Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c8
Sul tema dell’istruzione insisteva
anche un altro rifugiato meridionale quale il calabrese Vincenzo Catalani, il cui
percorso ebbe non poche analogie con quello di Castaldi in quanto anche nel suo caso gli
anni dell’esilio in Francia cominciati nel 1800 si erano interrotti con il ritorno in
patria sei anni più tardi per prestar servizio nelle nuove istituzioni del Regno
[13]
. Proprio nei mesi a cavallo del suo rientro, egli si rendeva protagonista di
una duplice iniziativa editoriale articolatasi nella pubblicazione prima, nel 1805, di
un testo in entrambe le lingue a Bourg-en-Bresse e poi, l’anno successivo, di un
pamphlet in francese a Napoli. Dopo aver trascorso l’esilio come insegnante di italiano
nel liceo di Marsiglia, pubblicava un trattato sull’educazione delle donne,
L’Amico del bel sesso, ovvero nuove riflessioni sull’influenza delle donne
nella società e sulla loro educazione,
¶{p. 264}con cui
denunciava la scarsa attenzione attribuita in Europa all’istruzione femminile. Una
scarsa attenzione che, a suo avviso, era dovuta al fatto che «non si è ancor ben
compreso quanto sia grande l’influenza di questa metà della specie umana sugli usi,
sulle abitudini e su li costumi dell’altra» e contro la quale egli proponeva una serie
di suggerimenti volti a valorizzare l’educazione delle donne al fine di «farle influire
più di quel comunemente si crede nelle nostre società»
[14]
. Dedicato alla moglie del consigliere di Stato Thibaudeau, il testo avanzava
anche considerazioni politiche sul ruolo della rivoluzione come strumento cosmopolitico
di contatto tra i popoli, avviando una riflessione che veniva poi riproposta l’anno
successivo, quando Catalani, non appena rientrato in patria, dava alle stampe a Napoli,
grazie al sostegno del ministro della polizia Saliceti, un Mémoire pour les
Napolitains-français contre les Napolitains-bourbons par un ami de la
vérité
[15]
. In questo lavoro, ritenendo impossibile l’attuazione
nel Regno della napoleonica «politica dell’amalgama», chiedeva un drastico ricambio
della classe dirigente del Regno che favorisse l’ascesa del personale patriottico a
discapito delle storiche élites borboniche. Una proposta, questa, che nasceva dallo
strumentale proposito di rivendicare nuovi impieghi per quegli esuli a lungo costretti
alla lontananza proprio per la loro fedeltà alla causa francese, ossia per quei
«Napolitains partisans de la France [...] dont une partie a été sacrifiée en l’an 7 et
l’autre pillée, tourmentée, exilée»
[16]
.
Rispetto a Catalani, in quegli anni
il mineralogista Carmine Lippi compiva il tragitto in direzione contraria, partendo da
Napoli e approdando nel 1805 a Parigi, dove tra l’altro aveva già trascorso un soggiorno
di studio alla vigilia della rivoluzione. Giunto oltralpe non tanto per questioni
politiche, ma perché in fuga da un contesto scientifico non disposto ad accogliere le
sue proposte di cambiamento, ¶{p. 265}egli ebbe modo di intensificare le
conoscenze sui progressi dell’industria, così alimentando una dura polemica nei
confronti degli intellettuali napoletani considerati responsabili del ritardo
scientifico del Regno
[17]
. Tale polemica si esplicitò attraverso la pubblicazione, nel 1806, di un
lavoro dedicato alla Promotion des sciences utiles et de
l’industrie in cui venivano delineati i risultati raccolti nei suoi
«dix-huit ans de voyages» al fine di provvedere alla formazione di una
«Encyclopédie des métaux, et du Règne minéral, c’est-à-dire,
[à] l’exposition systématique de toutes les sciences relatives à l’exploitation des mines»
[18]
. Al tempo stesso, grande attenzione era dedicata anche alle scienze mediche,
dato che l’autore descriveva i vari sistemi ospedalieri visitati in Europa al fine di
facilitare, sull’esempio delle più avanzate scuole di medicina del continente, una
politica volta a incoraggiare un corretto e aggiornato insegnamento della disciplina
[19]
. Certo, il soggiorno di Lippi nella Parigi napoleonica non era dovuto alla
fuga forzata del 1799, ma fu comunque condotto all’interno degli ambienti dell’esilio
politico. Non a caso, nel 1806 egli chiese, seppur invano, di beneficiare dei soccorsi
per il rientro in patria proprio come tanti suoi connazionali che approfittarono
dell’avvio della nuova stagione francese nel Mezzogiorno d’Italia per ottenere il
finanziamento per il ritorno a Napoli
[20]
. Maggior fortuna, invece, ebbe nel 1810, quando, ormai rientrato in patria
da circa un anno, riuscì a ottenere, grazie alla mediazione di un altro italiano
approdato in Francia nel primo decennio del secolo quale il piemontese Carlo Denina, che
i suoi testi fossero «placés dans le dépôt des bibliothèques de l’Empereur»
[21]
.
Proprio la figura di Denina, che dal
1804 fu bibliotecario privato di Napoleone, rappresenta senza dubbio uno dei casi più
emblematici di mediatore culturale in quegli anni, ¶{p. 266}perché egli,
nella duplice veste di storico e responsabile della biblioteca imperiale, fu fra i più
attivi nel far conoscere la cultura italiana in Francia. Affermatosi nel dibattito
pubblico europeo sin dalla fine degli anni Sessanta con il suo Delle
Rivoluzioni d’Italia, proprio nell’anno del suo arrivo in Francia
pubblicava a Firenze la sua più importante opera della stagione napoleonica, le
Rivoluzioni della Germania. Ma anche a Parigi, dove visse fino
alla morte sopraggiunta nel novembre 1813, fu impegnato in ricerche a sfondo storico,
fra cui spiccano diversi lavori sul contesto italiano pubblicati dall’editore Louis
Fantin. Nel Tableau historique, statistique et moral de la Haute-Italie et des
Alpes qui l’entourent analizzava il passato di quei territori
peninsulari, quali Piemonte e Regno d’Italia, ormai sotto la sfera d’influenza francese
allo scopo di far conoscere all’amministrazione imperiale il carattere dei relativi popoli
[22]
. Nell’Essai sur les traces anciennes du caractère des Italiens
modernes, des Siciliens, des Sardes et des Corses ampliava il suo studio
ad altre aree per riflettere più approfonditamente su evoluzione storica e peculiarità
sociali delle tre principali isole del Mediterraneo
[23]
. Infine, nel Discorso istorico sopra l’origine della gerarchia e
de’ concordati rintracciava le radici del recente Concordato fra la
Repubblica consolare e la Chiesa di Roma per mostrare come quell’intesa fosse
legittimata da diversi precedenti storici
[24]
.
Nella costruzione di patrimoni
bibliotecari, poi, un ruolo importante fu svolto anche da altre figure di intellettuali
presenti in Francia ancor più legate al patriottismo italiano. Fra queste vi era quel
Giunio Poggi che a Parigi aveva dato vita insieme a Buttura al settimanale «La
Domenica». Durante l’Impero, oltre a intensificare gli studi classici e diventare
deputato del Corpo legislativo, questi approfittava della residenza parigina per aiutare
l’amico Francesco ¶{p. 267}Reina nell’impresa di costruire una
biblioteca a Milano e a tal scopo acquistava su sua richiesta numerosi testi nelle
librerie della capitale francese per poi farglieli pervenire in via privata
[25]
. Ciò dimostra, dunque, come all’impegno pubblico alimentato attraverso
funzioni istituzionali si aggiungesse anche un’attività di mediazione culturale
articolata per mezzo di meno palesi, ma comunque utili, strumenti di circolazione
libraria.
In questo discorso, era ovviamente
la pratica delle traduzioni di testi francesi quella che impegnava maggiormente il
personale italiano oltralpe. A darne emblematica testimonianza è una lettera del 1810
scritta proprio da Buttura al consigliere del Regno d’Italia Giovanni Scopoli, la quale
tra l’altro attesta la straordinaria costanza dei rapporti instauratisi fra i
protagonisti delle vicende repubblicane rimasti ancora a Parigi:
Verso il principio del 1809, il S.C. Méjan, in nome di S.A.I. il Principe Viceré, mi ordinò di eseguire diverse traduzioni di opere francesi, adottate come classiche nelle scuole dell’Impero. Presi intero l’assunto per le opere letterarie. Si doveva però cominciare dalle scientifiche, e le prime erano Les Elements d’histoire naturelle di Duméril; la Mineralogie di Brongniart; L’Astronomia di Biot. M’incaricai della terza, che non ignoro. Conoscendo la prima pochissimo e niente la seconda, proposi per quella il Sig. Botta, per questa il S. Poggi, che ne possiedono la cognizione ed hanno fama di buoni scrittori [26] .
Inoltre, per quanto operativi a
Parigi soprattutto attraverso attività editoriali, gli esuli del 1799 non mancarono di
contraddistinguersi anche in altri settori quali quelli relativi ad arti visive, musica
e teatro. Ad esempio, il rifugiato toscano Lorenzo Bartolini costruì le sue fortune
proprio sulle rive della Senna, dove si formò alla scuola del celebre pittore
Jacques-Louis David per diventare in seguito uno dei più
¶{p. 268}importanti esponenti della scultura neoclassica italiana
[27]
. Discorso simile per il romano Giovanni Battista Comolli, che, rifugiatosi a
Grenoble dopo la partecipazione in patria alla Repubblica del 1798, si fece apprezzare
per le sue capacità nella scultura, al punto da essere prima nominato componente del
locale Lycée de Science et des Arts e poi incaricato, dopo il trasferimento a Parigi e
l’avvio di un atelier in rue Bailleul, della realizzazione di diversi busti di Napoleone
[28]
.
Infine, l’emigrazione politica si
incrociò spesso anche con altre forme di mobilità innescate da ragioni essenzialmente
professionali. Soliti ritrovarsi per lo più nel salone di Giulia Beccaria sito in place
Vandôme, gli esuli rimasti nella capitale posero le basi per la formazione di nuovi
circuiti progressivamente frequentati anche da altri italiani nel frattempo giunti in
Francia, come i musicisti napoletani Antonio Pacini e Nicola Raffaele Carli. Il primo,
giunto nel 1804, ebbe grande successo sia come compositore sia come professore di canto,
mentre il secondo fu, a far data dal 1807, molto attivo come editore di raccolte musicali
[29]
. Da questo punto di vista, il riconoscimento ufficiale nel 1801 del
Théâtre-Italien fra le quattro principali istituzioni teatrali parigine incentivò
ulteriormente l’arrivo di uomini e donne dalla penisola. Non è un caso, pertanto, che
anche gli studi sul mondo dello spettacolo abbiano di recente sottolineato come
l’emigrazione italiana di questo periodo abbia contribuito alla formazione di quella che
fu la «plus importante communauté de musiciens étrangers sous l’Empire et la Restauration»
[30]
.
¶{p. 269}
Note
[13] A. Imerti, Vincenzo Catalani. Neapolitan Jacobin, Jurist, Reformer (1769-1843), Lawrence, KS, Coronado Press, 1976.
[14] V. Catalani, L’Amico del bel sesso, ovvero nuove riflessioni sull’influenza delle donne nella società e sulla loro educazione, Bourg, Janinet, 1805.
[15] V. Catalani, Mémoire pour les Napolitains-français contre les Napolitains-bourbons par un ami de la vérité, Naples, 1806.
[16] Ibidem, pp. 3-4.
[17] F. D’Angelo, Dal Regno di Napoli alla Francia. Viaggi ed esilio fra Sette e Ottocento, Napoli, Dante e Descartes, 2018, pp. 83-92.
[18] C. Lippi, Promotion des sciences utiles et de l’industrie, Paris, Gratiot, 1806.
[19] Ibidem, pp. 12-16.
[20] ANF, F/7, cart. 6474, dr. Lippi.
[21] ANF, F/17, cart. 1029, dr. 6.
[22] C. Denina, Tableau historique, statistique et moral de la Haute-Italie et des Alpes qui l’entourent, Paris, Fantin, 1805.
[23] C. Denina, Essai sur les traces anciennes du caractère des Italiens modernes, des Siciliens, des Sardes et des Corses, Paris, Fantin, 1807.
[24] C. Denina, Discorso istorico sopra l’origine della gerarchia e de’ concordati fra la podestà ecclesiastica e la secolare, Paris, Fantin, 1808.
[25] BNF, Manuscripts Italiens, Fonds Custodi, cart. 1559, dr. Poggi, ff. 100-103.
[26] ASM, Autografi, cart. 116, dr. 47, Lettera di Buttura a Scopoli (Parigi, 27/11/1810).
[27] G. Hubert, Les sculpteurs italiens en France sous la Révolution, l’Empire et la Restauration, 1790-1830, Paris, Boccard, 1964, pp. 63-71.
[28] F. Boyer, Le monde des arts en Italie et en France de la Révolution et de l’Empire, Torino, Sei, 1969.
[29] Per altri esempi si rimanda a E. Cazzato, Chronicles of Two Piedmontese in Paris: The Stage Designer Ignazio Degotti (1758-1824) and the Composer Gian Battista Viotti (1755-1824), in I. Yordanova e C. Fernandes (a cura di), «Padron mio colendissimo…»: Letters about Music and the Stage in the 18th Century, Wien, Hollitzer Verlag, 2021, pp. 655-704.
[30] M. Cailliez, Les acteurs italiens de la vie musicale en France au XIXe siècle. Approche prosopographique et analyse des réseaux, in Colin, Fournier-Finocchiaro e Tatti (a cura di), Entre France et Italie, cit., pp. 17-34.