Sergio Brillante
«Anche là è Roma»
DOI: 10.1401/9788815410559/c1
La posizione critica assunta di fronte all’episodio di Dogali non è quindi il frutto di una meditata convinzione, ma piuttosto l’esito delle circostanze. In una lettera a Ugo Brilli del 29 marzo 1887, Carducci infatti rendeva conto del suo atteggiamento, ricordando la sua avversione a Depretis, capo del governo ai tempi di Dogali, e il disprezzo che provava per il ruolo preponderante assunto dai riti ecclesiastici nelle manifestazioni di cordoglio per i caduti. In quella sede rievocava inoltre con fastidio appunto quegli inconsulti «sfoghi di memorie classiche». «Quante epigrafi
{p. 52}avete fatto – scrive –, quanti versi, quanti discorsi perché cinquecento contadini, non potendo scappare, sono morti. Avete parlato di Leonida, canaglia!» [59]
. Il poeta che tanto aveva sfruttato l’immaginario classico nei suoi componimenti poetici [60]
non poteva tollerare di vedere una materia tanto nobile trattata così volgarmente da avvocati, preti e modesti insegnanti di provincia; la canaille.
L’anticolonialismo espresso in quell’occasione da Carducci era in realtà soprattutto esito del disprezzo per lo spazio che in quell’occasione si guadagnava l’elemento della massa popolare, attore indegno di celebrazioni rivestite di un classicismo di cattivo gusto e protagonista inconsapevole di un fatto militare presentato come eroico. Il sussiego con cui il poeta parla delle «vittime di una spedizione inconsulta» è, non a caso, paragonabile alla lettura dell’evento data da Andrea Sperelli, protagonista de Il Piacere dannunziano, che definirà i Cinquecento dei «bruti morti brutalmente», che non «sapevano perché andavano a morire». Sia in Carducci che in D’Annunzio, in altri momenti accesi esaltatori dell’espansionismo italiano, l’interpretazione dell’evento dogaliano passa attraverso il disprezzo per le rozze emozioni della folla.
Ben più profonda rispetto all’anticolonialismo episodico e snobistico di Carducci doveva essere la critica di Arcangelo Ghisleri (1855-1938), intellettuale lombardo di fede repubblicana. Questi svolgeva al tempo la professione di insegnante liceale e, proprio nel corso di tale esercizio, si {p. 53}era convinto dell’importanza della geografia nel processo di formazione intellettuale e politica dei giovani, in quanto materia attraverso la quale era possibile sfatare i grandi miti del tempo: la fede nel progresso, la superiorità dell’uomo sulla natura e il primato della civiltà europea. Fu soprattutto quest’ultimo tema che Ghisleri recepì e portò all’interno della sua polemica anticoloniale, facendosene poi coerente interprete ancora per lungo tempo. Del 1905-1909 è il suo celebre Atlante d’Africa, che metteva a nudo l’ipocrisia della missione di civiltà e che preludeva al vasto impegno politico che Ghisleri dispiegherà poi nel corso della guerra libica.
Nel 1887, in concomitanza con l’episodio dogaliano, fondò il mensile «Cuore e Critica», la rivista da cui doveva poi svilupparsi la «Critica Sociale», dopo il passaggio della direzione a Turati. Nel luglio di quell’anno, il supplemento trimestrale della rivista fu occupato dal tema «Politica coloniale». Tale numero doveva passare alla storia proprio per il lungo intervento di Ghisleri lì presente, che traeva le mosse dalla nuova posizione assunta da alcuni socialisti, fra cui in primis Giovanni Bovio, il quale, dopo Dogali, si era ormai schierato per un intervento italiano in Africa affermando icasticamente che «non esiste diritto alla barbarie». L’intervento di Ghisleri, intitolato Il diritto e le razze, andò al nocciolo centrale della questione, affrontando l’idea stessa di una scala gerarchica impostata sul criterio razziale, da cui derivavano, allora e poi, le giustificazioni per l’intervento europeo in Africa. Egli fece appello alle sue conoscenze di geografia, antropologia e storia riuscendo a dare grande solidità alla sua argomentazione in cui un posto importante è occupato dalla critica al «pregiudizio classico della nostra educazione nazionale [che] ci abituò a filosofare intorno ai progressi dell’umanità come se l’umanità fosse ristretta tra gli scogli dell’Ellade e nella tradizione di Roma» [61]
. Solo {p. 54}scardinando questa idea si poteva infatti riconoscere il titolo di «civiltà» anche a popolazioni escluse da quella tradizione.
A tale scopo Ghisleri si servì di un argomento ben più antico e che di fatto consisteva nell’allargare l’orizzonte storico, nel liberarsi insomma da un canone che aveva appiattito gli inizi della storia umana su quelli della storia greco-romana. Già prima dei Greci altri popoli si erano infatti avvicendati sulla terra e tra loro anche quanti avevano raggiunto gradi di civiltà innegabilmente elevati e rispetto ai quali i barbari risultavano essere proprio i Greci. Riprendendo alcune idee già svolte anni prima da Cattaneo [62]
, Ghisleri ricordò ad esempio i progressi raggiunti dagli Egizi secoli prima che la civiltà greco-romana prendesse il sopravvento nel Mediterraneo. «Dov’era allora, la razza migliore, la caucasica, – si chiede Ghisleri – e perché, se migliore, nei cinque o sei mila anni della civiltà egizia, dormì così duri e infecondi sonni?» [63]
. Attraverso l’espansione dell’arco storico e l’allargamento del quadro geografico, Ghisleri riusciva a decentrare la convinzione italiana del primato culturale greco-romano e a mettere in crisi l’impianto positivistico ottocentesco di classificazione delle razze.
Note
[59] G. Carducci, Lettere, vol. XVI: 1886-1888, Bologna, Zanichelli, 1953, pp. 126-129.
[60] Cfr. M.T. Marabini Moevs, Fra marmo pario e archeologia. L’antichità nella vita e nell’opera di Giosuè Carducci, Bologna, Cappelli, 1971; L. Braccesi, Archeologia e poesia 1861-1911. Carducci – Pascoli – D’Annunzio, Roma, L’Erma di Bretschneider, 2011; L. Fournier-Finocchiaro, Antiquité et poésie civile chez Carducci et Pascoli, in «Rassegna Europea di Letteratura Italiana», 37, 2011, pp. 97-111; D. Proietti, «E so legger di greco e di latino». Carducci per l’«idealità superiore greca e romana» nella scuola e nella cultura della Nuova Italia, in Cerasuolo et al. (a cura di), La tradizione classica e l’Unità d’Italia, cit., pp. 499-522; L. Fournier-Finocchiaro, Il mito di Roma di Carducci, tra patrimonio italiano e latinità, in A. Vranceanu Pagliardini e A. Pagliardini (a cura di), (De)scrivere Roma nell’Ottocento, Berlin-Bern, Lang, 2020, pp. 25-37.
[61] A. Ghisleri, Il diritto e le razze, in «Cuore e Critica», I.6bis (Supplemento del 2° trimestre), pp. 117-124: 123; poi in Id., Le razze umane e il diritto nella questione coloniale, Savona, Miralta, 1888 (rist. Milano, Marzorati, 1972, a cura di R. Rainero). Cfr. R. Colapietra, Correnti anticolonialiste nel primo triennio crispino (1887-1890), in «Belfagor», 9, 1954, pp. 560-574; A. Goussot, Alcune tappe della critica al razzismo: le riflessioni di G. Mazzini, N. Colajanni e A. Ghisleri, in A. Burgio (a cura di), Nel nome della razza. Il razzismo nella storia d’Italia 1870-1945, Bologna, il Mulino, 1999, pp. 129-142; E. Casti (a cura di), Arcangelo Ghisleri e il suo «clandestino amore». Geografia e studi coloniali tra ’800 e ’900 in Italia, Roma, Società Geografica Italiana, 2001; E. Casti e G. Mangini (a cura di), Una geografia dell’altrove. L’Atlante d’Africa di Arcangelo Ghisleri, Cremona, Linograf, 2007; F. Ferretti, Arcangelo Ghisleri and the «Right to Barbarity»: Geography and Anti-Colonialism in Italy in the Age of Empire (1875-1914), in «Antipode», 48, 2016, pp. 563-583.
[62] C. Cattaneo, L’antico Egitto e le origini italiche, in «Il Politecnico», 11, 1861, pp. 462-491.
[63] Ghisleri, Il diritto e le razze, cit., p. 121.