Viaggio nelle character skills
DOI: 10.1401/9788815366962/c3
Resilienza.
Nella sua applicazione legata al mondo del lavoro e delle organizzazioni, Luthans e colleghi
[21]
la definiscono come la capacità di resistere alle avversità, di superare gli
ostacoli, di rialzarsi più forti di prima in seguito ad esperienze negative (malattie,
infortuni, sconfitte, esclusioni, ecc.) perseverando nell’obiettivo di riuscire. Una
persona resiliente quindi è in grado, di fronte alle avversità, di recuperare
velocemente e anche di crescere, mentre invece chi non lo è (o lo è poco) tenderà ad
abbattersi facilmente e a sentirsi bloccato. Una particolarità di questa risorsa
psicologica è il fatto che si sviluppa in modo autonomo nel tempo mano a mano che sfide
e difficoltà si presentano e permette di reagire a esse con una forza sempre maggiore:
si può quindi diventare più resilienti e migliorare di
conseguenza la propria
¶{p. 77}performance di fronte a ostacoli e problemi. Nel contesto
educativo e formativo questo significa riuscire in caso di situazioni stressanti o
cambiamenti non solo a recuperare rapidamente ma anche a incrementare la propria
prestazione e crescere. Può essere il caso degli studenti che, dopo un percorso di
apprendimento non efficace nella scuola primaria, riescono ad aumentare il rendimento
scolastico nella scuola secondaria
[22]
.
Ottimismo. È
definibile come la formulazione di giudizi positivi circa la propria riuscita nel
presente e nel futuro. Ci sono due diverse prospettive teoriche che si propongono di
spiegare cosa sia l’ottimismo all’interno della psicologia positiva. Da una parte,
Carver e Scheier
[23]
sostengono che avere aspettative positive sul futuro porta le persone
ottimiste a impiegare notevoli energie e a continuare a impegnarsi anche di fronte alle
difficoltà e questo risulta poi in una performance migliore
rispetto a quella delle persone pessimiste. Dall’altra, Seligman
[24]
invece ha basato la sua teoria su diversi stili attributivi, ritenendo che
gli ottimisti, al contrario dei pessimisti, siano portati a fare attribuzioni interne,
stabili e globali per quanto riguarda eventi positivi e attribuzioni esterne e instabili
per gli eventi negativi: questo permette loro di conferire a sé stessi il merito dei
loro successi e di conseguenza di aumentare l’autostima e il morale, il tutto poi
favorirà la convinzione che il futuro riservi loro più avvenimenti positivi che
negativi. Non bisogna però pensare che l’ottimismo comporti una valutazione irrealistica
degli eventi futuri, ma piuttosto che ne includa una su quello che una persona può o non
può ottenere in una particolare situazione, e ciò richiama quelle che sono le
convinzioni di autoefficacia percepita della persona. Visto questo legame tra le due
risorse psicologiche è meglio specificare ciò che le distingue:
l’autoefficacia riguarda credenze legate a specifici ¶{p. 78}contesti e compiti ed è il
risultato dell’applicazione delle proprie capacità (il circolo virtuoso di cui si
parlava poco sopra), mentre l’ottimismo fa riferimento ad aspettative positive generali
su quello che potrebbe succedere ed è meno legato alle proprie abilità
[25]
. Uno studente, dunque, potrebbe avere un orientamento ottimistico e positivo
nei confronti del proprio futuro scolastico, ma non necessariamente basandosi sul
proprio rendimento scolastico pregresso.
Come già detto, queste quattro
dimensioni, insieme, formano l’acronimo HERO, che, pensando al suo significato in
inglese (eroe) risulta particolarmente congruente con la definizione complessiva di
capitale psicologico. Lo/la studente/ssa «eroe» è colui/lei che riesce ad interiorizzare
i modelli efficaci che vede a scuola negli adulti, riesce a pianificare il proprio
futuro in termini di apprendimento, non si lascia vincere dalle avversità e dai momenti
problematici e ha una forte spinta a pensare in maniera positiva al proprio futuro.
Recentemente queste quattro dimensioni, o competenze non cognitive legate al capitale
psicologico, sono state affiancate ad altre, riconducibili, in letteratura, alle
cosiddette «forze del carattere», come la creatività, il cosiddetto
flow, la gratitudine, l’intelligenza emotiva, il coraggio, ecc.
[26]
.
4. Motivazione e apprendimento
La motivazione ad apprendere può
essere definita come il grado di impegno cognitivo investito per il raggiungimento di
obiettivi scolastici
[27]
. Essa spiega, da un lato, il livello di attenzione e impegno investito «in
varie attività che possono essere o non essere desiderate dagli insegnanti»
[28]
, ¶{p. 79}e dall’altro l’inizio, la direzione, l’intensità e la persistenza del
comportamento. Brophy e Kher
[29]
hanno proposto di distinguere due tipi di motivazione ad apprendere: una che
si manifesta come tratto di personalità e una che si manifesta come stato. Nella prima
accezione il concetto si riferisce a una disposizione generale che permette a uno
studente di percepire l’apprendimento come un’attività intrinsecamente valida e
soddisfacente e quindi di impegnarsi in essa con lo scopo di padroneggiare le abilità e
le conoscenze da acquisire. Lee e Brophy
[30]
ipotizzano che gli studenti che abitualmente si impegnano nell’apprendimento
tendono per lo più a sperimentare le attività come gratificanti in sé e a provare nei
compiti o nello studio di una disciplina un gusto e un piacere intrinseci. Intesa come
stato, la motivazione ad apprendere spinge gli studenti a impegnarsi nelle attività di
classe e ad attivare le strategie richieste
[31]
, ma, di norma, non implica che i compiti debbano essere percepiti
particolarmente interessanti e gratificanti in sé. Questo spiega perché molti studenti
si impegnano in attività di cui non sperimentano un piacere intrinseco. Lee e Brophy
[32]
ipotizzano che tali studenti tendano prevalentemente a vivere lo studio con
un senso di dovere, di impegno e di responsabilità. In sintesi, la motivazione riguarda
le esperienze soggettive degli studenti. Essa si identifica con la disponibilità ad
impegnarsi nello studio e nelle attività scolastiche e con le ragioni che motivano tale
impegno.
All’interno dell’approccio noto con
il nome di Self Determination Theory, la
motivazione ad apprendere è riconosciuta per essere influenzata da fattori interni (come
il piacere per ¶{p. 80}un’attività) e esterni (come le ricompense da parte di un adulto)
[33]
. In base a questa teoria è possibile un continuum di
autonomia dello studente, che passa da un estremo in cui la motivazione è spinta da un
senso di volizione e scelta, verso un estremo in cui la motivazione è completamente
influenzata da un senso di pressione esterna. I comportamenti degli studenti possono
essere dunque caratterizzati in base alla collocazione dei soggetti all’interno di
questo continuum, in modo tale che gli autonomi-intrinseci
tenderanno a sviluppare una specifica tipologia di comportamenti (ad es. comportamenti
di scoperta, di autoregolazione allo studio, ecc.), mentre i dipendenti-estrinseci ne
svilupperanno di altri (ad es. attendere le istruzioni dall’esterno, evitare
comportamenti non previsti da un protocollo imposto, ecc.). L’assenza di intenzioni ad
agire è riconosciuta in questo modello come a-motivazione
[34]
.
La motivazione all’apprendimento di
un discente può essere suddivisa in quattro categorie che differiscono nel loro livello
di internalizzazione dei motivi per cui si realizza un determinato compito
[35]
. Esistono tre livelli di internalizzazione, che precedono la regolazione
completamente autonoma e dunque la motivazione intrinsenca. Tale modello è descritto
nella tabella 3.
In ordine di crescente autonomia,
troviamo: introiezione, identificazione e integrazione
[36]
. Nell’introiezione, l’autostima contingente regola la motivazione ad agire
[37]
, quindi, un’azione può essere eseguita perché il suo
risultato è rilevante per ¶{p. 81}il proprio sentimento di autostima, ma il
locus percepito di causalità è, come nella regolazione esterna,
ancora esterno, dal momento che il comportamento non è vissuto come completamente
autoindotto. Quindi, nell’identificazione, un individuo si è identificato, come
suggerisce il nome, con l’importanza di un comportamento e, quindi, lo ha accettato come
suo proprio fino a un certo grado, portando quindi ad un maggiore sentimento di
autonomia. Infine, non meno importante, l’integrazione significa creare una coerenza tra
sé stessi, i propri valori e i bisogni esistenti. Di conseguenza, più una persona
interiorizza le cause di un comportamento, più i comportamenti precedentemente
estrinsecamente motivati, diventano autodeterminati. Un comportamento intrinsecamente
motivato viene eseguito esclusivamente per il godimento e la soddisfazione di sé stessi
senza tener conto delle potenziali conseguenze che ne derivano
[38]
. Quindi, la motivazione intrinseca è autodeterminata e il suo
locus di causalità percepito è interno
[39]
. Per fare un esempio in ambito scolastico, se da studente voglio impegnarmi
in compiti per apprendere l’uso della punteggiatura, sicuramente se ricevo molte
(troppe) indicazioni dall’esterno e feedback su come procede il
mio apprendimento senza un processo di
¶{p. 82}identificazione e integrazione, allora le mie
prospettive di miglioramento saranno completamente ancorate a ciò che fanno e dicono i
miei insegnanti. Se invece vengo stimolato a sperimentare nuove soluzioni (o meglio,
ancora non conosciute da me), che si rivelano di successo e mi gratificano, allora sarò
portato a motivarmi in maniera autonoma, senza necessariamente avere un riconoscimento
dall’esterno.
Note
[21] F. Luthans, B.J. Avolio, J.B. Avey e S.M. Norman, Positive Psychological Capital: Measurement and Relationship with Performance and Satisfaction, cit., pp. 541-572.
[22] C. Consiglio e V. La Mura, Lo PsyCap secondo Luthans, cit.
[23] C.S. Carver e M.F. Scheier, Optimism, in C.R. Snyder e S.J. Lopez (a cura di), Handbook of Positive Psychology, Oxford, Oxford University Press, 2002.
[24] M.E.P. Seligman, Positive Health, in «Applied Psychology: An International Review», 57, 2008, pp. 3-18.
[25] F. Luthans, B.J. Avolio, J.B. Avey e S.M. Norman, Positive Psychological Capital: Measurement and Relationship with Performance and Satisfaction, cit., pp. 541-572.
[26] F. Luthans e C.M. Youssef-Morgan, Psychological Capital: An Evidence-Based Positive Approach, in «Annual Review of Organizational Psychology and Organizational Behavior», 4, 2017, pp. 339-366.
[27] D.W. Johnson e R.T. Johnson, Cooperation and Competition: Theory and Research, Edina, MN, Interaction Book Company, 1989.
[28] J. Brophy, Motivare gli studenti ad apprendere, Roma, LAS, 2003.
[29] J. Brophy e N. Kher, Teacher Socialization as a Mechanism for Developing Student Motivation to Learn, in R.S. Feldman (a cura di), The Social Psychology of Education. Current Research and Theory, Cambridge, MA, Cambridge University Press, 1986.
[30] O. Lee e J. Brophy, Motivational Patterns Observed in Sixth-grade Science Classrooms, in «Journal of Research in Science Teaching», 33, 3, 1996, pp. 303-318.
[31] J. Brophy e N. Kher, Teacher Socialization as a Mechanism for Developing Student Motivation to Learn, cit.
[32] O. Lee e J. Brophy, Motivational Patterns Observed in Sixth-Grade Science Classrooms, cit., pp. 303-318.
[33] M. Gagné e E.L. Deci, Self-Determination Theory and Work Motivation, in «Journal of Organizational Behavior», 26, 2005, pp. 331-362; E. Deci e R.M. Ryan, The «What» and «Why» of Goal Pursuits: Human Needs and the Self-determination of Behavior, cit., pp. 227-268.
[34] E. Deci e R.M. Ryan, The «What» and «Why» of Goal Pursuits: Human Needs and the Self-Determination of Behavior, cit., pp. 227-268.
[35] M. Gagné e E.L. Deci, Self-Determination Theory and Work Motivation, cit., pp. 331-362.
[36] Ibidem; E. Deci e R.M. Ryan, The «What» and «Why» of Goal Pursuits: Human Needs and the Self-Determination of Behavior, cit., pp. 227-268.
[37] E. Deci e R.M. Ryan, The «What» and «Why» of Goal Pursuits: Human Needs and the Self-Determination of Behavior, cit., pp. 227-268.
[38] M. Gagné e E.L. Deci, Self-Determination Theory and Work Motivation, cit., pp. 331-362.
[39] E. Deci e R.M. Ryan, The «What» and «Why» of Goal Pursuits: Human Needs and the Self-Determination of Behavior, cit., pp. 227-268.