare insieme degli uomini; nega che l’ordine sociale esistente in fatto sia il migliore possibile e quindi debba essere considerato come un dato; afferma invece che esso può e deve essere migliorato, onde l’ordine sociale non è un dato, bensì è oggetto di costruzione da parte dello Stato. La giustizia viene perciò vincolata a fini ai quali si attribuisce valore privilegiato, e che sono in generale definiti dagli artt. 2 e 3 e trovano poi una serie di formulazioni specifiche nel titolo III dedicato ai «rapporti economici».
La struttura di queste norme costituzionali è diversa da quella delle norme giuridiche che i giuristi sono abituati a maneggiare. La nozione tradizionale di norma giuridica si risolve nel concetto di forma o struttura formale di un comportamento sociale assunto come tipico, inclusa in questa nozione la stessa attività legislativa dello Stato diretta a emanare a sua volta norme giuridiche. La norma giuridica persegue uno scopo, e la considerazione di esso è importante per l’interpretazione, ma lo scopo è fuori dalla norma, non è un elemento della fattispecie normativa. Le norme costituzionali in parola, invece, non contengono ¶{p. 161}qualificazioni normative: il loro contenuto consiste proprio nell’attribuire rilevanza giuridica a determinati fini, riassumentisi nel concetto di giustizia sociale e indicati come criteri di giudizio delle leggi e dei provvedimenti che lo Stato emanerà per la ricostruzione dell’ordine sociale. Esse non sono, come è stato detto ricorrendo a formule scolastiche, jus normatum, ma justitia normans
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.
Corrispondentemente diversa deve essere la struttura dell’analisi giuridica. Se il giurista si arrestasse di fronte alla constatazione che queste norme non configurano concreti istituti giuridici, ma prospettano soltanto la possibilità di porre limiti ad alcuni diritti fondamentali dell’individuo, diritto di proprietà, libertà di iniziativa economica, ecc., sulla base di principi generali indecifrabili in termini di qualificazioni giuridiche, egli lascerebbe il compito di determinazione dei loro contenuti alla politica pura, cioè all’ideologia. Rovesciando una formula che all’epoca del laissez faire era riferita al comportamento economico individuale, è stato detto che l’intervento dello Stato nell’economia si muove in uno «spazio vuoto di diritto»
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: col che si vuole mettere in rilievo che il nuovo rapporto tra Stato ed economia introduce, accanto alla discrezionalità tecnica della pubblica amministrazione regolata dal principio di legalità, una «discrezionalità costitutiva» operante non solo sul piano della partecipazione pubblica diretta alle funzioni della vita sociale (attraverso la quale lo Stato diventa esso stesso operatore economico), ma anche sul piano dell’intervento dello Stato nell’economia mediante provvedimenti legislativi che incidono nella struttura sociale-economica. Su questo secondo piano la discrezionalità costitutiva dello Stato si esplica nella forma di leggi-provvedimento che attingono il loro significato soltanto dallo scopo al quale sono pre
¶{p. 162}ordinate, mentre le norme giuridiche in senso tradizionale (qualificate dai caratteri della generalità e dell’astrattezza) hanno valore per se stesse, per il loro contenuto, indipendentemente da considerazioni esterne di ordine teleologico
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.
Note
[16] La nostra Costituzione non contiene propriamente una costituzione economica, ma soltanto l’enundazione di una serie di prindpi direttivi per la costruzione di un nuovo ordine economico. Leiser, Grundrechte und Privatrecht, München, 1960, p. 181, osserva che «l’apparire della problematica della costituzione economica annunzia la fine dell’ordine liberistico dell’economia, solo costituzionalmente tutelato, non costituzionalmente costruito».
[17] Cfr. Menger, Vom Wenden und Wesen der Demokratie, in Staatsund Verwaltungswissenschaftliche Beiträge, pubblicati dalla Hochschule di Speyer (Stuttgart, 1957), p. 59.
[18] Wieacker, Privatrechtsgeschichte, cit., p. 331.
[19] Così Scheuner, Die staatliche Intervention im Bereich der Wirtschaft, in «Veröffentlichungen der Vereinigung der Deutschen Staatsrechtslehrer», H. 11, Berlin, 1954, p. 12.
[20] Schmölders, Die Weiterbildung des Wirtschaftsrechts, in «Zeits. ges. Staatswissenschaft», (1940-41), p. 80.
[21] Anche Heymann, op. cit., p. 215, rileva la «discrepanza tra diritto ed economia, determinata dalla peculiare interferenza del principio di giustizia».
[22] Raiser, op. cit., p. 195.
[24] Klein, Die neueren Entwicklungen in Verfassung und Recht der Aktiengesellschatf, Wien, 1904, p. 55.
[25] Considerazioni analoghe, con riguardo alla forma del contratto, svolge Reinhardt, Die Vereinigung subjektiver und obiektiver Gestaltungskräfte im Vertrage, in Festschrift für W. Schmidt-Rimpler, cit., p. 135, sub. d). Cfr. pure Scheuner, op. cit., pp. 53-54.
[26] Osserva Hedemann, Das Wirtschaftsrecht. Rückblick und Abschied, in Festschrift f. Hueck, München-Berlin, 1959, p. 391, che «in realtà Stato di diritto e direzione dell’economia sono legati indissolubilmente». V. anche Leiser, op. cit., pp. 167 ss.
[28] Krüger, Die staatliche Intervention, cit., p. 140. Cfr. anche Ballerstedt, Wirtscbaftsverfassungsrecht, cit., p. 34.
[29] Ballerstedt, Über wirtschaftliche Massnahmegesetze, in Festschrift für W. Schmidt-Rimpler, cit., pp. 369 ss., e, dello stesso autore, Wirtschaftsverfassungsrecht, cit., pp. 36 s. Fortsthoff, Lehrbuch, cit., p. 9, definisce le leggi-provvedimento «nient’altro che un intervento della legislazione nell’amministrazione». La distinzione tra leggi-norme e leggi-provvedimenti è riconosciuta anche dalla nostra Corte costituzionale: cfr. sent. 25 maggio 1957, n. 60, in Foro it., 1957, I, c. 944, e, da ultimo, sent. 30 dicembre 1961, n. 78, in Giur. it., 1962, I, 1, c. 940.