Viaggio nelle character skills
DOI: 10.1401/9788815366962/c1
Capitolo primo Oltre l’egemonia del cognitivodi Giorgio Chiosso e Onorato Grassi
Notizie Autori
Giorgio Chiosso Professore emerito di Pedagogia generale e Storia della pedagogia
nell’Università di Torino dove ha insegnato dal 1990 al 2013 e ricoperto
l’incarico di direttore del Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione.
Ha fatto parte di commissioni ministeriali in tema di autonomia scolastica e ha
collaborato al riordino degli istituti secondari di secondo grado per il quale
ha predisposto il progetto del liceo delle Scienze Umane. È autore di oltre 300
pubblicazioni scientifiche disposte tra tematiche di pedagogia generale e
ricerche storico-educative. Dal 2006 al 2013 ha fatto parte del Consiglio
direttivo della Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo di Torino.
È codirettore del “Dizionario Biografico dell’Educazione” (2014).
Notizie Autori
Onorato Grassi Professore ordinario di Storia della filosofia medievale. Insegna alla
LUMSA di Roma e all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. I suoi studi
sulla filosofia medievale riguardano le teorie della conoscenza nel secolo XIV,
i rapporti tra teologia e filosofia, la storia dell’agostinismo. Oltre a saggi
su riviste e volumi, ha recentemente curato, in collaborazione, “La filosofia
italiana nel Novecento” (2015), “Nutrire il corpo, nutrire l’anima nel Medioevo”
(2017), “Il pensiero filosofico e teologico in Bonaventura da Bagnoregio”
(2017), “Rappresentazioni della natura nel Medioevo” (2019). È membro di Società
scientifiche come SIEPM e Società Italiana per lo Studio del Pensiero Medievale
(SISPM), di cui è stato presidente. Impegnato ad avvicinare l’università al
mondo della scuola, collabora con enti e associazioni nel campo della formazione
degli insegnanti e della programmazione scolastica. È stato presidente di
INDIRE.
Abstract
In chiave filosofica e pedagogica, il saggio offre un’analisi dei cambiamenti
che stanno interessando il mondo della scuola e propone alcune linee di discussione,
nella prospettiva di un’educazione integrale della persona. L’incremento del livello
della cultura scolastica e del bagaglio di conoscenze trasmesso alle giovani
generazioni – problema resosi urgente a causa delle riduzioni del nozionismo e del
funzionalismo – è collocato nella visione dello sviluppo delle dimensioni umane,
affettive e morali dell’individuo, sia per l’apporto che le capacità non cognitive
possono dare alla conoscenza stessa e alla formazione di sintesi intellettuali
personali, sia per la completezza delle relazioni dell’individuo con la realtà, che
implica elementi di carattere non solo conoscitivo ma anche psicologico e
comportamentale. L’attenzione recentemente rivolta alle non cognitive
skills è considerata in riferimento al suo contesto teorico – al
costruttivismo e al cognitivismo, che formano l’alveo principale dello sviluppo di
tali «capacità», sono preferiti il personalismo e l’approccio fenomenologico – e in
vista di un rinnovamento della concezione antropologica, pedagogica e culturale
dell’istruzione, anche per quando riguarda la valutazione dei processi formativi e
delle istituzioni scolastiche. Considerazioni di tipo terminologico e contenutistico
sull’uso delle skills non cognitive tracciano la strada per
superare il concetto di competenza e i limiti di modelli di
istruzione di tipo economicistico, organizzativo e funzionale, in favore di un
«fare» e di una «responsabilità» umana e civile connessi ai diritti personali, alla
fruizione del bene proprio e comune, al godimento di beni immateriali, alle risorse
interiori e alla qualità delle relazioni interpersonali..
1. Due antropologie
Le già pesanti avvisaglie si erano
avute con la crisi economica iniziata nel 2007. André Glucksmann aveva rilevato, alla
fine del primo decennio del secolo, un problema di fondo, che le pur acute analisi
economiche e politiche non erano riuscite a comprendere, e neppure a individuare:
l’invadente concezione performativa dell’agire umano, con inevitabili ricadute della
visione stessa dell’essere umano
[1]
. Come le società quotate in borsa non potevano dare segni di cedimento per
non subire un tracollo finanziario – da qui la creazione delle «bolle» in economia –
così ogni individuo era portato a mostrare il volto di un positivo successo per non
essere travolto dai suoi soci, compagni di lavoro o superiori. Esistere equivale ad
avere una buona performance, in ambito economico-sociale, per le Spa, e nella vita, in
ogni suo aspetto. Finché la «bolla», nell’uno e nell’altro caso, è scoppiata. E quasi a
fare da contraltare – non però in opposizione, ma quasi in modo complementare – si
accompagnava a questa visione antropologica l’idea dell’altro come avversario,
addirittura come «nemico», da combattere ed eliminare, per poter esistere. L’altro è la
minaccia, il pericolo, perché può mettere a repentaglio la propria vita, oppure il
competitor, che con le sue migliori prestazioni può portare al
fallimento proprio e di coloro che ci sono legati. Il sentimento verso l’altro è
cambiato repentinamente nelle forme, mantenendo la costante di fondo della
negatività
¶
costituita
dall’altro: paura, disprezzo, odio, risentimento, fino
all’invidia sociale degli ultimi anni. La politica si è rivelata l’ambito
peggiore di questi atteggiamenti e l’esempio «negativo» spinto al parossismo di tutto
ciò che avveniva nella società, spesso addirittura alimentandolo. Al «parlarsi» per
ricercare soluzioni possibili e utili al bene comune («parlamento») si sono sostituite
le urla, l’ingiuria, la polemica artefatta per denigrare l’avversario, senza più alcun
rispetto né stima.
La pandemia del 2020, nei suoi due
principali aspetti che hanno sconvolto il nostro pianeta, in modo così radicale e ampio
forse per la prima volta nella storia, vale a dire la malattia e la morte, da una parte,
e l’isolamento sociale, dall’altra, ha posto in discussione tutto ciò, ribaltando una
visione dell’uomo fondata sulla sua forza e potere, sulla presunta onnipotenza e sulla
mania di dominio.
La morte e la malattia si sono fatte
vicine; le sirene delle ambulanze nel silenzio delle strade e le campane a morto nei
paesi e nelle città hanno ricordato a tutti che siamo mortali, che
l’innominabile morte fa parte della vita e del suo senso.
L’isolamento ha improvvisamente appianato le differenze, ha messo al pari degli altri,
ha ridimensionato le pretese, ha stimolato le virtù positive.
La fragilità e la vulnerabilità della
condizione umana, da diversi anni al centro delle riflessioni di filosofi, scrittori e
sociologi, sono divenute, attraverso l’angoscia quotidiana, lo sperimentato limite delle
mura domestiche, l’assenza di relazioni – attenuata, ma non pienamente soddisfatta,
dalla ICT – improvvisamente evidenti a tutti. Ciò ha portato ad accettare che l’uomo è
un «animale razionale dipendente», come ha scritto Alasdair MacIntyre
[2]
, e che per vivere ha bisogno di altro e di altri, di qualcosa e di qualcuno
per cui vivere.
Secondo Olga Tokarczuk è addirittura
stato messo in discussione il paradigma culturale dell’epoca moderna e contemporanea:
«Davanti ai nostri occhi si dissolve come ¶{p. 25}nebbia al sole il
paradigma della civiltà che ci ha formato negli ultimi duecento anni: che siamo i
signori del Creato, possiamo tutto e il mondo appartiene a noi. Stanno arrivando tempi nuovi»
[3]
.
I tre principali fattori di questo
cambiamento possono sintetizzarsi in tre parole: realismo, fattore umano, solidarietà.
L’esigenza di realtà
si è espressa a diversi livelli, dall’iniziale, e costante, necessità di
sapere che cosa stesse veramente succedendo, alla veridicità delle
informazioni e delle spiegazioni scientifiche, al controllo dell’efficacia dei
provvedimenti amministrativi e governativi, all’insofferenza verso il linguaggio
illusorio e verso le apparenze, fino all’inusitata pratica della
parresia, alimentata in modo massiccio dai social media.
Il risveglio del fattore umano, in
generale e nelle situazioni a maggior rischio, ha permesso di superare le gravi
difficoltà poste dalla pandemia. Medici, infermieri, personale sanitario, ma anche forze
dell’ordine, personale addetto all’alimentazione, e, in particolare, insegnanti,
maestre, docenti universitari, hanno saputo provvedere, con senso di
responsabilità, a bisogni e disagi proprio laddove gli apparati
e le strutture organizzative mostravano tutta la loro insufficienza. Per anni ci si era
detto, fino a convincersene, che gli ospedali dovevano essere governati dai manager, che
le università erano nelle mani degli amministrativi, che le scuole dovevano sottostare
ai protocolli ministeriali e al controllo burocratico, invece l’emergenza sanitaria ha
fatto capire che la sanità è principalmente nelle mani dei medici, l’università in
quelle dei professori, la scuola nell’operosità di maestre e maestri, di professori e
professoresse.
Infine, alla performatività morale e
al conflitto è subentrato il senso di solidarietà, maturato
nell’opera di aiuto agli altri e nella ricerca di relazioni, nella consapevolezza che i
pericoli e i problemi della vita si affrontano e si risolvono insieme. L’altro non visto
come colui che si oppone al nostro ¶{p. 26}benessere e ai nostri
interessi, ma come alleato con il quale si può uscire dall’emergenza, superare il
disastro sociale ed economico che si è creato, pensare a come ricominciare.
Il genere umano ha vissuto, in
questi mesi, un’esperienza fra le più sconvolgenti nella storia contemporanea e per
certi versi unica. Ognuno ha rinunciato alle proprie libertà fondamentali e
costituzionali, alle proprie abitudini, ai propri impegni, per un valore più alto – la
difesa della vita umana – e per senso di responsabilità – e fiducia nell’autorità. Si
dovrà capire se gli effetti di una situazione indotta, o imposta, nei loro valori
positivi, si manterranno duraturi o cesseranno al venir meno delle imposizioni
esteriori. Soprattutto sarà importante, per affrontare il futuro immediato e prossimo,
comprendere ciò che è accaduto per ogni singolo individuo e per
intere società, senza avere la fretta di spiegarlo sbrigativamente oppure di gettarselo,
altrettanto sbrigativamente, alle spalle, come un incubo da dimenticare.
2. Nuove prospettive per l’istruzione
La pandemia del 2020, nella sua fase
acuta, nel periodo di attenuazione, ma, soprattutto, nel perdurare della sua minaccia,
finché non sarà trovato un vaccino efficace a debellare il Covid-19, avrà conseguenze
inevitabili, impreviste e gravi su ogni settore della vita pubblica e privata. Con ogni
probabilità, i programmi che a livello nazionale e internazionale erano stati avviati –
si pensi ad esempio all’Agenda 2030, varata nel 2015 dall’ONU e ai suoi 17
Obiettivi principali – dovranno essere rivisti, per quanto
riguarda la loro fattibilità, e anche modificati per fare fronte a nuove situazioni e a
nuove esigenze che si sono manifestate sul piano sociale, economico, istituzionale e,
non da ultimo, umano e morale.
Anche la scuola dovrà ripensarsi,
alla luce dei nuovi scenari, e svolgere il suo ruolo specifico, quale protagonista
principale del benessere di una società, come si è reso evidente nei mesi della pandemia
acuta e dell’isolamento sociale. Se medici, infermieri e operatori sanitari hanno
¶{p. 27}formato la «prima linea» della lotta contro il virus e le sue
deleterie conseguenze sulla vita di uomini e donne, gli insegnanti e le scuole sono
stati parte, in molti paesi e in Italia in particolare, di quella «seconda linea» che ha
permesso a molti, giovani e non, di continuare a vivere, operare, imparare, relazionarsi
con altri, impegnarsi, senza perdere il tempo, con i propri compiti e le nuove
situazioni di vita. Come raramente era accaduto nel passato, la scuola è stata posta al
centro dell’attenzione pubblica, politica e sociale, e la sua funzione è divenuta
oggetto di riflessione e di scelte da compiere, per poter affrontare con solidità e
coerenza l’immediato e il prossimo futuro. Nella scuola, in pochi mesi, si sono prodotte
rapide accelerazioni, di cui converrà tener conto. Fra tutte, si possono ricordare
l’esercizio dell’autonomia scolastica e la responsabilità degli insegnanti, da una
parte, e l’introduzione massiccia del digitale, dall’altra.
Il primo elemento ha permesso alle
scuole di funzionare, in momenti in cui le direttive dall’alto erano assenti o confuse e
il senso di smarrimento avrebbe potuto compromettere l’istruzione di decine di migliaia
di studenti. Il secondo elemento, impostosi per necessità, ma anche, per così dire,
provvidenzialmente – 30 anni fa la sospensione di ogni attività scolastica sarebbe stata
inevitabile – ha fatto conoscere a tutti l’uso, l’utilità e anche i limiti del digitale
nei processi di istruzione e di apprendimento. Questi, ed altri elementi ora non presi
in considerazione, ma altrettanto importanti, come il rinnovato rapporto fra scuola e
famiglia, la ricerca degli «essenziali» nella costituzione dei
curricula scolastici, la ridefinizione dell’ambiente
scolastico, la costituzione di reti di scuole, potranno segnare nuove prospettive per la
scuola e, al tempo stesso, avviare processi di rinnovamento, che nessuna grande riforma
ministeriale è stata finora in grado di realizzare.
Per quanto riguarda, in modo
specifico, l’insegnamento e l’apprendimento e, più in generale, la direzione della
formazione scolastica, le principali questioni possono essere focalizzate intorno a tre
punti principali: 1) la funzione della scuola nella società dell’informazione e della
comunicazione di massa; 2) la formazione della cultura personale (ovvero:
¶{p. 28}la conoscenza è necessaria, ma non sufficiente); 3) la
formazione critica e la professionalizzazione.
Note
[1] A. Glucksmann, Une crise post-moderne, in «Politique Internationale – La Revue», 126, 2010.
[2] A. MacIntyre, Dependent Rational Animals: Why Human Beings Need Virtues, Chicago, Open Court, 1999; trad. it. Animali razionali dipendenti, Milano, Vita e Pensiero, 2001.
[3] O. Tokarczuk, La verità è che per noi cambierà l’intera esistenza, in C’è un posto nel mondo. Siamo noi, Milano, Edizioni Corriere della Sera, 2020, pp. 150-154, p. 154.