Viaggio nelle character skills
DOI: 10.1401/9788815366962/c7
I giovani in Italia sono una risorsa
sempre più rara, i 15-24enni da noi sono il 9,8% della popolazione, uno dei valori più
bassi nella UE (10,9%), e le differenze tra le grandi città sono ancora maggiori, a
Torino sono appena l’8,3%, un valore molto distante ad esempio da Lione (16,7%), la
città d’oltralpe con cui è solita confrontare le sue politiche. Nonostante siano sempre
meno, i giovani tuttavia incontrano sempre più difficoltà a entrare nel lavoro
[6]
. Una seconda merce rara sono i giovani laureati: in Italia la quota di
25-34enni in possesso di titolo terziario è il 27,8% a fronte
{p. 157}
¶{p. 158}del 40,7% della media UE
[7]
. Solo il 45% dei diplomati si iscrive all’università e solo 6 su 10 di
costoro si laureano entro i 10 anni. Nonostante anche in questo secondo caso i giovani
in possesso di diploma o di titolo di istruzione terziaria siano pochi, il nostro paese
è caratterizzato da un rilevante mismatch nel mercato del lavoro,
la quota di lavoratori troppo o troppo poco qualificati rispetto alle mansioni che svolgono
[8]
, ma soprattutto dal particolarmente radicato problema
dell’overqualification, il 18,2% vs. il
14,7% della UE, più grave soprattutto al Sud
[9]
. Mancano quindi i lavoratori qualificati, ma soprattutto quelli esistenti
non hanno skills coerenti con quanto richiesto dalle imprese e
spesso devono adattarsi a mansioni meno qualificate e, alla fine, secondo Excelsior, il
26,4% delle entrate programmate dalle imprese restano difficili da reperire.
Livelli di
istruzione |
2008 |
2014 |
2018 |
2019 |
2019-UE28 |
Quota di 25-64enni con almeno un
titolo secondario superiore |
53,3 |
59,3 |
61,7 |
62,2 |
78,7 |
Quota di 25-64enni con un titolo
terziario |
14,3 |
16,9 |
19,3 |
19,6 |
33,2 |
Giovani 18-24enni usciti
precocemente dal sistema di istruzione e
formazione |
19,6 |
15,0 |
14,5 |
13,5 |
10,3 |
Quota di 30-34enni con istruzione
universitaria |
19,2 |
23,9 |
27,8 |
27,6 |
41,6 |
Effetti dell’istruzione
sull’occupazione |
2008 |
2014 |
2018 |
2019 |
2019-UE28 |
Differenziale nel tasso di
occupazione dei 25-64enni con titolo terziario e con titolo
secondario superiore |
6,4 |
8,0 |
10,2 |
10,0 |
9,4 |
Differenziale nel tasso di
occupazione dei 25-64enni con titolo secondario superiore e con
titolo secondario inferiore |
22,1 |
20,2 |
18,4 |
18,6 |
19,6 |
Quota di 15-29enni né occupati né
in formazione (Neet) |
19,3 |
26,2 |
23,4 |
22,2 |
12,5 |
Tasso di occupazione dei 18-24enni
che hanno abbandonato precocemente gli studi
(Elet) |
51,0 |
31,4 |
33,6 |
35,4 |
46,6 |
Tasso di occupazione dei 20-34enni
che hanno conseguito il titolo secondario superiore o terziario da 1
a 3 anni prima e non più in istruzione e
formazione |
65,2 |
45,0 |
56,5 |
58,7 |
81,5 |
Fonte: Istat,
Livelli di istruzione e ritorni occupazionali – anno
2019, Roma, luglio 2020. |
Le indagini sui fabbisogni delle
imprese, sulle caratteristiche della loro domanda di lavoro, mettono in evidenza come
nell’arco degli ultimi anni la composizione delle caratteristiche dei profili
professionali, anche di quelli meno qualificati, si siano modificate in profondità. La
prima evidenza è che si registra un aumento dei livelli minimi di istruzione richiesti.
Dieci anni fa [nel 2009, N.d.R.] la quota di figure operaie a cui era richiesto un titolo di studio superiore alla scuola dell’obbligo (allora la terza media) non superava il 47% del totale e per le figure non qualificate non andava oltre il 33%. Per le professioni intermedie (impiegati e professioni commerciali e dei servizi) il diploma e la qualifica oggi sono richiesti in 3 casi su 4, ma è molto più interessante rilevare che anche il 70% delle figure operaie e il 62% delle professioni non qualificate devono possedere un titolo di studio superiore alla scuola dell’obbligo [10] .¶{p. 159}
Anche mansioni che restano non
particolarmente complesse si svolgono in contesti ampiamente digitalizzati e in forte
cambiamento e serve il possesso di un certo livello di conoscenze di base per poter
interagire con i colleghi e con le strumentazioni (si pensi al settore di movimentazione
merci, oggi quasi del tutto automatizzato). Ma più in generale gli studi sul cambiamento
delle professioni sottolineano il contesto di forte incertezza condizionato dall’agire
piuttosto disordinato di quelli che comunemente sono chiamati i
megatrend: digitalizzazione e progresso tecnologico,
globalizzazione, conseguenze dei cambiamenti climatici e invecchiamento della
popolazione. Un contesto ben sintetizzato dalla nota previsione per cui il 65% degli
studenti di oggi farà un lavoro che non esiste ancora
[11]
.
La domanda di titoli di studio più
elevati e di competenze trasversali è quindi da mettere in relazione con l’ipotesi che
le persone con un livello di istruzione più elevato siano mediamente più flessibili, più
mobili e più capaci di affrontare la variabilità che è sempre più una caratteristica
endemica delle professioni. D’altra parte la possibilità per il lavoratore di formarsi,
di accrescere e modificare il patrimonio delle competenze nella prospettiva «obbligata»
del lifelong learning, è direttamente proporzionale con la quantità
di formazione che si è acquisita nella prima fase del corso della vita. La «fame» di
sapere, di formazione, la disponibilità a mettersi in gioco in un’occasione di
up skilling o di reskilling è tanto più
forte quanto più il soggetto è già molto «sazio» di sapere e non ha paura a misurarsi
con il nuovo studio. Più difficile che chi ha avuto esperienze negative a scuola e ha
vissuto l’apprendimento come fatica e sconfitta possa mettersi alla prova in nuove
occasioni di formazione se non con piacere, almeno senza ansie.
L’importanza dell’istruzione è
d’altra parte ben delineata negli studi econometrici sul capitale umano promossi dal
premio Nobel per l’Economia James J. Heckman
[12]
, che ¶{p. 160}mettono in evidenza il valore predittivo del
percorso positivo fino all’istruzione secondaria per il successo nella vita e nel
lavoro. In particolare i suoi studi sottolineano come il successo scolastico sia
indicatore del consolidamento di importanti SES, prima di tutto la coscienziosità – che
è fortemente correlata con i positivi risultati nei percorsi di istruzione – ma anche
l’apertura all’esperienza, insieme ad affidabilità, precisione e perseveranza perché
esse sono le caratteristiche che risultano maggiormente predittive di successo nella
carriera lavorativa.
L’istruzione è quindi considerata
rilevante non solo o non tanto per il patrimonio di conoscenze acquisite e certificate
dal titolo di studio, quanto per le character skills acquisite, che
garantiscono effetti positivi durevoli nei percorsi sempre più discontinui delle
carriere lavorative e nella possibilità di governare con percorsi di lifelong
learning le numerose transizioni che la vita adulta sempre di più impone
ai lavoratori.
In alcuni casi, probabilmente, i
lavori del futuro saranno «nuovi» ma già oggi, e nel prossimo futuro ancora di più, in
molte professioni sono mutate le competenze e le abilità richieste, con una diversa
composizione dell’insieme delle skills e delle mansioni richieste
ai lavoratori (hard, soft,
e-skills), sia per i nuovi lavori, sia per i lavori che
continueranno a esistere, ed è un fenomeno che interessa l’intero stock di occupati. Le
professioni e le competenze che esse richiedono, non sono scolpite nella pietra e tutti
gli studi
[13]
concordano che per aumentare le probabilità di incremento della loro domanda
è essenziale arricchire il contenuto delle professioni in termini di competenze:
tecniche specifiche e complementari. Lo sviluppo o il non declino
di molte professioni, non solo quelle «ancora da inventare» ma anche e soprattutto la
possibilità di continuare a svolgere la maggior parte dei lavori che continueranno a
esistere, ha molto a che vedere con il consolidamento di «competenze
¶{p. 161}complementari», che concorrono già oggi a caratterizzare le
professioni, a ridisegnare i lavori mettendole a frutto: le cosiddette «competenze del
XXI secolo».
Nel corso degli ultimi anni le
indagini Excelsior di Unioncamere sui fabbisogni delle imprese hanno potuto confrontare
le loro stime con i dati reali delle «comunicazioni obbligatorie» relative alle
assunzioni e sono divenute uno strumento piuttosto affidabile. Tutti i report periodici
evidenziano e ripropongono le difficoltà più rilevanti con cui la domanda di lavoro deve
fare i conti. La più rilevante resta quella (per il 48% delle entrate programmate) di
reperire competenze tecniche-tecnologiche legate alle discipline STEM (Science,
Technology, Engeneering, Mathematics). Ma anche per queste figure professionali si
richiede una forte integrazione con le competenze trasversali
(relazionali-cognitive-comunicative) quali il pensiero critico, l’attitudine alla
condivisione, la capacità di negoziazione, l’empatia e la cooperazione. L’ibridazione
delle caratteristiche dei profili professionali, anche per quelli in cui la componente
tecnica è più rilevante, sposta la domanda verso un modello che combina competenze
tecnico-specialistiche con tutte quelle competenze trasversali come quelle appena
citate, il problem solving, la flessibilità necessaria per
interfacciarsi efficacemente con più ambiti disciplinari e adattarsi a contesti
organizzativi in continuo cambiamento. Un’ibridazione che vede da un lato le
skills digitali divenire sempre più pervasive, anche nei lavori
che non richiedono competenze di carattere specialistico e dall’altra le
SES divenire sempre più importanti anche nelle professioni
maggiormente tecniche. Anche per queste figure l’innovazione tecnologica ha portato con
sé un profondo mutamento nelle attività di ricerca e selezione del personale. Le grandi
imprese, ma anche le grandi agenzie di intermediazione, hanno infatti iniziato a
digitalizzare queste attività. I nuovi metodi di selezione prevedono che il primo
contatto avvenga via sms ed e-mail e che vi sia un primo colloquio immediato in modalità
conference call (skype, hangouts, zoom, meet, ecc.). In questo
modo l’impresa effettua il primo screening riducendo notevolmente
il numero di contatti. Alla video-intervista si ¶{p. 162}applicano
algoritmi di intelligenza artificiale per individuare un ranking di
candidati in base alla valutazione di specifiche SES riconosciute
dall’algoritmo. I migliori candidati del ranking, poi, sono
invitati per fare un video-colloquio con personale specializzato che darà accesso
all’ultimo passaggio, il colloquio in presenza. E tutto ciò ben prima dei mutamenti
accelerati dalla pandemia.
A valle delle competenze afferenti
alle STEM, si collocano le competenze digitali e quelle legate alla sostenibilità
ambientale e al risparmio energetico. L’alfabetizzazione digitale fa parte dei saperi
minimi, delle precondizioni, sia per le professioni tecniche che per quelle
impiegatizie. Si pensi all’impatto sulla trasformazione di tutti i lavori tradizionali
che, nel corso di questo periodo di crisi pandemica, ha la rapidissima diffusione delle
piattaforme digitali. A ruota, le cosiddette green skills sono
considerate «necessarie» per quasi l’80% delle professioni (con un massimo dell’88% dei
dirigenti e un minimo del 74% per le professioni non qualificate), «indispensabili» nel
38% delle figure richieste dalle imprese, anche per un terzo delle figure non
qualificate (addetti alle pulizie, al carico/scarico merci, inservienti cucina, ecc.).
Sempre più, nel corso degli ultimi anni, il possesso delle SES diventa centrale nelle
preoccupazioni degli imprenditori. Una specifica indagine di pochi anni fa
[14]
ha sondato il parere di un campione rappresentativo di imprenditori
evidenziando come essi ritengano le SES importanti «tanto come» (78%) oppure «in misura
maggiore» (8%) rispetto alle competenze tecnico specialistiche.
Le imprese ritengono le competenze
trasversali altrettanto importanti delle competenze specifiche. La quota di assunzioni
per le quali queste sono ritenute molto importanti è rilevante e va da un minimo del 37%
per la capacità di risolvere problemi, a un massimo del 49% per la capacità di lavorare
in gruppo.
Nel corso degli ultimi anni la
domanda delle imprese sottolinea con sempre maggiore insistenza la rilevanza delle SES.
La «flessibilità e capacità di adattamento» è in assoluto
¶{p. 163}la
più richiesta ed è considerata di importanza elevata per il 63% delle entrate: una forte
rilevanza che vale per tutte le professioni, persino per quelle meno qualificate, ma il
suo possesso è decisivo anche in almeno 4 entrate su 5 per le figure tecniche e
specializzate.
Note
[6] I Neet sono il 22,2% dei 15-29enni vs. una media UE del 12,5%.
[7] Dati Eurostat 2020 riferiti al 2018.
[8] Secondo OECD da noi è il 38,2%, a fronte di una media UE del 33,5%.
[9] Sistema informativo Excelsior, La domanda di professioni e di formazione delle imprese italiane nel 2019. Monitoraggio dei flussi e delle competenze per favorire l’occupabilità, Roma, Unioncamere, 2020, p. 16.
[10] Ibidem, p. 49.
[11] Rapporto World Economic Forum, presentato a Davos nel 2018.
[12] J.J. Heckman e T. Kautz, Formazione e valutazione del capitale umano. L’importanza dei character skills nell’apprendimento scolastico, Bologna, Il Mulino, 2017.
[13] N. Pearson, Il futuro delle competenze. L’occupazione nel 2030, Milano, 2019, https://it.pearson.com/futuro-competenze.html; OECD, Skills Outlook 2019. Thriving in a Digital World, 2019, https://www.oecd-ilibrary.org/education/oecd-skills-outlook-2019_df80bc12-en.
[14] Unioncamere Excelsior, Le competenze che valgono un lavoro, 2015.