Diritto e valori
DOI: 10.1401/9788815413499/c5
La legge citata (art. 326/1 code de la sante publique) rende obbligatoria la dichiarazione del medico curante nel caso di ricovero dell’infermo in un istituto di cura. In
¶{p. 143}questo caso, ma limitatamente al ricovero per malattia mentale, il problema di forme di protezione legale del malato più consone alla sua dignità umana e alle esigenze delle terapie di recupero è stato avvertito anche dal nostro legislatore.
Secondo il regime della legge del 1904 recepito nell’art. 420 c.c., l’infermo di mente ricoverato in via definitiva in un manicomio o altro istituto di cura era praticamente equiparato a un interdicendo. Il tribunale aveva il potere di nominargli un tutore provvisorio, e tale provvedimento era valutato dalla giurisprudenza dominante come comportante di per sé la perdita della capacità di agire, anche se non fosse stato avviato il processo di interdizione
[29]
. L’art. 420 c.c. è stato abrogato dall’art. 11 l. 13 maggio 1978, n. 180, così che il giudice competente ad autorizzare l’internamento in ospedale psichiatrico non ha più, nemmeno in via provvisoria, «una competenza a provvedere sullo stato giuridico dell’infermo»
[30]
. Al giudice tutelare, competente a convalidare il provvedimento del sindaco che «dispone il trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera», l’art. 3, comma 6°, legge n. 180 attribuisce il potere, meno incisivo e insieme più elastico, di adottare «qualora ne sussista la necessità i provvedimenti urgenti che possono occorrere per conservare e per amministrare il patrimonio dell’infermo». Nel novero di questi possibili provvedimenti rientra sicuramente anche la misura prevista dall’art. 491/5 del codice francese con riguardo alle persone poste sotto la «sauvegarde de justice»; cioè la nomina di un curatore speciale per il compimento di uno o più atti ritenuti necessari per la tutela degli interessi del malato.
9. Breve conclusione dal punto di vista sistematico.
La rassegna, abbozzata nelle pagine che precedono, delle ¶{p. 144}norme e delle istituzioni destinate alla tutela dei bisogni della vita materiale, pur nella sua inevitabile incompletezza già consente una constatazione dal punto di vista del sistema. La crescente attenzione del diritto contemporaneo per la persona umana nella sua realtà globale e in tutti i suoi valori si riflette in una tendenza delle strutture e dei contenuti normativi a svilupparsi a livelli più bassi di astrazione, cioè ad articolarsi in discipline e strumentazioni più specializzate, allo scopo di ottenere una maggiore aderenza alle esigenze vitali dell’uomo nelle diverse fasi di età e nei ruoli diversi in cui viene a trovarsi nel corso della sua vicenda su questa terra.
Il sistema giuridico classico (legato all’ideologia individualistica) è fondato su un concetto formale-astratto di persona, che la riduce al concetto di soggetto di diritti (a sua volta ridotto dalla teoria pura del diritto al concetto, vuoto di contenuto, di centro di imputazioni giuridiche): un attributo della persona, la capacità giuridica, viene isolato con un procedimento di astrazione ideatrice e rappresentato come un’unità intellettuale. La nuova antropologia della persona nel diritto, sottesa all’ordinamento giuridico dello Stato sociale contemporaneo e orientata dagli schemi del diritto naturale, determina un concetto di persona radicato nel riconoscimento che la personalità non è mera soggettività, semplice essere ontologico, ma è anche una struttura di valore, un essere assiologico. Questa determinazione, che nasce dai valori e attinge l’uomo, oltre che nella sua razionalità, nella sua esistenza empirica, è un novum categoriale, in quanto introduce un concetto «concreto» di persona, rivolto non più a una qualità (la capacità di diritti), ma allo stesso oggetto nella totalità dei suoi elementi costitutivi, e quindi anzitutto nella sua dimensione vitale
[31]
. Tale concetto, per¶{p. 145}meato dal valore della «dignità umana» e termine di riferimento dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, porta ad emergere nella sfera della giuridicità problemi di tutela della vita materiale e spirituale che nella visuale del concetto astratto rimangono in ombra, quali i problemi di promozione del «pieno sviluppo della persona umana» (art. 3, comma 2°, Cost.).
La nuova categoria non segna lo scadimento del concetto classico, che rimane uno strumento dogmatico indispensabile, sia ai fini della valutazione e dell’esposizione sistematica delle condizioni formali di imputazione soggettiva delle fattispecie giuridiche (oggettive), sia perché esso solo consente di estendere la qualifica di persona a entità diverse dall’uomo (reali o ideali), in risposta a esigenze pratiche di regolamento delle organizzazioni umane. I due concetti convivono nel sistema giuridico in funzione di ordini diversi di problemi. Ma è tempo, anche nella scienza giuridica, che lo spirito sistematico abbandoni «l’antico pregiudizio che la spiegazione in base a un “unico principio” sia la migliore»
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Note
[29] Cfr., da ultimo, Cass., 13 maggio 1968, n. 1490, in Foro it., 1968, I, c. 2163.
[30] Cfr. Corte cost., 27 giugno 1968, n. 74, in Foro it., 1968, I, c. 2056.
[31] Concetto concreto non significa concetto individuale, che sarebbe una contraddizione in termini, i concetti essendo per loro natura generali. Se per astratto si intende generale, tutti i concetti sono astratti. Qui la contrapposizione astratto-concreto è assunta in una accezione diversa, corrente nella logica moderna, ma già presente nella logica hegeliana (cfr. Larenz, Methodenlebre der Rechtswissenschaft3, Berlin-Heidelberg-New York, 1975, pp. 439 ss.). Sono astratti i concetti che rappresentano come unità autonome attributi o parti non-indipendenti di un oggetto, mentre sono concreti i concetti i cui significati «sono rivolti agli oggetti nella misura in cui sono partecipi degli attributi» (Husserl, Ricerche logiche, vol. I. Milano, 1968, pp. 486 ss.).
[32] Hartmann, Il problema dell’essere spirituale, Firenze, 1971, p. 23.