Diritto e valori
DOI: 10.1401/9788815413499/c9
Un altro indice della volontà di legge di munire i contratti collettivi della sanzione di inderogabilità è offerto dal nuovo art. 808, comma 3°, c.p.c. La sentenza arbitrale
¶{p. 272}pronunciata in una controversia individuale di lavoro, oltre che per le ragioni di nullità previste dall’art. 829, è impugnabile «anche per violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi», la quale è stata così equiparata alla violazione di norme di diritto come causa di nullità del lodo.
In pari tempo due indicazioni della legge del 1973 escludono che il contratto collettivo sia stato riconosciuto come atto normativo appartenente al sistema formale delle fonti del diritto. Da un lato, non è passata nella legge la norma dell’art. 454 del progetto approvato nel 1971 dalla Camera dei deputati in sede di commissione, che ammetteva il ricorso per cassazione anche per violazione o falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi; dall’altro, il nuovo art. 425 c.p.c., là dove prevede la facoltà del giudice di richiedere alle associazioni sindacali il testo del contratto, di categoria o aziendale, applicabile al rapporto controverso, presuppone l’inapplicabilità di un’altra conseguenza caratteristica del riconoscimento di un atto come fonte dell’ordinamento giuridico statuale, cioè l’inapplicabilità del principio iura novit curia. La ricerca delle norme di contratto collettivo applicabili non è una «questione di diritto», bensì una «questione di fatto», soggetta alle regole sull’onere della prova, salva la supplenza del potere inquisitorio del giudice, il quale del resto potrà esplicarsi, nel modo indicato dalla disposizione citata, solo se le parti abbiano indicato l’associazione o le associazioni stipulanti.
Nel nostro ordinamento non è riproducibile la dottrina dominante in Germania, che attribuisce al contratto collettivo efficacia normativa fondata sulla delegazione da parte dello Stato alle associazioni sindacali di una potestà di legislazione materiale. Nella parte in cui regola in modo generale e astratto le condizioni di lavoro, il contratto collettivo ha la struttura logica della norma giuridica, ma non è fonte di norme giuridiche: esso non è solo formalmente, ma anche sostanzialmente un contratto, e come tale (cioè come fattispecie) è rilevante nell’ordinamento dello Stato. Perciò le fonti di integrazione degli effetti del ¶{p. 273}contratto individuale di lavoro sono formalmente soltanto quelle indicate in generale dall’art. 1374 c.c.: la legge o, in mancanza di disposizioni di legge, gli usi e l’equità. Ma tra le norme di legge che disciplinano il rapporto costituito dal contratto di lavoro ve n’è una che attribuisce agli atti di autonomia collettiva, compiuti dalle associazioni sindacali, l’effetto (abnorme, dal punto di vista del diritto civile) di limitare l’autonomia individuale degli associati, e dunque l’idoneità a precostituire un regolamento dei rapporti di lavoro non disponibile dalle parti del contratto individuale. Questo criterio legale di prevalenza della dichiarazione di volontà collettiva sulla dichiarazione individuale, espresso nella regola dell’efficacia automatica, non è riducibile ai principi del diritto comune, ma non è incompatibile con la concezione del contratto collettivo come atto di autonomia privata
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10. Gli effetti obbligatori. Tendenza ad una qualificazione differenziata delle parti del contratto interassociativo.
Risolto il problema che finora aveva dominato la scena, la teoria giuridica del contratto collettivo dovrebbe ora impegnarsi specialmente nello studio degli effetti obbligatori del contratto.
Sotto il profilo relativo agli imprenditori, questo problema coinvolge la questione delle parti del contratto intersindacale. La dottrina italiana
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sembra orientata ad abbandonare la soluzione tradizionale, che identifica le parti contraenti secondo un criterio di simmetria collegato al principio dell’uguaglianza formale delle parti del contratto. Poiché l’interesse collettivo dei lavoratori trascende la sfera dei bisogni puramente economici, essendo una valutazione radicata in un complesso di condizioni storico-sociologiche che investono l’intera condizione umana, a ¶{p. 274}tale interesse non si contrappone un interesse di uguale natura degli imprenditori. Solo dalla parte dei lavoratori il contratto collettivo è un atto di esercizio di autonomia collettiva sopraordinata all’interesse individuale, e solo da questa parte può dirsi superata anche in Italia la teoria secondo la quale il contratto è stipulato dal sindacato in nome dei soci. Per il suo carattere prettamente individualistico, la teoria della rappresentanza non è idonea a comprendere il fenomeno dell’autonomia collettiva, la quale non è riducibile al potere di disposizione dei singoli lavoratori aderenti al sindacato. D’altro lato, la rappresentanza è un mezzo tecnico non necessario, né sufficiente per spiegare gli effetti del contratto collettivo per i lavoratori, nei confronti dei quali esso non produce diritti e obblighi attuali, ma piuttosto stabilisce un regolamento generale e inderogabile dei contratti individuali di lavoro. Viceversa, dal lato dei datori è riconoscibile soltanto un interesse comune a fronteggiare uniti lo sviluppo dell’azione sindacale a tutela dell’interesse collettivo dei lavoratori, ossia un interesse che non è distinto dall’interesse dei singoli alla gestione delle rispettive imprese con criteri di economicità, ma ne rappresenta una variante qualificata dall’organizzazione mediante lo strumento associativo. Da questo lato la teoria della rappresentanza, che qualifica l’associazione padronale come agente contrattuale in nome degli associati, sembra ancora la più adeguata a definire il termine soggettivo di imputazione degli effetti obbligatori del contratto.
Questa concezione differenziata, che considera parti (in senso sostanziale) del contratto intersindacale il sindacato dei lavoratori, da un lato, e i singoli imprenditori, rappresentati dalla loro associazione, dall’altro, mentre ha avuto rapida fortuna in Italia, non ha trovato alcun consenso in Germania, dove è stata originariamente proposta
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. La ragione principale consiste probabilmente nell’elemento di rottura che essa introduce nella teoria eguali¶{p. 275}taria dello sciopero e della serrata, saldamente attestata nella dottrina tedesca, mentre nella dottrina italiana è da tempo decaduta. Il problema merita certamente di essere approfondito e in questa sede deve rimanere aperto. Ma conviene segnalare i pregi della concezione accennata, la quale riesce a garantire l’effettività del regolamento collettivo dei rapporti di lavoro con uno strumento più incisivo del semplice obbligo, assunto in proprio dall’associazione, di fare quanto è in suo potere per ottenere l’osservanza dei soci. Essa comporta l’assunzione diretta da parte dei singoli imprenditori, nei confronti della controparte, cioè del sindacato dei lavoratori, di un obbligo di rispetto dell’ordine contrattuale collettivamente pattuito. La violazione del contratto collettivo non si risolve esclusivamente, in virtù del principio della sostituzione automatica, in un inadempimento del contratto individuale di lavoro, e quindi in un mero titolo di responsabilità nei confronti del singolo prestatore di lavoro, ma è in pari tempo un titolo di responsabilità del datore di lavoro verso il sindacato. Ne consegue che, ove assumesse caratteristiche tali da configurare un comportamento antisindacale nel senso dell’art. 28 dello statuto dei lavoratori, la violazione potrebbe essere repressa con la procedura sommaria prevista dalla norma ricordata
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Inoltre la teoria in discorso fornisce la base per una soluzione intermedia della questione se i datori di lavoro iscritti all’associazione stipulante siano vincolati dal contratto soltanto nei confronti dei lavoratori a loro volta affiliati al sindacato contraente oppure anche nei confronti dei lavoratori non affiliati. Ritengo esatta la massima della Cassazione, approvata dalla maggioranza della dottrina, secondo cui l’efficacia automatica del contratto collettivo sui rapporti individuali di lavoro è subordinata al duplice presupposto dell’iscrizione di entrambe le parti alle associazioni stipulanti. Ma, sul piano del rapporto collettivo, l’obbligo di osservanza dell’ordine contrattuale pattuito, ¶{p. 276}che dal contratto deriva ai datori di lavoro nei confronti del sindacato dei lavoratori, riguarda tutti i lavoratori, salva – se legittima – la possibilità di una clausola espressa che riservi i benefici del contratto ai soli lavoratori aderenti al sindacato
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11. Il cosiddetto dovere di pace. Critica della concezione del contratto collettivo come contratto con obbligazioni per una sola parte.
L’altro aspetto del problema, sul quale si è aperta una grave frattura nella dottrina italiana, concerne gli effetti obbligatori del contratto per il sindacato dei lavoratori. Non c’è dubbio, anzitutto, che il sindacato ha il dovere di fare quanto è in suo potere per indurre i lavoratori all’osservanza del regolamento collettivo. Ma questo «dovere d’influsso», poiché da un lato non può andare oltre una semplice opera di persuasione
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, dall’altro ha una portata limitata alle clausole che prevedono obblighi a carico dei lavoratori, non può rappresentare una contropartita adeguata all’impegno assunto dagli imprenditori in ordine alla parte normativa del contratto, la quale è formata principalmente da clausole che attribuiscono diritti ai lavoratori e sono destinate a incorporarsi automaticamente nella disciplina dei rispettivi contratti individuali di lavoro. Perciò l’impegno del sindacato, riferito globalmente alla parte normativa del contratto collettivo, è completato da un altro obbligo, tradizionalmente indicato col nome di «dovere di pace»: espressione impropria, perché evoca l’idea del contratto collettivo come strumento di pacificazione sociale, mentre tale funzione, certamente auspicabile, ma di natura politica, non appartiene all’essenza giuridica del contratto. Preferirei parlare di «impegno di stabilità del regolamento collettivo», anche se, dopo questa precisazione, sarò costretto dalla forza
¶{p. 277}della tradizione ad usare la terminologia corrente.
Note
[80] Cfr., nell’ambito delle teorie privatistiche del contratto collettivo nella dottrina germanica, von Tuhr, Allg. Teil des Schweiz. Obligationenrechts, voi. I, Tübingen, 1924, pp. 121 s., 190, nota 59; Jacobi, Grundlehren des Arbeitsrechts, Leipzig, 1927, p. 283.
[81] Cfr. Romagnoli, Le associazioni sindacali nel processo, cit., pp. 115 s.; Persiani, op. cit., pp. 60 s., e qui citazioni complete; Scognamiglio, op. cit., pp. 158 s.; Mazziotti, op. cit., p. 15.
[82] Cfr. Hueck-Nipperdey, Lehrbuch des Arbeitsrechts1, vol. II, Berlin-Frankfurt a M., 1966-67, § 21, pp. 448, s., nota 1a.
[83] Cfr. Treu, Condotta antisindacale e atti discriminatori, Milano, 1974, pp. 78 s.
[84] Questa soluzione era proposta da Messina, Sul regolamento legislativo, in Atti del Consiglio superiore del lavoro (1907), cit., p. 11 (sub n. III) dell’estr.
[85] Difficilmente, nell’ordinamento attuale, il «dovere d’influsso» potrebbe essere allargato fino a comprendere l’uso del potere disciplinare contro i soci riottosi, come disponeva l’art. 55, comma 2° del regolamento 1° luglio 1926.