Paolo Conte
Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c2
Il primo di questi documenti era una minuta di una lettera che il feudatario meridionale avrebbe dovuto indirizzare alla regina di Napoli durante il soggiorno che quest’ultima stava trascorrendo nella natia Vienna. Nel testo, l’autore chiedeva a Carolina un passaporto per potersi recare nella capitale austriaca «afin de lui faire connaître lui-même le véritable état des affaires du Royaume de Naples et lui présenter un plan qui a pour but sa gloire, son triomphe et le bonheur de sa Nation». Da un punto di vista giudiziario, la lettera fu considerata rilevante più perché attestava i propositi cospirativi del gruppo che per le sue effettive conseguenze, in quanto Thibaudeau precisava che «on présume que cette lettre n’a pas été envoyée et que Moliterno changea de système et préféra de s’adresser au gouvernement anglais». Tuttavia, la sua rilevanza politica resta alta, perché essa attesta come il progetto di congiura fosse nato con l’intenzione di sfruttare le divisioni interne al governo borbonico e solo successivamente, facendo leva sulle relazioni internazionali offerte da una città come Parigi, si sarebbe indirizzato a una terza potenza quale l’Inghilterra. Infatti, nella sua lettera Moliterno proponeva a Carolina (che non a caso in quel periodo era stata fatta allontanare da Napoli) di «renverser
{p. 75}le parti du ministre Acton», nella convinzione che la regina «adopterait ce plan par animosité contre lui» [22]
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Del resto, durante le indagini un altro rapporto della polizia faceva notare come la regina avesse «son parti à la cour, ennemi de celui d’Acton, lequel étant le plus fort dans le temps que la reine était à Palerme, la força de s’en aller en Autriche». Insomma, era proprio dalla percezione del malcontento di una parte dell’élite borbonica che aveva preso corpo l’idea di Moliterno di sfruttare tali divisioni per far dimenticare la sua recente collaborazione con le armate repubblicane e proporsi come figura centrale nel natio Regno di Napoli. E a tal riguardo è significativo che, sempre secondo il rapporto della polizia, il progetto avesse preso avvio «depuis la signature de la paix de Florence», perché ciò attesta come proprio tale trattato, siglato nel marzo 1801, avesse generato un clima di generale malcontento nel quale l’insoddisfazione dei rifugiati per le mancate tutele nei loro confronti si andava saldando con i malumori di alcuni esponenti della dirigenza politica meridionale [23]
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Il secondo documento giudicato compromettente era una lettera indirizzata a Moliterno da un suo corrispondente romano, il quale lo informava cripticamente della «nouvelle consolante que le nouveau commerce avait été entrepris». Il testo in questione veniva ritenuto una prova significativa del fatto che «le complot avait des ramifications, ou au moins des agents, dans les principales villes d’Italie». Esso attestava che nella penisola ci si occupava di «réunir des troupes, car c’est ce qui expriment dans la correspondance les mots fonds et denrées». Il consigliere di Stato, pertanto, sosteneva che «cette pièce, sous le voile d’une spéculation de commerce, se rapporte parfaitement au complot», in quanto la lettera altro non era che una risposta alle informazioni comunicate dagli esuli parigini circa l’apertura delle loro negoziazioni con l’Inghilterra [24]
.{p. 76}
Altra prova dell’esistenza della cospirazione era un appunto di Moliterno in cui si riassumevano le forze belliche coinvolte. Si tratta del documento che meglio permette di ricostruire tanto il piano militare architettato a Parigi, quanto i relativi sostegni operanti nella penisola: da esso, infatti, sempre «sous la voile d’une spéculation de bleds», si poteva ricavare «tout le système relatif à la levée, au mouvement des troupes et à l’attaque des places». Le operazioni, che avrebbero dovuto in gran parte svolgersi lungo la costa adriatica per ritardare un eventuale intervento francese, dovevano avviarsi con l’occupazione del porto di Pescara da parte degli insorti locali, a cui avrebbe fatto seguito prima lo sbarco di rinforzi inviati dall’Inghilterra e poi la formazione di un’armata di circa 18.000 uomini che, forte del sostegno locale, avrebbe avviato l’avanzata in direzione di Napoli con l’obiettivo di destituire la famiglia reale [25]
. Insomma, secondo i piani dei congiurati, l’Inghilterra avrebbe dovuto fornire armi e risorse economiche, mentre gli insorti indigeni avrebbero dato avvio all’insurrezione permettendo lo sbarco delle flotte britanniche e lo sviluppo delle operazioni militari verso la capitale. Non a caso, anche Del Gallo, nella citata memoria consegnata a Talleyrand, sottolineava il fervore che nei mesi precedenti aveva animato gli abitanti delle province, riferendo che i cospiratori parigini avevano di recente ricevuto da Napoli informazioni assicuranti che tutto era pronto per far scoppiare la cospirazione [26]
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Dunque, se certo il sostegno inglese era considerato fondamentale, appare evidente che il piano molto puntasse sulla partecipazione degli uomini già presenti in loco. Per la composizione di una simile armata si sarebbe dovuto attingere all’interno degli stessi contingenti borbonici e fra le schiere di briganti ed ex sanfedisti evidentemente non ancora del tutto smobilitate. Al contempo, l’esercito degli insorti doveva far leva anche e soprattutto sugli uomini rimasti nelle storiche roccaforti repubblicane, così innescando un misto – che in {p. 77}fondo ben si riassumeva nella stessa figura di Moliterno – di borbonici emarginati dal governo napoletano ed ex patrioti delusi dalla Repubblica francese. Infatti, sempre stando alle carte requisite a Calais, gli esuli cospiratori, che evidentemente mai avevano interrotto i propri contatti con l’altra sponda delle Alpi, facevano non poco affidamento sugli uomini rimasti nei territori italiani, dato che fra i principali sostenitori del progetto erano segnalati nuclei operanti ad Ancona, Roma, Bologna e finanche Brescia, dove si sarebbe potuto ricorrere all’ex ambasciatore della Repubblica cisalpina a Napoli Giovanni Estore Martinengo-Colleoni. Ma ovviamente era nei territori del Regno di Napoli che erano presenti i principali sostegni della trama cospirativa: fra questi spiccavano Giovanni Belpulsi, fratello del citato Antonio e residente a San Martino in Pensilis (piccolo borgo nella provincia di Capitanata), l’arciprete Agnozzi, operante ad Altamura (capoluogo di uno dei distretti di Terra di Bari) e il notabile Saverio Carelli, nativo di Picerno (in Basilicata). Contatti, questi, provenienti in gran parte da zone che, durante la breve esperienza rivoluzionaria del 1799, si erano dimostrate le più pronte a sostenere il processo di municipalizzazione e le più decise a impedire il ritorno borbonico: Altamura e Picerno, ad esempio, erano stati nella prima decade di maggio gli ultimi bastioni patriottici a cadere sotto i colpi dell’avanzata della Santa Fede [27]
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Infine, il quarto e ultimo documento utilizzato come prova a carico dei cospiratori consisteva in un’istruzione a Moliterno «sur la marche qu’il devait tenir pendant son séjour à Londres». La lettera, «écrite dans un style énigmatique» e poi distribuita in varie copie ai singoli partecipanti, era stata redatta da Fiore presso l’abitazione parigina del principe Santangelo solo pochi giorni prima della partenza per Calais della coppia Moliterno-Austen. Si trattava del documento attestante l’accelerazione delle operazioni da parte del gruppo, la cui redazione aveva indotto la spia dell’ambasciatore Del Gallo a invitare il suo referente ad attivarsi {p. 78}presso il ministro Talleyrand per favorire l’intervento della polizia. Pur mantenendo diversi tratti di ambiguità, il testo prescriveva a Moliterno, una volta giunto oltre Manica, di
parler au Gouvernement anglais de ses propres intérêts, en lui faisant entendre que le roi de Naples, effrayé des événements passés, ne peut, au milieu des dangers qu’il court, être de bonne foi, et qu’au contraire les auteurs du plan, ayant confié aux Anglais leurs plus chers intérêts et faisant cause commune avec eux, leur seront fidèles puisqu’ils courent risque de tout, et même de la vie [28]
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Tuttavia, durante gli interrogatori l’avventuriero napoletano avrebbe strenuamente negato che la lettera indicasse piani cospirativi da presentare a Londra e avrebbe invece sostenuto che la sua redazione fosse da retrodatare di oltre tre anni, cioè che il testo si riferisse alla missione di recarsi a Parigi affidatagli nella Napoli repubblicana del 1799. Stando alle sue risposte, infatti, il viaggio per l’Inghilterra avrebbe avuto scopi prettamente privati, ossia vendere oggetti d’antiquariato e soprattutto ottenere il divorzio di Dorinda Austen per poter poi procedere al loro matrimonio. Erano, questi, tentativi estremi con cui Moliterno, ormai con le spalle al muro, provava disperatamente ad alleviare la propria condizione, come quando attribuiva l’espressione «héros actuel» (contro cui nel testo si diceva occorresse trovare nuovi sostegni) non al primo Console, ma al re di Napoli, oppure come quando negava, con chiaro ricorso al linguaggio massonico, che l’espressione «arrivé à L.» (con cui cominciavano le sue istruzioni) si riferisse alla città di Londra [29]
. Del resto, anche il giudizio del consigliere Thibau{p. 79}deau sulla sua strategia difensiva sarebbe stato molto duro, dato che avrebbe sostenuto che «le système de défense de Moliterno n’a pas même le mérite de la vraisemblance» e che «les contradictions et l’insuffisance de plusieurs de ses réponses [...] ne font que confirmer au contraire l’existence d’un plan politique» [30]
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Ciò nonostante, le sue risposte ci sembrano comunque interessanti, perché permettono, seppur ex post, di gettare nuova luce sulle divisioni interne agli apparati repubblicani del 1799 e sulle modalità con cui era stata concepita la sua missione in Francia. Egli, infatti, sosteneva che nella Napoli democratizzata fosse stato attivo un «parti très puissant» che aveva provato a estromettere dal governo la fazione patriottica e che lo aveva incaricato di sfruttare l’incarico a Parigi per chiedere al Direttorio non tanto il riconoscimento della neonata Repubblica, ma l’istituzione di una «République aristocratique» [31]
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Quanto agli altri due inquisiti, ossia Fiore e Belpulsi, furono anch’essi, almeno in un primo momento, piuttosto evasivi nelle loro risposte. Essi, infatti, insistettero talmente tanto nell’attribuire il loro arresto alla «vengeance de la cour de Naples» che il consigliere di Stato, approfittando dell’occasione per polemizzare con la polizia parigina per le modalità con cui erano stati condotti gli arresti, non mancò di sottolineare come la «conformité de leurs réponses avec celles de Moliterno sur quelques points prouve qu’ils se sont concertés, ils en ont eu tout le temps puisqu’ils sont tous les trois au Temple» [32]
. Sul lungo periodo, però, Fiore e Belpulsi avrebbero adottato con gli inquirenti un atteggiamento alquanto diverso, perché se il primo tenne fermo nel negare l’esistenza di qualsiasi organizzazione cospirativa, il secondo, con il perdurare degli interrogatori, fece qualche timida ammissione che, seppur parziale, finì con il rivelarsi
{p. 80}decisiva per la condanna finale. Da un lato, infatti, l’avvocato, pur riconoscendo di essere molto integrato nel mondo dell’esilio italiano a Parigi (dove, dopo gli iniziali lavori come insegnante di italiano, aveva trovato impiego presso quella principessa di Belmonte ai tempi in stretti contatti con Moliterno), non solo sminuiva il suo rapporto con il leader della congiura, sostenendo che questi «n’aimait pas les Napolitains et n’en voyait que très peu», ma soprattutto ribadiva la sua fedeltà alla Repubblica francese e il suo disprezzo per l’Inghilterra, giudicata la principale causa delle sue sofferenze [33]
. Dall’altro lato, invece, il capo-battaglione ammetteva che i documenti sequestrati a Moliterno riguardavano un piano d’insurrezione del Regno, pur precisando che «il n’y avait pas pour cela de complot», perché in realtà non si trattava d’altro che di una «fiction inventée pour faire obtenir à Moliterno de l’argent de Santangelo»: cosicché, se egli stesso si era prestato «à jouer un rôle dans cette comédie», era stato solo perché «Moliterno, réduit aux derniers expédients, lui avait dit qu’il allait se détruire» [34]
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Note
[22] Ibidem.
[23] AF/IV, cart. 1302, Note importante (Parigi, s.d.).
[24] AF/IV, cart. 1302, Rapport aux Consuls de la République (Parigi, s.d.).
[25] Ibidem.
[26] ANF, AF/IV, cart. 1302, Lettera di Del Gallo a Talleyrand (Parigi, 28/10/1802).
[27] A. Lerra, L’albero e la croce. Istituzioni e ceti dirigenti nella Basilicata del 1799, Napoli, Esi, 2001, pp. 60-82.
[28] ANF, AF/IV, cart. 1302, Rapport aux Consuls de la République (Parigi, s.d.).
[29] Alla domanda «qu’eûtes-vous entendu par ce héros actuel?», Moliterno rispondeva «le héros actuel est le Roi de Naples, dont les intérêts sont absolument contraires à la France»; mentre, all’affermazione dell’inquirente secondo cui «il paraît au contraire que ce mémoire règle la conduite que vous deviez tenir à Londres, car il commence ainsi, arrivé à L…», replicava: «la lettre L signifie L’orient, c’est ainsi que je désignai Paris ou la France, suivant les termes maçonniques». ANF, F/7, cart. 6319/B, dr. Interrogatoires Moliterno.
[30] ANF, AF/IV, cart. 1302, Rapport aux Consuls de la République (Parigi, s.d.).
[31] ANF, F/7, cart. 6319/B, dr. Interrogatoires Moliterno.
[32] ANF, AF/IV, cart. 1302, Rapport aux Consuls de la République (Parigi, s.d.).
[33] ANF, F/7, cart. 6319/B, dr. Fiore.
[34] ANF, AF/IV, cart. 1302, Rapport aux Consuls de la République (Parigi, s.d.).