«Anche là è Roma»
DOI: 10.1401/9788815410559/c4
Anche in tale circostanza,
Galassi Paluzzi pensò di organizzare i vari interventi in un volume autonomo, che
tuttavia non vide mai la luce. Alcuni relatori tardarono ad inviare il loro scritto
e altri non lo consegnarono mai. Alla metà del 1938, il presidente chiese quindi ai
contributori se volessero
¶{p. 156}pubblicare i propri scritti sulla
rivista dell’Istituto, dove, in parte, effettivamente apparvero nei due anni seguenti
[27]
.
2.3. Le sezioni
L’ultimo sforzo consacrato
dall’ISR alla costruzione di un’identità coloniale fu il tentativo di aprire una
sede distaccata ad Addis Abeba. A differenza della Bibliografia e dei cicli di
conferenze, questo progetto nacque più tardi e sull’onda dell’euforia provocata
dall’annessione dell’Etiopia. Già l’8 maggio 1936, prima ancora della proclamazione
ufficiale della nascita dell’impero, Galassi Paluzzi scrisse infatti a Bottai che
l’Istituto avrebbe potuto contribuire all’occupazione della regione creando una
sezione distaccata nella capitale etiope, sul modello di quelle già esistenti in
varie città d’Italia e d’Europa. La nuova sezione avrebbe potuto dedicarsi alla
ricerca nelle biblioteche e negli archivi dell’Abissinia, «onde scoprire in quali
volumi o in quali documenti si fa cenno di Roma e della civiltà romana e latina in
genere» e all’organizzazione di una serie di conferenze
presso i centri militari e civili più importanti dell’Impero ormai italiano affinché in modo al tempo stesso organico e sintetico si possano illustrare i capisaldi della civiltà creata da Roma, e particolarmente gli aspetti più importanti dei rapporti che sono ¶{p. 157}intercorsi in tutti i secoli, e da ogni punto di vista, tra Roma e l’Africa.
Lo spirito che avrebbe dovuto
animare tali iniziative sarebbe stato non solo quello dei cultori di Roma italiani,
ma quello dei coloni europei,
i quali, unici, per il fatto stesso di rivendicare le glorie della civiltà bianca, ne diventano i più autorevoli rappresentanti, e che perciò, pur mettendo naturalmente in particolarissima luce tutto quello che Roma e l’Italia nel nome di Roma hanno fatto in Africa attraverso i secoli, mostrassero altresì e dimostrassero, che anche ciò che altri popoli di razza bianca hanno fatto in Africa è in ultima analisi frutto della civiltà creata da Roma [28] .
Mettendo da parte la vacua
circolarità della premessa, è degna di nota l’insistenza sulla «civiltà bianca»
presente in tali parole, che è dimostrazione di uno dei problemi che poneva il
referente storico antico quando applicato all’Etiopia, dal momento che i Romani
avevano conosciuto solo marginalmente l’Africa orientale e di certo non potevano
essere invocati come predecessori di una conquista di quei territori. Ad essi ci si
poteva però ricollegare in maniera ideale. Galassi Paluzzi non solo dava infatti
corpo a una equivalenza fra dato razziale e dato storico-culturale (razza bianca =
civiltà europea) largamente diffusa nell’ideologia colonialista, ma, «in ultima
analisi», poneva tutto sotto l’insegna della romanità; tutti i popoli
«civilizzatori» non potevano non dichiararsi eredi di Roma proprio perché bianchi ed
europei. In tal modo, Roma, ampliata grazie alle sue propaggini europee moderne,
riusciva facilmente a raggiungere anche le regioni più lontane del continente
africano.
L’idea continuò a precisarsi
nella mente di Galassi Paluzzi, il quale ne inoltrò il progetto a Mussolini e ne
diede ¶{p. 158}pubblicità tramite un comunicato stampa il 14 maggio
[29]
. Nel corso di quei mesi, peraltro, egli considerò che alla costituenda
sezione etiope se ne sarebbe dovuta aggiungere una gemella a Tripoli
[30]
. Entrambi i progetti erano però sottoposti alla ricerca di una copertura
finanziaria dell’operazione. Galassi Paluzzi si rivolse quindi a diverse istituzioni
– il Governatorato di Roma, il Ministero delle Colonie, il Banco di Roma, gli ordini
ecclesiastici missionari –, ma senza mai ottenere risposte positive. Il progetto
risultava senz’altro troppo vago a chi doveva mettere mano al portafogli. Lo stesso
Galassi Paluzzi se ne rese conto e cercò delle idee che potessero dare maggiore
concretezza all’idea.
La soluzione sembrò arrivare da
sola al principio del 1937, nel corso di una delle riunioni preparatorie del V
Congresso Nazionale di Studi Romani. L’archeologo Amedeo Maiuri, presidente della
sezione campana dell’ISR, fece notare in quell’occasione «le manchevolezze che si
hanno negli studi italiani relativamente alle orme di Roma in Africa». In
particolare, si riferiva al mancato ricorso alla realizzazione di fotografie aeree
per ritrovare le tracce di antichi siti romani, sull’esempio di quanto faceva il
padre gesuita Antoine Poidebard nei cieli della Siria francese. Erano gli anni in
cui nel mondo intero, da Lindbergh a Marinetti, l’aeroplano sembrava essere
l’espressione della modernità ed era anche il periodo in cui la fotografia si
ritagliava uno spazio sempre maggiore nella società. L’unione di queste due nuove
tecnologie permetteva non solo di coniugare in maniera accattivante scienza e
spettacolarizzazione, ma consentiva finalmente di trovare ciò che davvero poteva
fare la specialità dell’ISR rispetto agli altri enti già operanti sul
territorio.¶{p. 159}
La proposta fu quindi inviata a
Italo Balbo, governatore della Libia, con cui Galassi Paluzzi si era già
precedentemente confrontato per via epistolare, senza mai ottenere risposte
favorevoli al suo progetto. La nuova idea, invece, guadagnò una reazione
parzialmente conciliante. Rispose infatti Giuseppe Bruni, reggente del governo di
Libia, il quale, facendosi latore di quanto stabilito dalla locale Soprintendenza,
affermò che tale iniziativa, in realtà, non avrebbe dato alcun risultato, «essendo
stata la penetrazione romana nel deserto libico a carattere industriale, e quindi
limitata a modesti aggregati di nessun valore archeologico». Tuttavia, nello stesso
documento si riconosceva che una sezione dell’ISR avrebbe potuto essere
effettivamente utile in colonia e se ne approvò pertanto la costituzione, a patto
che se ne mettesse a capo Giacomo Caputo
[31]
. Quest’ultimo (1901-1992), presidente della locale Soprintendenza, entrò
quindi in contatto con Galassi Paluzzi e l’idea sembrò per un momento doversi
realizzare almeno nella regione libica, ma, come accadeva anche per la Bibliografia
grosso modo nello stesso periodo, il progetto misteriosamente naufragò. Dopo aver
incontrato personalmente Galassi Paluzzi a Roma nel maggio 1938, Caputo fece ritorno
in Libia e da lì, a quanto consta, non inviò più notizie.
3. Novi cives: aspetti dell’attività politica e culturale dell’Istituto di Studi Romani
3.1. Gli intellettuali, fra adesione spontanea e controllo
Nel corso di questo rapido
esame si è avuto modo di notare quanti intellettuali fossero coinvolti nelle
attività dell’ISR in generale e in quelle dedicate all’Africa in particolare ed è
pertanto il caso di chiedersi cosa spingesse tutti questi studiosi a cercare
legittimazione presso un istituto così diverso dalle università dove essi
normalmente lavoravano o dalle accademie di cui erano membri. Avvertivano o meno
¶{p. 160}una distanza rispetto a un ente che di fatto promuoveva il
dilettantismo e il «sentire» la storia antica più che lo studiarla? Come si
rapportavano alle forti istanze politiche che condizionavano la vita dell’Istituto?
Le adesioni degli intellettuali
alla piattaforma realizzata dall’ISR dovevano essere naturalmente di grado diverso.
Tutti però vedevano nell’Istituto di Galassi Paluzzi un luogo dove poter far
risuonare in maniera più vasta la loro voce, raggiungendo un pubblico senza dubbio
più largo rispetto a quello delle aule universitarie. Ciò era generalmente percepito
come un vantaggio, ma poteva anche essere interpretato in maniera negativa. Alcuni,
infatti, criticarono snobisticamente i grandi appuntamenti organizzati dall’ISR con
dispiego di inviti ad alte personalità politiche ed ecclesiastiche. Mario Attilio
Levi, in realtà non estraneo a tali eventi, ricorderà i convegni dell’ISR come delle
«vanity fairs»
[32]
e Carlo Cecchelli riferì a Galassi Paluzzi che alcuni studiosi tedeschi
avevano parlato del suo Istituto come di una «U.p.i.m. della cultura italiana»,
volendo così riferirsi all’offerta volgarmente troppo ampia di corsi e conferenze
[33]
.
Si trattava naturalmente di
critiche superficiali, che non impedivano la partecipazione alle attività dell’ISR.
Altri, tuttavia, percepirono anche una incolmabile distanza nell’approccio alla
materia. Così sarà stato per Giorgio Pasquali che, invitato a tenere una conferenza
a Potenza in occasione del bimillenario oraziano, rifiutò accampando scuse sui
disagi posti dal viaggio
[34]
. Pasquali in realtà non aveva grandi difficoltà a spostarsi da Firenze,
ma, avendo fatto della storicizzazione degli studi classici l’obiettivo di una vita,
doveva verosimilmente ritenere intollerabile partecipare a iniziative che
prevedevano anche un viaggio a Brindisi lungo le tappe elencate dal poeta nella
Satira V e una gita sul luogo della villa oraziana presso
Licenza, finalizzata fra le altre cose a raccogliere dei tralci di edera
¶{p. 161}con cui premiare i vincitori di gare liriche oraziane
indette oltreoceano dalla American Classical League
[35]
.
Note
[27] L. De Regibus, La luce di Roma negli apologisti africani, in «Roma», 17, agosto 1939, pp. 364-370; A. Calderini, L’Etiopia vista con gli occhi e la fantasia di Roma imperiale, in «Roma», 17, settembre 1939, pp. 385-403; F. Beguinot, Roma e i Berberi, in «Roma», 17, ottobre 1939, pp. 433-448; G. Calza, L’Africa fornitrice dell’annona di Roma, in «Roma», 17, dicembre 1939, pp. 522-533; P. Paschini, La Chiesa africana nei suoi rapporti con la Chiesa di Roma, in «Roma», 18, marzo 1940, pp. 84-94; S. Aurigemma, Aspetti della vita pubblica e privata nei municipi d’Africa, in «Roma», 18, luglio 1940, pp. 197-215. Fa eccezione il contributo di Romanelli sulle strade romane, esposto nell’ambito del suo corso sull’Africa romana, ma considerato idealmente parte anche del nuovo ciclo di conferenze. Esso fu anticipatamente pubblicato su «Roma» in concomitanza con l’inaugurazione della litoranea libica (15, ottobre 1937) e poi ristampato anche come fascicolo autonomo (Le grandi strade romane nell’Africa settentrionale, Roma, ISR, 1938).
[28] AINSR, Sezioni, b. 144, f. 27, sf. I – Fondazione e norme programmatiche / 1 – Preliminari, cart. Bottai. Sul razzismo di Galassi Paluzzi, cfr. già il suo Roma e Antiroma, in «Roma», 5, 1927, pp. 437-444.
[29] AINSR, b. 144, f. 27, sf. VIII-1, a (Giornali e giornalisti / Generalità). Ne diede notizia anche il «CdS», in prima pagina, il 16 maggio 1936.
[30] Il primo documento in tal senso è in un foglio di appunti relativo a una riunione della giunta direttiva dell’ISR del 30 giugno 1936 (AINSR, Sezioni, b. 144, f. 28, sf. I – Fondazione e norme programmatiche / 1 – Preliminari, cart. Balbo).
[31] AINSR, b. 144, f. 28, cart. Bruni (20 agosto 1937).
[32] Visser, Storia di un progetto mai realizzato, cit., p. 44.
[33] Nelis, La «fede di Roma» nella modernità totalitaria fascista, cit., pp. 359-381: nota 60.
[34] AINSR, Sezioni, s. 5, Potenza, b. 113, fasc. 28 (12 dicembre 1935).
[35] «Rassegna», 3 febbraio 1936. Cfr. M. Cagnetta, L’edera di Orazio. Aspetti politici del bimillenario oraziano, Venosa, Osanna, 1990; Brezzi, L’Istituto Nazionale di Studi Romani, cit., p. 706.