«Anche là è Roma»
DOI: 10.1401/9788815410559/c4
Nell’ambito delle conferenze
africaniste, Grazioli parlò di Scipione l’Africano, ma la trattazione di quel
personaggio, di lì a poco al centro di una delle realizzazioni più impegnative della
cinematografia fascista, era stata inizialmente affidata da Galassi Paluzzi a un
altro militare. In un primo momento, ci si era infatti rivolti a Rodolfo Graziani,
il quale aveva recentemente ottenuto la «pacificazione» della Libia e sarebbe stato
di lì a poco celebrato appunto come «generale scipionico» in una biografia del 1936
scritta da Paolo Orano. Graziani aveva anche inizialmente accettato l’invito, ma il
suo successivo diniego, «per considerazioni assolutamente personali» non meglio
chiarite, generò il problema di sostituirlo. Grazioli si fece allora carico della
conferenza su Scipione, a condizione che altri parlasse della guerra giugurtina di
cui egli avrebbe dovuto occuparsi secondo i precedenti accordi. Egli stesso
consigliò a tale effetto di rivolgersi a Badoglio, che aveva firmato una nota
introduttiva alla traduzione dell’opera di Sallustio dedicata a quel conflitto per
la «Biblioteca degli scrittori militari d’Italia» edita da Le Monnier
[41]
. Questi rifiutò la proposta,
¶{p. 166}ma disse di
contattare Domenico Siciliani, anch’egli militare con esperienza sul campo libico,
dove aveva peraltro ricoperto il ruolo di suo vice come governatore della regione.
La presenza dei militari
nell’ambito delle conferenze sull’Africa romana fu certo considerata positivamente
se in occasione del secondo ciclo di conferenze sul tema se ne cercò nuovamente la
partecipazione. In quel frangente, ci rivolse prioritariamente a Emilio De Bono,
comandante dell’esercito italiano in Etiopia
[42]
. Questi rifiutò, dicendo di «non essere un uomo di studio e tanto meno
di ricerche», ma il suo posto, come vedremo, fu occupato da uno studioso arruolatosi
nella Milizia in occasione della guerra d’Etiopia, Biagio Pace.
Il contatto con i militari si
rese poi necessario nel contesto del progetto di fondazione delle sezioni africane
dell’Istituto, dal momento che in ambito coloniale gli ufficiali dell’esercito erano
spesso anche figure politiche di rilievo. Il primo rappresentante delle istituzioni
etiopi cui Galassi Paluzzi si rivolse nuovamente fu Graziani, viceré d’Etiopia nel 1937
[43]
. Del pari, in vista della creazione della sezione libica, Galassi
Paluzzi scrisse più volte a Italo Balbo, all’epoca governatore della Libia. A lui
chiese una parte dei fondi ricavati dalla Lotteria di Tripoli per dare vita a
un’opera che avrebbe «rivendicato le glorie della civiltà bianca» e messo in luce
«tutto quello che Roma e l’Italia nel nome di Roma hanno fatto in Africa attraverso
i secoli». Balbo negò il suo appoggio, facendo notare che l’unica possibilità di
«lumeggiare i rapporti tra Roma e l’Affrica» era offerta «nel campo archeologico,
ove già organi governativi di studio e di ricerche stanno da anni compiendo proficuo
e paziente lavoro divulgando nel Regno e in tutti gli ambienti
¶{p. 167}scientifici i risultati dei loro studi»
[44]
. Galassi Paluzzi tornò però a scrivergli l’anno successivo,
prospettandogli l’idea innovativa della realizzazione di fotografie aeree e, come si
è visto, questo argomento fece breccia presso colui che era stato nominato
Maresciallo dell’Aria, anche se non sfociò mai in risultati concreti.
Vi era naturalmente una
componente di opportunismo da parte dell’ISR nel coltivare questo legame con alti
esponenti del mondo militare, ma anche qualcosa di più profondo. Spingeva a tale
atteggiamento anzitutto l’imperante esaltazione dell’uomo d’azione che «virilmente»
agisce nella società. Doveva poi influire su Galassi Paluzzi anche il pensiero che
essi più di altri sapessero «sentire» il valore della storia romana in quanto ne
continuavano l’opera con la propria attività; le loro operazioni in territorio
coloniale erano simbolo del rinnovamento del modello imperiale antico. L’ideologia
promossa dall’ISR di fatto proponeva un nuovo modello antropologico che, riprendendo
l’esempio romano, facesse dell’uomo un civis, dedito nello
stesso tempo alla sfera politica, a quella militare e a quella intellettuale. Lo
stesso Galassi Paluzzi dice più volte a Bottai di aver cercato di arruolarsi per la
guerra etiopica e combattere ai suoi ordini, ma di esserne stato impedito, per
ragioni non chiare
[45]
. Poco importa sapere se mentisse o meno, ciò che conta è che senta il
bisogno di dirlo, di presentarsi cioè come persona non estranea al patriottico
furore militare.
Tale figura di uomo nuovo
«romano» venne simbolicamente posta al centro di un’occasione pubblica importante,
quale la celebrazione della proclamazione dell’impero nella sede dell’ISR. La prima
metà del 1936 era infatti stata occupata dallo svolgimento del secondo ciclo di
conferenze sull’Africa romana e fra gli invitati era stato contattato anche Biagio
Pace, che in quel momento era però in Etio¶{p. 168}pia, arruolatosi
nella 2a divisione «28 ottobre» della Milizia Volontaria
di Sicurezza Nazionale
[46]
. Oltre che archeologo di professione, Pace (1889-1955), erede di una
famiglia di influenti proprietari terrieri della Sicilia meridionale (Comiso), era
anche molto attivo nella sfera politica. Già nel 1921 aveva aderito al PNF e dal
1924 al 1943 fu ininterrottamente deputato e attento osservatore del problema coloniale
[47]
. Non solo fece sentire la propria voce in merito all’interno della Camera
[48]
, ma concretizzò questo suo interesse anche nell’alveo della sua attività
professionale attraverso numerose pubblicazioni e la promozione di campagne di scavo
nel territorio libico.
Galassi Paluzzi vide in lui
realizzata l’unione dello studioso e dell’uomo d’azione e volle quindi assicurarsene
la partecipazione per le conferenze africaniste del 1936, pur sapendo che non
avrebbe potuto imporgli una data, visto il suo coinvolgimento nelle operazioni
militari etiopiche. Tuttavia, furono gli eventi a decidere per loro, dal momento che
poco dopo il ritorno di Pace in Italia (aprile), l’impero tornava sui «colli fatali
di Roma» e un tale evento non poteva non essere celebrato dall’Istituto. In grande
fretta Galassi Paluzzi organizzò per il 15 maggio una conferenza dal valore di
«orazione celebrativa», in cui avrebbe parlato «l’On. Prof. Biagio Pace, combattente
in A.O.». Egli realizzava così, nei suoi titoli, l’unione della sfera politica,
accademica e militare
[49]
.
Alle 17, presso l’Oratorio
Borromini, il primo a prendere la parola fu Galassi Paluzzi, il quale esaltò
l’impero, la sua ¶{p. 169}romanità e la benevolenza di Dio «che a
Roma ha voluto affidare una solenne e santa missione di Impero». Poi, passò la
parola a Pace, che per l’occasione indossava l’uniforme della Milizia
[50]
. Egli svolse un tema apparentemente in controtendenza rispetto a quanto
avrebbe poi detto di lì a poco nella sua relazione scientifica, dedicata alla
trattazione della penetrazione romana in Africa centrale. Dopo le brevi parole
introduttive di rito, l’archeologo si lasciò infatti andare a una tirata
antiretorica introdotta da una frase quasi provocatoria visto il contesto in cui era
pronunciata: «Le terre e i popoli del nostro nuovo impero non
sono segnati dall’antica orma di Roma» (corsivo nostro). L’Etiopia non
era stata infatti fra le terre annesse dai Romani e non si poteva pertanto «ripetere
la formula stanca del ritorno sulla via degli avi». Tuttavia,
appunto per questo – continuò Pace, avviandosi a rovesciare la situazione di partenza – la celebrazione dell’Impero poteva essere fatta veramente nel nome di Roma. Perché Roma non è conclusa negli avanzi del suo antico passato come una pagina qualsiasi d’una qualsiasi civiltà, la quale non esiste se non attraverso motivi d’erudizione o documenti d’antiquaria. Ma è nella inesausta capacità propulsiva della sua realtà spirituale.
L’impresa italiana era per lui
molto più di un ritorno dell’antica gloria romana; era una continuazione della sua
tradizione militare e conquistatrice, resa possibile dal fascismo. Grazie al «genio
militare e politico di Colui che la Storia consacra ormai col titolo di Fondatore
dell’Impero», Roma «riprende la millenaria marcia al di là delle millenarie
frontiere». ¶{p. 170}
In tale maniera, Pace riusciva
a conciliare la sua precisa conoscenza della storia antica, che non tollerava
deformazioni retoriche, con la sua adesione al fascismo e il suo desiderio di
partecipare a quel movimento di celebrazione del nuovo impero.
L’importanza riservata ai
militari all’interno delle iniziative dell’ISR è infine dimostrata anche dal
trattamento riservato al generale Domenico Siciliani nell’ambito della pubblicazione
del volume Africa romana. Nel corso della già ricordata
operazione di revisione degli interventi svolta da Montini, un problema fu infatti
sollevato dalla sua relazione sulla guerra giugurtina, giudicata troppo
«pessimistica» nella descrizione dello stato in cui versava la repubblica romana. Il
giovane collaboratore fece infatti notare che poteva apparire «un po’ esagerato
affermare che la guerra giugurtina “mise a nudo le miserie della Repubblica e ne
affrettò il crollo”», visto che mancava «ancora un secolo alla caduta della
Repubblica». Inoltre, colpiva l’affermazione che Roma ottenne «la vittoria nelle
guerre giugurtine col tradimento», con riferimento al fatto che solo per
l’improvviso mutamento di campo da parte del re di Mauretania, Bocco, si poté
catturare Giugurta, suo genero e suo alleato. Invece di parlare di «tradimento» –
chiese Montini – non sarebbe stato piuttosto il caso «di trovare un sinonimo?».
Galassi Paluzzi trovò
giustificate le osservazioni del collaboratore e ne trasmise il contenuto a
Siciliani. L’autore accettò sì di attenuare i toni
[51]
, ma non volle rinunciare alla nozione – storicamente inattaccabile – di
«tradimento», perché nel finale della sua relazione sosteneva la necessità «nelle
guerre coloniali» di «individuare bene il capo» e «colpirlo all’inizio
inesorabilmente» facendo ricorso ad ogni mezzo possibile. Se i Romani avessero preso
subito in considerazione l’idea del tradimento, la guerra giugurtina non sarebbe
durata così a lungo né avrebbe a tal punto corroso la struttura politica
repubblicana. Allo stesso modo avrebbero
¶{p. 171}dovuto comportarsi
gli Italiani. A dire di Siciliani, infatti, la Cirenaica moderna non sarebbe stata
sottomessa con tanta difficoltà se «la pattuglia che catturò Omar al Mukhtar nel
1931, avesse avuto la ventura di incontrarlo qualche anno prima». La guerra antica
serviva così a presentare come necessaria la poco civile impiccagione del capo
senussita e a riflettere sugli errori strategici commessi dagli Italiani, che
avrebbero dovuto fare immediato ricorso anche a mezzi disdicevoli, pur di eliminare
al più presto il comandante dei ribelli e concludere rapidamente la guerra libica.
Note
[41] Caio Sallustio Crispo, La guerra giugurtina, trad. it. a cura di E. Giovannetti, pref. del Maresciallo P. Badoglio, note introduttive del Gen. A. Baldini, Firenze, Le Monnier, 1932.
[42] AINSR, Corsi, b. 79, f. 54, cart. 1937-38 Africa Romana, De Bono (20 gennaio 1936). Seppur non collocati nel fascicolo relativo alle conferenze sull’Africa romana, è in tale quadro che si devono valutare questi documenti, vista la data e il fatto che nell’angolo superiore del foglio in cui è trascritta la risposta di Galassi Paluzzi si legge: «Corsi 1936 / Africa Romana / De Bono».
[43] AINSR, Sezioni, b. 144, f. 27, Graziani (12 marzo 1937).
[44] AINSR, Sezioni, b. 144, f. 28, Balbo (22 settembre 1936; 29 ottobre 1936).
[45] AINSR, Sezioni, b. 144, f. 27, sf. Sezione di Addis Abeba / I – Fondazione e norme programmatiche / 1 – Preliminari, cart. Bottai (aprile 1936 e 8 maggio 1936).
[46] B. Pace, Tembien. Note di un legionario della «28 ottobre», Napoli, Ricciardi, 1936.
[47] Su di lui, cfr. da ultimo P. Giammellaro, Biagio Pace, in G. Brands e M. Maischberger (a cura di), Lebensbilder. Klassische Archäologe und Nationalsozialismus, Rahden, Leidorf, 2016, pp. 237-250.
[48] Cfr. APCD, 13 marzo 1925; 26 marzo 1925; 30 marzo 1927; 5 dicembre 1928; 8 aprile 1932. Notevole è poi la sua relazione al primo convegno nazionale per gli studi di politica estera (Gli interessi dell’Italia nel Mediterraneo orientale, Milano, ISPI, 1936).
[49] Così nel biglietto di invito per la conferenza conservato in AINSR, Corsi, b. 36, cart. Pace.
[50] Cfr. «Rassegna», maggio 1936 (con testo dei discorsi di Galassi Paluzzi e Pace e una fotografia dell’evento). Pace non volle invece che fosse pubblicata la parte scientifica della sua conferenza dicendo che del tema aveva già trattato in diverse occasioni; cfr. e.g. Relazione preliminare dei lavori della Missione di Archeologia e Paleoantropologia nel Fezzàn, in «Bollettino dell’Ufficio Studi del Governo della Tripolitania», 5-6, 1933-1934, pp. 83-90; Roma nel Sahara, in «Nuova antologia», 373, 1934, pp. 374-385; Storia antica, in Il Sahara italiano, vol. I: Fezzàn e Oasi di Gat, Roma, SGI, XV [1937], pp. 275-300.
[51] AINSR, Pubblicazioni, b. 58, f. 7 (Africa Romana / I vol. / Autori), cart. Siciliani (7 ottobre 1935).