Luigi Mengoni
Diritto e valori
DOI: 10.1401/9788815413499/c6
Siffatta concezione della costituzione economica riconosce il pluralismo economico, cioè riconosce l’azione di più gruppi socio-economici fra loro relativamente indipendenti e assunti come potenze d’ordine dell’economia. E nell’ambito di essa si profila una valutazione dell’impresa pubblica diversa o almeno integrativa e forse correttiva di quella tradizionale, che vede nell’impresa pubblica una forma attraverso la quale lo Stato diventa partner del processo economico, cioè produttore e distributore di beni. La struttura della produzione di massa è tale
{p. 167}che l’impresa pubblica, quando raggiunge certe dimensioni, tende a svilupparsi secondo uno schema del tutto analogo a quello della grande impresa privata, e quindi a costituirsi come centro di potere economico distinto dallo Stato. Essa appare allora non solo e non tanto una forma di partecipazione diretta dello Stato al processo produttivo, quanto una forma attraverso la quale l’intervento dello Stato si è esplicato nella costituzione di nuovi centri di forza economica, capaci di esercitare un potere di equilibrio nei confronti delle imprese private [36]
.
Di fronte a questa constatazione, che mi pare abbia notevoli implicazioni giuridiche specialmente per quanto riguarda il problema del controllo dell’impresa pubblica, è inutile recriminare osservando che lo Stato, anziché favorire il formarsi di nuovi centri di potere economico, deve preoccuparsi di eliminare o ridurre quelli esistenti, posto che la forza rimane forza da chiunque sia esercitata, sia impresa privata o pubblica. La forza, sia pubblica che economica, è un fenomeno dal quale ci ritraiamo spaventati, eppure non è possibile nessuna vita sociale senza posizioni di forza, perché per ogni vita in società è necessaria un’autorità. L’alternativa del pluralismo economico è l’economia unitaria collettivizzata, in cui tutto il potere politico-economico è accentrato nelle mani dello Stato, o meglio di un partito. L’individualismo economico, per cui la forza economica appartiene a tutti e quindi a nessuno, è un modello che non è mai esistito e che comunque oggi appartiene al regno dell’utopia.
Il problema è piuttosto quello della legittimazione delle forze economiche, e di rendersi conto che la forma complessiva di legittimazione non può consistere in una {p. 168}trascrizione in termini di pluralismo economico della concezione deterministica dell’equilibrio economico propria dello schema classico [37]
. La forma complessiva di legittimazione dei centri di potere economico si risolve invece nel concetto di costituzione economica, qualificata da una decisione consapevole circa la distribuzione del potere economico e dall’assunzione da parte dello Stato del compito di coordinamento e di mediazione propulsiva delle forze economiche.

6. La programmazione economica.

Il concetto di coordinamento delle forze economiche [38]
non coincide con quello di direzione pubblica dell’economia: quest’ultima è una specie, la più incisiva, che potremmo definire coordinamento programmato. Sono tecniche di coordinamento anche le forme giuridiche di esercizio del potere di equilibrio di una forza economica organizzata nei confronti di un’altra forza contrapposta. L’esempio più importante è il contratto collettivo o l’accordo economico in quanto riconosciuto e disciplinato dallo Stato. In questo caso lo Stato si limita a predisporre lo strumento formale per l’incontro delle due forze contrapposte in vista di un aggiustamento di interessi, la cui determinazione, nei limiti delle norme imperative di legge, è lasciata alle parti sul presupposto che la linea mediana sulla quale si accorderanno coinciderà, almeno normalmente, con l’interesse generale. Dal punto di vista dei principi della costituzione economica, la mancata attuazione dell’art. 39 Cost., implica perciò un difetto di strumentazione giuridica del coordinamento delle forze economiche, mentre per converso, e sempre dal medesimo punto di vista, la legge 14 luglio 1959, n. 741, appare un intervento anomalo, in quanto sovrappone al contratto collettivo, forma di coordinamento interno, il comando legale, forma di coordinamento esterno, associando lo Stato alla sfera del potere {p. 169}di equilibrio, dalla quale dovrebbe mantenersi, almeno formalmente, rigorosamente distinto.
La seconda forma di coordinamento rientra nella sfera dell’attività statale di direzione dell’economia e corrisponde grosso modo al concetto di programmazione indicativa o per incentivi. Nel sistema della programmazione gli incentivi, finanziari, fiscali ecc., si distaccano dalla funzione tradizionale di strumenti di sostegno dell’economia privata (funzione, perciò, servente dell’iniziativa privata) e si qualificano, combinati con i disincentivi, come strumenti di indirizzo dell’attività economica privata verso gli obiettivi del programma, cioè verso finalità eterogenee rispetto agli interessi privati; assumono insomma un compito di trasmissione delle decisioni del programma alle imprese private.
In un sistema di economia mista, nella quale coesistono centri di decisione pubblici e privati, la programmazione deve lasciar sussistere il mercato, pur sostituendogli per alcune scelte fondamentali meccanismi di direzione cosciente, retti dalla volontà politica [39]
. La programmazione concentra la sua attenzione sugli aggregati, mentre lascia al mercato di regolare le loro componenti [40]
. Il riconoscimento costituzionale della libertà di iniziativa economica privata non ha semplicemente il significato di garanzia di una posizione di libertà individuale contrapposta all’autorità dello Stato, ma esprime una valutazione obiettiva di tale libertà come mezzo attraverso il quale l’azione privata concorre con l’azione pubblica a determinare l’organizzazione economica complessiva del Paese, così che la posizione dei privati e la posizione dello Stato non sono fra loro contrastanti, l’una derogatrice all’altra, ma convergenti, nel risultato ultimo, verso i medesimi fini [41]
. La programmazione mira a rendere effettiva questa {p. 170}convergenza, la quale non può prodursi spontaneamente, ma solo in virtù di un’azione calcolata del pubblico potere al fine di conciliare le libere scelte individuali con determinati obiettivi di interesse sociale.
È certo pertanto che la programmazione, anche se non comportasse una dilatazione dell’intervento dello Stato già in atto, produrrà un mutamento di qualità del suo operare e conseguentemente una trasformazione qualitativa delle autonomie private sulle quali l’intervento si svolge. Il proprium della programmazione non consiste soltanto nell’essere uno strumento per prendere delle decisioni, ma anche nell’essere uno strumento che trasforma la qualità delle decisioni per la virtù che proviene dal coordinamento [42]
. Essa segna il passaggio da un’economia mista in cui le decisioni dei centri di potere pubblico e dei centri di potere privato non sono coordinate e in cui gli interventi pubblici operano prevalentemente nella prospettiva statica dell’art. 41, comma 2° (cioè come limiti esterni, di carattere negativo, della libertà di iniziativa privata, volta a volta determinati da valutazioni contingenti dell’utilità sociale [43]
), a un sistema di decisioni coordinate e unitariamente indirizzate al conseguimento dei fini sociali interpretati e definiti nel programma. In un’economia programmata gli interventi pubblici si esplicano in una prospettiva dinamica, come fattori propulsivi dell’iniziativa privata verso determinati risultati, e quindi si pongono come limiti operanti all’interno di essa nel senso di condizionarne positivamente le scelte [44]
. In questo senso la programmazione tende a tradurre il vincolo sociale {p. 171}della libertà di iniziativa privata in una componente strutturale della libertà medesima, e quindi a porlo come momento determinante della misura e del modo del suo esercizio: il calcolo di convenienza dell’impresa privata, ai fini delle scelte produttive, dovrà tenere conto non solo dei tradizionali indicatori del mercato, ma anche delle indicazioni del programma e delle sanzioni previste per il caso che esse non siano osservate.
Ma vi è un altro aspetto della trasformazione qualitativa dell’autonomia privata, determinata dalla programmazione, il quale in certo senso rappresenta la contropartita del primo. La programmazione è un metodo di ricerca razionale dei fini rispetto ai quali si caratterizza lo Stato sociale contemporaneo, mediante l’applicazione delle moderne tecniche di previsione e di calcolo nel campo socio-economico. Utilizzando tali tecniche essa elabora i fini sociali, individuati come prioritari dalla decisione politica di base, in obiettivi o traguardi quantitativi, fra i quali opera una distribuzione delle risorse disponibili. Questo carattere quantitativo conferisce ai fini sociali, cui è costituzionalmente vincolata la libertà di iniziativa privata, il massimo di certezza, e corrispondentemente elimina dal calcolo di convenienza dell’impresa privata l’incognita costituita, in un’economia non programmata, dal futuro atteggiamento dei pubblici poteri. Si coglie così un’altra funzione del programma: quella di predeterminare, per un arco di tempo di una certa ampiezza, la misura dell’intervento pubblico nell’economia, oltre che gli strumenti di tale intervento. Sotto tale aspetto la programmazione è potuta apparire come un fattore di incremento dell’autonomia dell’impresa privata, nel senso che «il piano, come ordine, dà forza alle varie autonomie proprio in quanto impone loro un terreno di esplicazione più sicuro» [45]
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Note
[36] Corna-Pellegrini, Impresa privata e impresa pubblica quali strumenti di progresso economico e sociale, nel volume per il LXX anniversario della «Rerum Novarum» edito dall’università cattolica di Milano, 1961, p. 118, osserva che, mentre «in economie di tipo americano il bilanciamento dei poteri contrapposti, ad alto livello, tende ad avvenire col rafforzamento del potere contrattuale di acquisto di fronte a quello di vendita, in economie di tipo italiano esso sembra manifestarsi soprattutto attraverso la duplicità o meglio la molteplicità di centrali di potere industriale, private e pubbliche».
[37] Cfr. Dossetti, Funzioni e ordinamento dello Stato moderno, in «Iustitia», 1952, p. 261.
[38] Cfr. Isay, op. cit., p. 409.
[39] Meynaud, Pianificazione e politica, Milano, 1963, p. 81.
[40] Cairncross, Aspects administratifs des programmes de développement, in La planification en cinq pays de l’Europe occidentale et orientale, a cura dell’Institut univ. d’études européennes, Turin, 1962, p. 21.
[41] Cfr. Pototschnig, I pubblici servizi, Padova, 1964, pp. 79 ss., e qui citazioni.
[42] Cairncross, op. cit., p. 7.
[43] Su questo tipo di intervento, il cui superamento è appunto il presupposto per l’instaurazione di una costituzione economica, cfr. Spagnuolo-Vigorita, L’iniziativa economica privata nel diritto pubblico, Napoli, 1959, pp. 25 ss. Esso porta, in definitiva a ima rottura dell’unità di azione dello Stato, crea un dualismo per cui, da un lato, lo Stato assume l’ordine economico come un dato indipendente da interventi giuridico-istituzionali, dall’altro afferma la necessità di interventi correttivi e integrativi.
[44] Cfr. Sica, Programmazione economica, Regioni e localizzazione industriale, in «Giur. cost.», 1963, p. 440.
[45] Momigliano-Forte, La strumentazione democratica della programmazione, in «Tempi Moderni» 1962, n. 11, p. 173. Nella letteratura giuridica cfr. Santoro-Passarelli, Norma giuridica e autonomia dei privati, in Saggi di dir. civ., vol. I, Napoli, 1961, pp. 229 s.; V. Bachelet, Legge, attività amministrativa e programmazione economica, in «Giur. cost.», 1961, p. 925. V. pure Corte cost. 24 giugno 1961, n. 35, ivi, 1961, pp. 629 ss., spec. pp. 652 ss., dove, ai fini della definizione del contenuto della riserva di legge sancita nell’art. 41, comma 3°, si afferma: «Ogni programmazione deve essere stabilita, con le relative norme legislative, prima della sua concreta attuazione, affinché non soltanto le autorità pubbliche, ma altresì i singoli operatori sappiano quali sono le finalità politiche, sociali ed economiche die si vogliono raggiungere, si rilevino i mezzi stabiliti per il raggiungimento dei fini, si distinguano le sfere di attività dei poteri pubblici e quelle dei privati operatori, e questi siano così messi in grado di determinare i limiti e la estensione della loro libertà nei rispetti delle iniziative economiche che possano prendere».