Francesca Biondi Dal Monte, Simone Frega (a cura di)
Contrastare la dispersione scolastica
DOI: 10.1401/9788815413369/c11
Previ [14]
colloca questi attributi all’interno di uno spettro di valori dove ciò che è complesso richiede capacità di improvvisazione mentre ciò che è complicato chiama in gioco la ripetizione; il primo riflette una situazione in divenire e il secondo in essere. Forse il punto è questo: per molto tempo abbiamo insistito a voler considerare l’apprendimento come un processo complicato, lineare, incrementale. Crescendo, si aggiungono nuovi saperi, si alza il livello di difficoltà e approfondimento con il quale i contenuti vengono trattati.
{p. 202}Oggi sappiamo che l’apprendimento non è una sommatoria, intuiamo che stiamo trattando un processo dalla natura «complessa» come se fosse «complicato».
Morin [15]
riconduce questa complessità anche a una precisazione terminologica, indicando con l’espressione «insegnamento educativo» la congiunzione che deve essere tracciata tra due poli altrimenti troppo distanti: l’insegnamento propriamente inteso e il più ampio concetto dell’educazione.
È proprio alla luce di queste considerazioni che si comprende come la struttura spazio-temporale della scuola lasci trasparire la fragilità di un modello educativo basato sulle logiche di insegnamento a discapito di quelle dell’apprendimento in quanto è pensata per separare in chiave organizzativa il momento dell’insegnamento (al mattino, seduti nei banchi in fila), da quella dello studio (a casa, a fare i compiti). Il processo più delicato, quello dell’apprendimento, dello studio inteso come parte tecnica e applicativa dei saperi incamerati al mattino, viene lasciato fuori presidio e lo studente è abbandonato a sé stesso [16]
. Il fatto che la famiglia possa giungere in soccorso colmando quello spazio è tutt’altro che una garanzia di equità poiché è noto che le famiglie sono culturalmente e socialmente diverse tra loro: «proprio per questo lo studente è esposto al rischio più insidioso, ovvero al fenomeno, insito sempre nella società, che la diversità di origine risulti la causa prima della diseguaglianza e dell’esclusione» [17]
.
Questa riflessione trova eco nelle parole di Meirieu [18]
che prende le distanze dal processo che indica come «raffineria scolastica» ovvero:
come dare speranza ai più fragili e privi di mezzi perché credano che la scuola potrà essere, anche per loro, un luogo di emancipa{p. 203}zione e speranza? [...] si tratta di domande che hanno un valore solo se si crede all’educabilità di tutti, se non ci si rassegna al darwinismo scolastico trionfante e al fatto che «sopravvivono solo i più adatti».
Meirieu sostiene che la motivazione non è da considerare come un prerequisito per l’apprendimento, ma un elemento che si costruisce e si sviluppa attraverso il processo educativo stesso. Per l’autore, un approccio pedagogico efficace deve partire dal riconoscimento delle specificità di ogni studente, cercando di coinvolgerlo attivamente nel suo percorso di apprendimento.
Intervenire sul modello educativo significa aprire la classe, la scuola, al più ampio ambiente di apprendimento che la circonda abilitando processi di decostruzione e ricostruzione di senso che avvengono attraverso l’esperienza nel mondo, si realizzano nel confronto con il prossimo e con le fonti di conoscenza. Significa fare proprie le considerazioni dei maestri dell’attivismo pedagogico che, già oltre un secolo fa, ponevano lo studente al centro di molteplici percorsi di appropriazione di senso, uno diverso dall’altro, uno per ciascuno. Un modello di scuola basato prevalentemente sulla trasmissione dei saperi i cui simboli sono la cattedra e i banchi in file parallele, non riesce a rispondere alle sfide della complessità che richiedono competenze chiave e centralità della persona, processi molteplici anziché conoscenze univoche e granitiche [19]
.
Alla luce di queste premesse, il pensiero che sostiene il concetto di ambiente di apprendimento innovativo non può fare a meno del principio dell’inclusione, della personalizzazione e dell’individualizzazione. In ottica Universal Design for Learning [20]
(UDL), infatti, l’obiettivo è quello di ridurre le barriere all’apprendimento e massimizzare le opportunità per il successo degli studenti, progettando fin dall’inizio corsi che siano in grado di adattarsi a un ampio {p. 204}spettro di utenti senza la necessità di adattamenti o modifiche specifiche. Questo modello ideato dal Center for Applied Special Technology (CAST) è supportato da ricerche nel campo delle neuroscienze ed evidenzia come un approccio flessibile e inclusivo possa favorire un apprendimento più profondo e significativo per tutti gli studenti. È interessante constatare come il Movimento dell’UDL tragga origine proprio dall’ambito architettonico (Universal Design, UD) per impulso del suo fondatore, l’architetto Ronald L. Mace, per poi abbracciare successivamente anche l’ambito del curricolo e delle pratiche di insegnamento e apprendimento.
Il principio che accomuna entrambe le dimensioni (architettonica e pedagogica) è quello di una prospettiva «universale» tale da prevedere, fin dalla prima progettazione, elementi di personalizzazione e inclusione che rendono l’esperienza educativa accessibile per tutti, proprio perché flessibile. È infatti inefficace, secondo il Movimento dell’UD e dell’UDL, intervenire ex post con soluzioni tardive ed emergenziali quando si può fare affidamento sui tre principi della molteplicità di rappresentazione ed espressione e sulla leva del coinvolgimento. Ai tre principi sono ascrivibili gli interventi didattici finalizzati a presentare i concetti e le tematiche di apprendimento attraverso molteplici linguaggi e modalità. I linguaggi digitali possono rendere più accessibile un determinato concetto che non viene veicolato solamente attraverso la sequenzialità del codice alfanumerico ma si amplia e si completa grazie ad altri codici semiotici (immagini, simulazioni, video, ambienti immersivi o di realtà virtuale). Le modalità, invece, richiedono il superamento della trasmissione del sapere che si affida a forme discorsive spesso poco efficaci per i più. Metodologie didattiche come l’apprendimento intervallato [21]
o il Debate [22]
testimoniano la capacità di riattivare la motivazione e il piacere di {p. 205}apprendere in ragione del loro potere inclusivo [23]
e delle dinamiche di gioco.

3. Oltre i «non luoghi»: progettare spazi da abitare

Esistono in letteratura diverse ricerche che mettono in correlazione l’impatto degli ambienti di apprendimento innovativi con la riduzione dei tassi di dispersione.
Uno studio [24]
condotto su alcune scuole secondarie dello Stato di Rivers, in Nigeria, ha indagato il ruolo dell’ambiente scolastico sul tasso di abbandono scolastico su un campione di 786 studenti. La ricerca ha rivelato che l’ambiente fisico, sociale e accademico delle scuole ha un impatto sull’abbandono scolastico.
Un’ulteriore ricerca realizzata dall’Università di Salford [25]
, nel Regno Unito, si è concentrata sull’impatto del design degli ambienti scolastici sul rendimento degli studenti, basandosi su un campione di oltre 3.700 studenti in 153 aule. Risulta che il design degli spazi ha un’importante correlazione con il rendimento scolastico: aule ben progettate, con una buona illuminazione naturale, un’adeguata temperatura e ventilazione, hanno portato a risultati migliori nei test standardizzati. In particolare, i risultati hanno mostrato un aumento del 16% nel rendimento degli studenti nei test di lettura e del 13% nei test di matematica nelle aule con un buon design rispetto a quelle con un design mediocre. L’illuminazione naturale e una temperatura adeguata hanno mostrato l’impatto più significativo sul rendimento degli studenti.{p. 206}
In aggiunta, una ricerca americana condotta da David Branham [26]
ha analizzato l’impatto della qualità dell’infrastruttura scolastica sulla frequenza e sui tassi di abbandono scolastico nel Distretto scolastico di Houston su un campione di 226 scuole. Ha scoperto che lo stato dell’infrastruttura scolastica influisce significativamente sia sulla frequenza che sui tassi di abbandono. In particolare, gli studenti tendono a frequentare meno in scuole che necessitano di riparazioni strutturali, che utilizzano strutture temporanee o che hanno servizi carenti. A conclusioni simili è giunto anche uno studio analogo sulle scuole primarie di alcune province del Bangladesh [27]
e una ricerca ungherese [28]
che ha ampliato il concetto di ambiente di apprendimento dalla dimensione fisica a quella della relazione educativa e del clima di classe. Quest’ultima ha indagato l’influenza degli ambienti di apprendimento in classe sulla prevenzione dell’abbandono scolastico in Ungheria, analizzando le percezioni di studenti e insegnanti su tali ambienti. Attraverso un’ampia indagine che ha coinvolto quasi 10.000 studenti e oltre 6.000 insegnanti e dirigenti, ha cercato di identificare i fattori di rischio e le strategie efficaci per creare ambienti di apprendimento supportivi, contribuendo alla diminuzione dell’abbandono scolastico.
Lungi dal rappresentare una rassegna esaustiva della letteratura, questi risultati indicano l’importanza di investire nel design degli ambienti scolastici per migliorare il benessere e le prestazioni degli studenti.
Come già accennato, il benessere, il senso di appartenenza, la percezione della self-efficacy e la motivazione sono
{p. 207}leve fondamentali per agganciare gli studenti, in particolare quelli a rischio dispersione. In tal senso, crediamo che partire dal ripensamento degli ambienti e renderli accoglienti, familiari, ricchi di affordance [29]
per la socializzazione e la collaborazione possa contribuire a viverli anziché subirli, ad abitarli anziché rifuggirli.
Note
[14] L. Previ, Zainocrazia. Teoria e pratica di un futuro preferibile, Milano, Edizioni LSWR, 2018.
[15] E. Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Milano, Raffaello Cortina, 2001.
[16] L. Berlinguer, Ri-creazione. Una scuola di qualità per tutti e per ciascuno, Napoli, Liguori, 2014.
[17] Ibidem.
[18] P. Meirieu, Fare la scuola, fare scuola. Democrazia e pedagogia, Milano, Franco Angeli, 2015.
[19] G. Biondi, La scuola che ancora non c’è. Dalla crisi del modello tayloristico alla scuola del futuro, Roma, Carocci, 2021.
[20] G. Savia (a cura di), Universal Design for Learning. Progettazione universale per l’apprendimento e didattica inclusiva, Trento, Erickson, 2016.
[21] F. Caprino, M. Garzia, L. Tosi, G. Moscato et al. (a cura di), Avanguardie educative. Linee guida per l’implementazione dell’idea «Spaced learning (Apprendimento intervallato)», versione 1.0 (2015-2016), Firenze, INDIRE, 2016, https://pheegaro.indire.it/uploads/attachments/1967.pdf.
[22] E. Mosa, L. Cinganotto e S. Panzavolta (a cura di), Il Debate. Una metodologia per potenziare le competenze chiave, Roma, Carocci, 2021.
[23] E. Mosa e S. Panzavolta, Diventare competenti con il Debate, in «RicercAzione», numero speciale, Trento, IPRASE, 2024, https://ricercazione.iprase.tn.it/issue/view/44.
[24] S.N. Emechebe e P.N. Okwai, Impact of School Environment on Students’ Dropout in Secondary Schools in Rivers State, Nigeria, in «African Journal of Educational Management», 21, 2, 2021, pp. 1-17, https://journals.ui.edu.ng/index.php/ajem/article/view/612.
[25] P. Barrett, Y. Zhang, F. Davies e L. Barrett, Clever Classrooms: Summary Report of the HEAD Project, 2015, https://salford-repository.worktribe.com/output/1414916/clever-classrooms-summary-report-of-the-head-project.
[26] D. Branham, The Wise Man Builds His House Upon the Rock: The Effects of Inadequate School Building Infrastructure on Student Attendance, in «University of Houston Social Science Quaterly», 85, 5, 2004, Southwestern Social Science Association.
[27] H. Mahmudul, A. Mokter, S. Tahmina e P. Rehena, Impact of Primary Schools Infrastructure on the Dropout Rate: A Situational Analysis on the Context of Bangladesh, in «British Journal of Arts and Humanities», 2021, pp. 64-73.
[28] K. Tókos, J.T. Kárász, N. Rapos, S. Lénárd e J. Szivák, Classroom Learning Environments and Dropout Prevention in Hungary, in «European Journal of Education», 58, 2023, pp. 741-758.
[29] J.J. Gibson, The Ecological Approach to Visual Perception, Boston, Houghton Mifflin, 1979.