Declinare crescendo
DOI: 10.1401/9788815413505/c5
Dobbiamo infine darci ragione del fatto che non solo l’elaborazione delle piattaforme rivendicative, ma anche la conduzione delle trattative sono diventate compiti esclusivi e personali di pochissimi dirigenti, mentre intorno a loro si svolge lo stanco balletto delle «delegazioni di massa». Assai meglio decidere i limiti alla partecipazione, che recitarla come contorno umiliante ai Grandi Protagonisti, anche perché questa recitazione comporta la procla
¶{p. 107}mazione di lotte inutili, di pura facciata, senza rilievo sulle rivendicazioni.
11. Le costrizioni dell’eterogeneità e l’interesse comune
Un sindacalismo di massa deve rispondere a interessi eterogenei, a gente con apprezzabili diversità d’orientamento, e infine deve fare i conti con l’interesse interno della propria élite dirigente e del proprio apparato. Tanto più deve fare i conti con l’eterogeneità, dal momento che ambisce essere portatore di soluzioni utili al rinnovamento dell’intera società.
I modelli teorici della democrazia borghese (ad esempio la distinzione dei poteri) risultano a questo punto addirittura più avanzati delle vecchie convinzioni intorno alla democrazia di classe. Il problema di fondo resta come procedere dalla eterogeneità per arrivare a una unità di intenti superiore per sintesi politica alle diversità da cui è sorta. Sembra che la strada più lunga e sicura sia quella della legittimazione del dissenso, inteso come contributo, correzione, arricchimento. Una strada che richiede il passaggio da una mentalità assertiva e autoritaria a un’intelligenza ipotetica.
Bisogna a un certo punto passare dall’interesse particolare all’interesse comune e di classe. Questo salto è operato attraverso una congiunzione di forti elementi di razionalità (che dimostrano la caducità dei particolarismi) con elementi di idealità, proiezioni e immagini di sé. Le grandi riserve di generosità e il bisogno di dedizione che caratterizzano la gente, in particolare chi sperimenta oppressione, sono in grado di agire perché gli interessi particolari che dividono il mondo del lavoro vengano superati. L’operazione non avviene quando l’interesse comune superiore ¶{p. 108}risulta sempre più sospetto di essere in realtà l’interesse delle élites del potere, anche di quelle del potere sindacale; quando i destini in alto e in basso dentro l’organizzazione divaricano palesemente. Per questo il bisogno di democrazia e di uguaglianza in un sindacalismo di massa è più accentuato che nel vecchio sindacalismo di opposizione. Un’organizzazione dispotica non diffonde libertà, una organizzazione di disuguali non allarga l’uguaglianza, una organizzazione che abusa degli umori delle masse, produce irrazionalismo e passività.
12. Meno efficienza più efficacia
L’efficienza e il suo mito caratterizzano un sindacato-istituzione che vuole sopravvivere al di là dei suoi scopi; l’efficacia subordina invece il sindacato al raggiungimento degli scopi che si è prefisso.
Il sindacato oggi insegue assai spesso modelli tradizionali di efficienza aziendale: mette in piedi costose e inutilizzate reti di telex, costruisce grandi sedi unitarie senz’anima, così simili ai palazzoni dell’inam o dell’inps. La velocità apparentemente necessaria in cui si consumano i processi di decisione taglia fuori il corpo vivo dei militanti. Ci si illude di dominare la realtà moltiplicando documenti e coordinamenti, inventando competenze, imbevendosi di strani rapporti con i mass-media, e intanto il sindacato perde il contatto con la sua realtà di base, non la vede più, se ne preoccupa solo quando non segue, o risulta meno entusiasta, e allora tira fuori la vecchia tendenza predicatoria. Talvolta abbiamo scambiato l’essere verbalmente di sinistra con l’essere alternativi, oggi scambiamo il realismo dei potenti per responsabilità. Soprattutto parliamo, ¶{p. 109}pensiamo, decidiamo, cambiamo idea, senza una verifica autentica tra la gente.
Sarebbe opportuno metterci a camminare più lenti, non della lentezza dei burocrati, ma di quella richiesta dall’ascoltare, dal guardare, dal far parlare e decidere il più gran numero di lavoratori, la lentezza, appunto, della democrazia sindacale.