Paolo Conte
Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c2
Quanto agli altri due inquisiti, ossia Fiore e Belpulsi, furono anch’essi, almeno in un primo momento, piuttosto evasivi nelle loro risposte. Essi, infatti, insistettero talmente tanto nell’attribuire il loro arresto alla «vengeance de la cour de Naples» che il consigliere di Stato, approfittando dell’occasione per polemizzare con la polizia parigina per le modalità con cui erano stati condotti gli arresti, non mancò di sottolineare come la «conformité de leurs réponses avec celles de Moliterno sur quelques points prouve qu’ils se sont concertés, ils en ont eu tout le temps puisqu’ils sont tous les trois au Temple» [32]
. Sul lungo periodo, però, Fiore e Belpulsi avrebbero adottato con gli inquirenti un atteggiamento alquanto diverso, perché se il primo tenne fermo nel negare l’esistenza di qualsiasi organizzazione cospirativa, il secondo, con il perdurare degli interrogatori, fece qualche timida ammissione che, seppur parziale, finì con il rivelarsi
{p. 80}decisiva per la condanna finale. Da un lato, infatti, l’avvocato, pur riconoscendo di essere molto integrato nel mondo dell’esilio italiano a Parigi (dove, dopo gli iniziali lavori come insegnante di italiano, aveva trovato impiego presso quella principessa di Belmonte ai tempi in stretti contatti con Moliterno), non solo sminuiva il suo rapporto con il leader della congiura, sostenendo che questi «n’aimait pas les Napolitains et n’en voyait que très peu», ma soprattutto ribadiva la sua fedeltà alla Repubblica francese e il suo disprezzo per l’Inghilterra, giudicata la principale causa delle sue sofferenze [33]
. Dall’altro lato, invece, il capo-battaglione ammetteva che i documenti sequestrati a Moliterno riguardavano un piano d’insurrezione del Regno, pur precisando che «il n’y avait pas pour cela de complot», perché in realtà non si trattava d’altro che di una «fiction inventée pour faire obtenir à Moliterno de l’argent de Santangelo»: cosicché, se egli stesso si era prestato «à jouer un rôle dans cette comédie», era stato solo perché «Moliterno, réduit aux derniers expédients, lui avait dit qu’il allait se détruire» [34]
.
Di tale dichiarazione, tuttavia, i giudici avrebbero preso per buona solo la parte riguardante l’effettiva organizzazione del piano, trascurando quella relativa alle motivazioni legate non a una vera e propria cospirazione, ma a una più modesta truffa ordita ai danni di Santangelo. Così, essi avrebbero sostenuto che «Belpulsi, tout en avouant l’existence du complot, ne lui a donné une escroquerie pour but qu’afin d’en atténuer la gravité». Del resto, gli inquirenti avrebbero sminuito anche un’altra circostanza riferita da Belpulsi poi rivelatasi vera, cioè che egli avesse a un certo punto raccontato il tutto all’ambasciatore Del Gallo: circostanza, questa, che sarebbe stata giudicata strumentale, perché prova del fatto che l’esule napoletano «croyait à l’existence de quelques périls pour la tranquillité de son pays et ensuite qu’il voulait tirer parti d’une trahison envers ses complices ou détourner d’eux les soupçons» [35]
.{p. 81}
In virtù di tutto ciò, dopo aver analizzato le carte sequestrate a Moliterno e dopo aver proceduto a ulteriori interrogatori di rifugiati italiani (fra cui spiccava il principe di Santangelo) [36]
, il consigliere Thibaudeau concludeva le sue indagini sostenendo con sicurezza che il progetto di congiura, ben lungi dall’essere un’iniziativa chimerica, aveva realmente preso corpo nella Parigi del 1802, tanto da trovare un cauto interesse finanche sull’altra sponda della Manica:
L’existence du complot est incontestable. Les pièces saisies sur Moliterno et les révélations faites par le prince Santangelo et par Belpulsi prouvent que les trois détenus en étaient les auteurs ou complices. Il est probable que, quoique le gouvernement anglais ait fini pour refuser de favoriser ce complot, il y a cependant donné de l’attention. Cette présomption résulte des réponses évasives faites à M. Del Gallo par M. Merry dans un temps où il avait réellement envoyé à Londres les propositions de Moliterno et de la signature apposée par M. Merry sur le passeport de Moliterno lorsqu’il se rendait en Angleterre [37]
.
Proprio l’attenzione di Londra ci sembra l’elemento più interessante dell’intera cospirazione, di cui, ad ogni modo, non si vuole certo enfatizzare la portata, nella consapevolezza che si trattò pur sempre di un’ardita iniziativa intrapresa da un ristretto gruppo di esuli. Ad ogni modo, vero o strumentale che fosse, il coinvolgimento inglese merita qualche riflessione soprattutto in considerazione della fase in cui il progetto fu ordito. Il 1802, infatti, fu non solo l’anno dei Comizi di Lione e della stabilizzazione napoleonica della penisola, ma anche, sul fronte europeo, l’anno della (effimera) pace fra Francia e Inghilterra siglata in marzo ad Amiens. Dunque, fu proprio in questo contesto di parziale distensione diplomatica fra i due storici nemici che si trovarono ad agire i rifugiati napoletani e che ebbe luogo il relativo processo. Ciò induce ad attribuire al contesto diplomatico un peso rilevante nell’evoluzione delle trame in questione {p. 82}(oltre che nel loro fallimento): se da un lato prima il rifiuto del Direttorio di riconoscere la Repubblica napoletana nel 1799 e poi la stipula del trattato di pace di Firenze avevano acuito il malessere di parte italiana nei confronti della politica internazionale adottata dai vari esecutivi francesi, dall’altro una delle principali cause del fallimento del progetto fu, appunto, il fatto che esso fosse concepito proprio in quel breve arco cronologico in cui i rapporti fra Francia e Inghilterra erano stati improntati a una parziale tregua. Cosicché, seppur la firma dell’ambasciatore Merry sul passaporto di Moliterno lasci effettivamente qualche sospetto sul coinvolgimento del governo di Saint-James (e dunque sulla sua costanza nel coltivare propositi anti-francesi anche nei mesi in cui era in vigore il Trattato di Amiens), risulta legittimo sostenere che il precario equilibrio raggiunto con quella pace fosse stato un elemento decisivo nel suggerire alla monarchia inglese di non coltivare oltremodo un piano di congiura certo potenzialmente vantaggioso, ma comunque ai tempi non poco rischioso.
Al contempo, la contestualizzazione della congiura permette di meglio cogliere anche l’utilizzo che della vicenda fu fatto dal governo di Parigi, il quale, non a caso, rese pubblica la vicenda solo diversi mesi più tardi, ossia dopo essersi accertato della plausibilità del coinvolgimento inglese e quando oramai gli accordi di Amiens cominciavano a scricchiolare. Va letta in tale prospettiva la pubblicazione della notizia, apparsa in gennaio sulle pagine del «Moniteur», del tentativo compiuto da tali esuli e del loro conseguente arresto avvenuto a Calais «au moment où ils s’embarquaient pour aller s’aboucher à Londres avec les agents de la faction qui les dirigeait» [38]
. D’altronde, in quello stesso mese la notizia era enfatizzata anche sul fronte italiano, dove Gioacchino Murat, per sottolineare al primo Console le incapacità del vicepresidente Melzi, metteva la vicenda in relazione a quell’affaire Ceroni che stava attestando l’esistenza di un consistente malcontento anti-francese a Milano [39]
.{p. 83}
Inoltre, è doveroso evidenziare come il fallito progetto attestasse la costante incidenza del Mediterraneo nella storia dell’esilio italiano. La centralità della penisola in tale bacino, infatti, non solo molto condizionò le dinamiche migratorie dei rifugiati, ma costituì anche un fattore centrale nell’articolazione delle loro strategie, ossia una potente carta da far valere al tavolo delle relazioni con quei paesi (Inghilterra in primis) sempre molto interessati, per questioni tanto politiche quanto commerciali, al controllo di quegli spazi marittimi [40]
.
Infine, la congiura attesta altresì l’evoluzione delle posizioni politiche degli esuli del 1799. Certo, una gran parte di essi, lavorando nelle istituzioni transalpine e sostenendo la politica napoleonica, avrebbe ancora a lungo dimostrato una sostanziale fedeltà alla Francia. Tuttavia, un simile tentativo, per quanto ambiguo, rivela come la stagione dell’esilio non fosse affatto stata una parentesi priva di cambiamenti e avesse invece addirittura avuto il risultato – paradossale, ma concreto – di far sì che alcuni rifugiati attenuassero il loro sentimento francofilo proprio nel corso del soggiorno parigino.

3. Il seguito: tra evasioni e confinamenti

Nell’articolo con cui nel gennaio 1803 il «Moniteur» comunicava la scoperta in settembre della congiura di Mo{p. 84}literno si informava che, insieme a quest’ultimo, a essere arrestato a Calais era stato Belpulsi e non, come realmente avvenuto, Dorinda Austen. Un particolare apparentemente di poco conto, che si potrebbe attribuire a un mero errore giornalistico, eppure esso assume una certa rilevanza se si tiene conto che il giorno prima della pubblicazione della notizia la donna era stata liberata e condotta sotto scorta a Calais, dove, questa volta per davvero, si era imbarcata per l’altra sponda della Manica [41]
. Insomma, se da un lato si mettevano in risalto i tentativi degli esuli italiani di raggiungere l’Inghilterra, dall’altro si taceva della partecipazione di un’irlandese e soprattutto le si permetteva di sottrarsi al processo a condizione di lasciare la Francia. Vicenda, questa, che mostra come la congiura dovesse sì servire politicamente ad aumentare i sospetti dell’opinione pubblica transalpina sulla volontà del governo di Saint-James di rispettare gli accordi sanciti con la pace di Amiens, ma non enfatizzare oltremodo i disaccordi fra Parigi e Londra.
In ogni caso, se la Austen veniva tenuta fuori dalle indagini e fatta allontanare dall’Esagono, più complesso sarebbe stato il destino degli altri inquisiti, sulla cui colpevolezza il rapporto di Thibaudeau lasciava pochi dubbi. I tre napoletani, infatti, sarebbero stati tenuti in carcere ancora per diverso tempo, questa volta tutti in isolamento (Moliterno e Fiore sempre al Temple e Belpulsi in un’altra celebre prigione parigina quale il Sainte-Pélagie). Per quest’ultimo, che nel frattempo non aveva mancato di scrivere diverse petizioni di protesta, la svolta sarebbe arrivata nell’aprile 1804, allorquando venne liberato insieme ad altri due detenuti italiani (Lorenzo Bay e un tal Fantinato) e condotto sotto scorta a San Remo con l’obbligo di abbandonare «le territoire des républiques française, italienne et ligurienne» [42]
. A Moliterno e Fiore, invece, spettava un futuro ancora in Francia,
{p. 85}seppur non più da reclusi nelle carceri della capitale, bensì da sorvegliati nelle città di provincia. In quegli stessi mesi, infatti, per entrambi la detenzione fu commutata in confino: cosicché, se già nell’autunno 1803 il principe veniva condotto a Charolles (nel dipartimento della Saône-et-Loire), nel luglio successivo l’avvocato fu trasferito nel piccolo comune di Chablis (nella Yonne).
Note
[32] ANF, AF/IV, cart. 1302, Rapport aux Consuls de la République (Parigi, s.d.).
[33] ANF, F/7, cart. 6319/B, dr. Fiore.
[34] ANF, AF/IV, cart. 1302, Rapport aux Consuls de la République (Parigi, s.d.).
[35] Ibidem.
[36] Per gli altri incartamenti relativi agli interrogatori vedi ANF, F/7, cart. 6319/B.
[37] ANF, AF/IV, cart. 1302, Rapport aux Consuls de la République (Parigi, s.d.).
[38] «Moniteur universel», 11 nevoso XI (1/01/1803).
[39] La lettera, datata 24 gennaio 1803, è riportata in Zaghi (a cura di), I carteggi di Francesco Melzi D’Eril, cit., vol. 3, p. 456. Sulla crisi causata nella Repubblica italiana dai versi anti-napoleonici dell’ufficiale Giulio Ceroni, vedi S. Levati (a cura di), L’affaire Ceroni. Ordine militare e cospirazione politica nella Milano di Bonaparte, Milano, Guerini e Associati, 2005.
[40] Sull’incidenza del Mediterraneo nelle dinamiche rivoluzionarie: P. Conte, Fra isole, coste e progetti federali: quando il Mediterraneo era al centro della rivoluzione, in «Mo.do», 3-4, 2021; A. De Francesco, 1792, l’Italia e il Mediterraneo all’ora della rivoluzione, in A. Giardina (a cura di), Storia mondiale dell’Italia, Bari-Roma, Laterza, 2017, pp. 478-481. Per una prospettiva mediterranea delle circolazioni politiche del XIX secolo: K. Zanou, Transnational Patriotism in the Mediterranean, 1800-1850: Stammering the Nation, Oxford, Oxford University Press, 2018; M. Isabella e K. Zanou (a cura di), Mediterranean Diasporas. Politics and Ideas in the Long 19th Century, London, Bloomsbury, 2016.
[41] ANF, F/7, cart. 6319/B, dr. Newman.
[42] ANF, F/7, cart. 6319/B, dr. Bay. Sulle sue petizioni dal carcere e sul seguito dei suoi spostamenti si veda P. Di Cicco, Contributo documentario per una biografia del molisano Antonio Belpulsi, in «Samnium», 47, 1974, n. 3-4, pp. 143-184.