Diritto e valori
DOI: 10.1401/9788815413499/c9
Il nuovo indirizzo dottrinale, che ha eletto ad oggetto primario di studio questa struttura contrattuale «estremamente instabile e precaria»
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, i suoi metodi e i suoi contenuti, l’interazione tra «movimento» e sindacato, le strategie di lotta e infine la riqualificazione politico-organizzativa del sindacato che ne è risultata, ha indubbia
¶{p. 267}mente contribuito ad arricchire culturalmente la scienza del diritto del lavoro, fornendole materiali interpretativi più vasti e aggiornati, e aprendola ad una maggiore comprensione della condizione umana nel processo produttivo: comprensione indispensabile per conservare il titolo che solo giustifica la scienza giuridica, come ogni altra scienza, cioè l’essere al servizio della nostra vita, della vita di tutti i membri del consorzio civile. Ma questo indirizzo, in cui predomina il momento politico-sociologico, comporta anche il rischio che il giurista smarrisca il suo ruolo essenziale di mediatore tra la norma e la realtà, più precisamente tra il sistema normativo e il conflitto sociale, e ceda alla suggestione della forza normativa dei fatti
[69]
. Il rischio può essere evitato solo se il pensiero problematico, cioè il pensiero che vuole mantenersi in contatto con i problemi che la vita del diritto, immersa nel movimento della storia, continuamente propone, non si disgiunga dalla riflessione sistematica. Solo in una prospettiva sistematica, e certo non di un sistema chiuso, precostituito e rigidamente formalizzato, ma aperto alla logica del ragionevole e alla possibilità di soluzioni alternative, è possibile cogliere il significato normativo dei fatti nella totalità dell’esperienza giuridica, in modo da garantirne la non contraddittorietà; è possibile, insomma, far valere contro la tendenza individualizzante della politica del diritto la regola del diritto.
8. Ancora il problema dell’efficacia automatica.
Delineato sommariamente il quadro di sviluppo della problematica relativa al contratto collettivo nel periodo successivo all’ordinamento sindacale-corporativo, occorre anzitutto fare il punto sulla questione «capitale»
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dell’efficacia del contratto. Nel secondo dopoguerra essa si ripresentò nei medesimi termini in cui si era posta agli inizi del secolo, ¶{p. 268}ma in un contesto storico profondamente mutato. Nell’ultima giurisprudenza precorporativa era ormai consolidato il principio dell’efficacia limitata alla sfera degli iscritti alle associazioni stipulanti
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. I tentativi di alcune magistrature di merito, negli anni 1947-’49, di ripristinare l’antica giurisprudenza dei probiviri, che estendeva il vincolo del contratto all’intera categoria professionale utilizzando le teorie del mandato tacito o della gestione di affari, del contratto a favore di terzi o dell’uso, non trovarono questa volta alcun consenso nella dottrina e furono censurati dalla Cassazione. Dopo il 1949 questa giurisprudenza fu però temperata da un’altra massima, la quale attribuisce al giudice, sulla base dell’art. 36 della Cost., il potere di applicare per proprio conto i minimi collettivi di trattamento economico anche ai lavoratori dipendenti da datori di lavoro non affiliati alle associazioni stipulanti, qualora il trattamento meno favorevole previsto dal contratto individuale risulti contrario al principio costituzionale del salario equo e sufficiente.
D’altra parte, l’esperienza della legge sindacale del 1926 fu determinante in ordine alla questione dell’inderogabilità: la Cassazione, come non ebbe dubbi nell’escludere l’efficacia erga omnes dei contratti collettivi di diritto privato, così non esitò ad applicare, nella cerchia dei rapporti di lavoro ad essi soggetti, il principio dell’efficacia automatica sancito dall’art. 2077. Questa posizione giurisprudenziale non è mai stata accettata dalla dottrina, e non poteva esserlo. L’art. 2077 è rimasto esclusivamente in funzione dell’art. 43 del d. lgt. 23 novembre 1944, n. 265, che ha mantenuto in vigore a tempo indeterminato i contratti collettivi corporativi, per i quali soltanto la norma è stata dettata, mentre non è applicabile, né direttamente, né per analogia, ai contratti di diritto comune, la cui natura è radicalmente diversa.¶{p. 269}
Certo il principio dell’efficacia automatica non è legato per necessità logica al presupposto dell’inserimento del contratto collettivo nel sistema formale delle fonti di diritto riconosciuto dall’ordinamento dello Stato: è ben possibile che, senza alterarne la natura di negozio privato di autonomia collettiva, il legislatore qualifichi il contratto collettivo come fonte di integrazione degli effetti del contratto individuale di lavoro prevalente sulle determinazioni difformi dell’autonomia individuale. Ma tutti gli sforzi compiuti dalla dottrina per dimostrare che già secondo il diritto comune, senza bisogno di una disposizione di legge, il contratto collettivo può spiegare l’effetto dell’inderogabilità, furono vani. Non esiste un principio di diritto privato che consenta all’interprete di assoggettare le parti del contratto individuale di lavoro a una fonte di integrazione non menzionata nell’art. 1374 c.c.
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. E vani furono anche i tentativi di fondare positivamente l’efficacia automatica sull’art. 39 Cost.
[73]
. L’ultimo comma della norma, che dichiara inderogabile per la generalità degli appartenenti alla categoria cui si riferisce il contratto collettivo stipulato nel modo ivi previsto, presuppone una valutazione dell’interesse di categoria unitariamente compiuta, col metodo collegiale, da tutti i sindacati registrati. Perciò non è estensibile al contratto stipulato nei modi ordinari dalle associazioni sindacali non riconosciute, per la tutela di un interesse dei soci che non è solo quantitativamente, ma qualitativamente diverso dall’interesse collettivo determinato dalle rappresentanze unitarie
[74]
, appunto perché diverso è il modo di formazione del giudizio in cui l’interesse collettivo nell’uno e nell’altro caso si esprime. Quanto al primo comma dell’art. 39, esso implica bensì il riconoscimento anche alle associa¶{p. 270}zioni non registrate della competenza a stipulare contratti collettivi di lavoro
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, in contrasto con l’art. 47 del r.d. 1° luglio 1926, n. 1130, che tali contratti dichiarava nulli; ma rimette al legislatore ordinario la disciplina della loro efficacia, cioè la scelta tra l’attribuzione di efficacia automatica oppure di efficacia meramente obbligatoria secondo i principi del diritto comune. Anzi, in un ordinamento sindacale in cui fosse attuato l’intero precetto dell’art. 39, la scelta della seconda alternativa potrebbe ritenersi perfino coerente con la linea politica della norma costituzionale, chiaramente orientata verso un regime privilegiato delle associazioni registrate e dei contratti collettivi da esse unitariamente stipulati.
Alla fine, una parte della dottrina cercò di uscire dal vicolo cieco applicando, in sostanza, la teoria del realismo americano, secondo cui la norma giuridica è nient’altro che un giudizio di probabilità di un comportamento futuro dei tribunali. Poiché l’atteggiamento della giurisprudenza aveva indubbiamente determinato nell’ambiente sociale l’aspettativa di decisioni orientate nel senso dell’efficacia automatica dei contratti collettivi
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, si concluse che era inutile cercare nel sistema il fondamento positivo di tale principio, dal momento che la norma era stata creata, fuori dal sistema, dalla giurisprudenza
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. Una simile conclusione, sebbene incompatibile col carattere chiuso del nostro sistema giuridico, nel quale non è ammessa la regola del precedente giudiziario, ha avuto almeno il merito di descrivere la situazione com’era, e non come si voleva che fosse.
9. I nuovi dati positivi apportati dalla legge 11 agosto 1973, n. 533.
Ora la situazione è mutata. La nuova disposizione di legge, necessaria per fondare positivamente l’inderogabilità del contratto collettivo, esiste e risulta implicitamente, ¶{p. 271}ma non meno chiaramente, dal nuovo testo dell’art. 2113, comma 1°, redatto dall’art. 6 della legge 11 agosto 1973, n. 533
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. La norma dichiara invalide le rinunzie e le transazioni aventi per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili: cioè diritti patrimoniali secondari, che non si identificano con le norme primarie, ma sono conseguenziali ad esse e in esse trovano la loro matrice, come il diritto a una rata di retribuzione scaduta, il diritto alla cosiddetta indennità per ferie non godute, il diritto all’indennità di anzianità maturata alla fine del rapporto di lavoro ecc. Orbene, il nuovo testo ha anzitutto soppresso la distinzione del testo precedente tra diritti derivanti da disposizioni inderogabili della legge e diritti derivanti da norme corporative: giustamente, perché i contratti corporativi mantenuti in vigore dal decreto del 1944, sebbene non abbiano acquistato forza di legge
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, traggono la loro efficacia inderogabile dalla disposizione di legge che li ha conservati, non dalla propria fonte originaria di produzione, che è stata abrogata. In secondo luogo, il nuovo art. 2113 ha esteso la sanzione di invalidità agli atti con cui il lavoratore dispone nei rapporti col datore di diritti derivanti «da disposizioni inderogabili dei contratti e accordi collettivi». Ciò significa che le clausole del contratto collettivo, non dichiarate derogabili dalle parti del medesimo, concorrono a determinare la disciplina dei rapporti individuali di lavoro indipendentemente dalla volontà dei contraenti, a una stregua analoga a quella delle norme imperative di legge, cioè appunto con l’effetto impropriamente designato col termine di «sostituzione automatica».
Un altro indice della volontà di legge di munire i contratti collettivi della sanzione di inderogabilità è offerto dal nuovo art. 808, comma 3°, c.p.c. La sentenza arbitrale
¶{p. 272}pronunciata in una controversia individuale di lavoro, oltre che per le ragioni di nullità previste dall’art. 829, è impugnabile «anche per violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi», la quale è stata così equiparata alla violazione di norme di diritto come causa di nullità del lodo.
Note
[68] Giugni, Le tendenze evolutive della contrattazione collettiva in Italia, in Il sindacato fra contratti e riforme, Bari, 1973, p. 95.
[69] Coloro che non si inchinano a tale forza sono irrisi dal Corriere della Sera, 7 febbraio 1975, p. 7, come giuristi che pretendono «di mettere le manette alla storia». Questa è davvero un’epoca infestata dai «mêtis», di cui parla Montaigne, I, 54.
[70] L’aggettivo è di Messina, Concordati di tariffe, cit., p. 39.
[71] Cfr. Trib. Como 21 marzo 1921, in «Riv. dir. comm.», 1921, II, p. 249; Comm. prov. imp. priv. Milano, 23 febbraio 1921, ivi, p. 255; Cass. 30 novembre 1928, in «Ann, dir. comp.», 1930, III, con nota di Casanova (ora in Casanova, Opuscoli di vario diritto, vol. II, Milano, 1968, pp. 255 s.).
[72] Valgono, cioè, i medesimi rilievi espressi da Camelutri, Teoria, cit., p. 51 con riferimento alla dottrina precorporativa.
[73] Cfr. Corrado, Trattato di diritto del lavoro, vol. I, Torino, 1965, p. 427; Persiani, Saggio, cit., pp. 41 s.
[74] Cfr. Cataudella, Adesione al sindacato e prevalenza del contratto collettivo sul contratto individuale di lavoro, in «Riv. trim. dir. e proc. civ.» 1966, p. 557, Contra Persiani, Saggio, cit., p. 44.
[75] Cfr. Scognamiglio, op. cit., p. 160.
[76] Cfr. Giugni, La funzione giuridica del contratto collettivo di lavoro, in Atti del III Congresso nazionale di diritto del lavoro sul tema Il contratto collettivo di lavoro, Milano, 196&, p. 33.
[77] Cfr. Persiani, op. cit., pp. 9 s., 31, 161.
[78] In questo senso anche Pera, Lezioni di diritto del lavoro2, Roma, 1974, p. 120; Mazziotti, in Montesano-Mazziotti, Le controversie del lavoro e della sicurezza sociale, Napoli, 1974, p. 236; Grasselli, Contributo alla teoria del contratto collettivo, Padova, 1974, pp. 81 s.
[79] Corte cost. 5 aprile 1971, n. 72, in Foro it. 1972, I, c. 1173.