Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c6
Fatto sta che, sempre secondo il
rapporto ministeriale, «toutes ces causes réunies jetèrent Piranesi, privé de l’appui de
son frère et de son ancien associé, dans une gêne qui devint extrêmement sensible».
Così, ormai incapace di saldare i propri debiti e di garantire lo stipendio ai suoi
collaboratori, nel 1809 si trovò costretto a sospendere una parte consistente delle sue
attività, mentre solo pochi anni prima, «dans le temps de la grande activité de ses
établissements, il employait en ville jusqu’à 130 ouvriers». Per far fronte a questa
situazione i funzionari della pubblica istruzione suggerirono di «venir puisement au
secours et de
¶{p. 207}l’établissement principal de Piranesi et de
l’artiste lui-même», proponendo di «réunir ces collections à la chalcographie Impériale»
nella convinzione che «l’intérêt des arts et l’honneur national s’opposent à ce qu’on
laisse disperser et peut-être exporter à l’étranger une collection de planches qui a
fait époque dans l’histoire des arts». Nello specifico, il progetto prevedeva di saldare
i debiti di Piranesi attraverso i ricavi della vendita della manifattura di
Mortefontaine, oltre che, ovviamente, tramite un consistente investimento finanziario
del governo, il quale si sarebbe in cambio impossessato dei lavori della calcografia
facendoli in gran parte confluire al Musée Napoléon
[62]
.
Ma più che i concreti dispositivi
indicati per il salvataggio, qui interessa analizzare le ragioni con cui i commissari
ministeriali motivavano la loro proposta d’intervento a tutela dell’artista romano. Tali
ragioni, infatti, molto dicono di come, nella Francia di quel primo decennio del secolo,
il personale straniero fosse stato utile al progetto culturale napoleonico e al tempo
stesso attestano come la «lontana» militanza politica del Triennio non fosse affatto
stata dimenticata:
Quatre motifs principaux paraissent demander d’abord la conservation de ce qui existe et solliciter envers l’artiste la générosité de S.M. l’Empereur:1. La collection des cuivres, composée de plus de 2.000 planches gravées, est [...] une des plus précieuses et des plus étendues qui soient en Europe, et certainement la plus importante qui soit en France. Si cette collection presque monumentale était abandonnée aux créanciers, elle pourrait être transportée à l’étranger ou vendue comme cuivre brut, l’un et l’autre seraient une perte digne de regret.2. Le gouvernement a un grand intérêt à maintenir cet établissement, celui des encouragements même qu’elle lui a donnés [...]. Cet établissement est devenu en partie l’ouvrage du gouvernement, il semblerait peu digne de la munificence de S.M. l’Empereur d’abandonner une entreprise pour laquelle il a déjà tant fait et de laisser évanouir le résultat de tant d’avances. [...]3. Quoique le choix des sujets et l’exécution des planches laissent souvent beaucoup à désirer, les Piranesi ont cependant ¶{p. 208}rendu de véritables services à l’architecture, à l’art des décorations, aux manufactures même, en répandant le goût des belles formes de l’antiquité et la connaissance des bons modèles, et c’est un témoignage que les amis des arts doivent s’empresser de lui rendre.4. Enfin, Piranesi est personnellement digne des bontés de S.M. Fils d’un artiste qui a acquis une grande renommée, il a quelque chose de son génie, l’enthousiasme des arts, un grand désintéressement, de la probité, de la droiture, il a montré dans des circonstances difficiles un attachement pour la cause de la France qui pouvait alors avoir quelque danger, et un dévouement ardent pour la famille Impériale dont il a obtenu les bontés. Il a abandonné sa patrie et transporté parmi nous un établissement auquel le gouvernement de Rome attachait quelque importance. Ses malheurs sont en partie l’effet des circonstances [63] .
L’esito sfortunato della calcografia
di Francesco Piranesi provocò comunque conseguenze drammatiche, dato che, mentre le
procedure di salvataggio erano in corso, questi morì prematuramente il 23 gennaio 1810,
all’età di 53 anni. Con grande probabilità tale circostanza influì non poco nella
decisione del nuovo ministro degli interni Jean-Pierre de Montalivet di annullare, nella
primavera di due anni più tardi, il già avviato salvataggio e di favorire la vendita
della calcografia alla stamperia parigina dei fratelli Didot
[64]
. Contro tale decisione a nulla servirono le proteste dell’allora «sécretaire
général du département de Rome» Pietro Piranesi, il quale, tornato in patria ma
rappresentato presso i notai parigini da quel Piroli che in Francia era stato uno dei
suoi più fedeli collaboratori, si vedeva costretto ad accettare che la storica
calcografia non fosse affidata a quelle istituzioni napoleoniche nelle quali al tempo operava
[65]
. Per lui, comunque, sarebbe presto arrivato – come vedremo – un altro
soggiorno in Francia, nuovamente caratterizzato da un impegno culturale non privo di
connotati politici. Di Francesco, invece, oramai non restava altro che il ricordo
commosso con cui, come riportava il necrologio apparso ¶{p. 209}sul
«Moniteur» qualche giorno dopo la morte, uno degli artisti francesi della sua
calcografia, Simon-Philippe Chaudé, al momento della sepoltura aveva rimpianto la
perdita di questo «artiste recommandable» che, proprio come il padre, facendo «sortir
Rome antique de ses ruines, en fit connaître toute la magnificence»
[66]
.
3. Nella libreria inglese di rue Vivienne: le iniziative editoriali di Giovanni Antonio Galignani
«Il Corriere d’Italia» non fu
l’unico giornale straniero fondato a Parigi nel 1807, perché nell’aprile di quell’anno
prese corpo anche un’altra operazione editoriale, quella del mensile inglese «The
Monthly Repertory of English Literature». In questo caso, si trattava di un foglio che
aveva un carattere più letterario, che era pubblicato con una frequenza meno intensa e
che, soprattutto, guardava all’altra sponda della Manica più che all’altro lato delle
Alpi. Fattore, quest’ultimo, alquanto rilevante se si tiene conto che argomenti e lingua
utilizzati non erano quelli di un paese quasi interamente sotto la sfera d’influenza
napoleonica, ma quelli di una nazione che ai tempi costituiva il principale ostacolo al
definitivo apogeo imperiale, al punto tale che, solo pochi mesi prima, ossia nel
novembre 1806, Napoleone aveva imposto a tutt’Europa il blocco commerciale nei suoi
confronti. Ciò nonostante, le analogie fra le due redazioni andavano oltre la
coincidenza temporale, innanzitutto perché in entrambi i casi ci si proponeva non tanto
di scrivere articoli di sana pianta, ma di selezionare e riportare a Parigi interventi
già editi nel contesto europeo (anche se il «Monthly Repertory» non effettuava
traduzioni, ma si limitava a raccogliere contributi inglesi) e poi perché in entrambi i
casi piuttosto consistente fu il sostegno governativo. Infatti, se si è detto
dell’attenzione napoleonica nei confronti del giornale italiano, circa la rivista
inglese occorre aggiungere che, per quanto i finanziamenti di cui godette
¶{p. 210}furono limitati alla sottoscrizione di un numero contenuto di
copie, la protezione riservatale dalle autorità imperiali fu in fondo il fattore che,
nel pieno dell’acutizzarsi degli scontri fra Francia ed Inghilterra, ne permise la realizzazione
[67]
.
Così, già nel numero di apertura, il
mensile inglese presentava l’iniziativa evidenziando come essa mirasse a fornire a un
prezzo ancor più economico di quello degli stessi fogli inglesi «the whole body of all
the reviews of repute in England»
[68]
. Nel dicembre 1808, poi, l’editore faceva leva proprio sulle contingenti
difficoltà dei traffici con la Gran Bretagna per accentuare l’interesse delle letture
proposte, nella convinzione che «to analyze and examine the literary productions of the
writers of the present time in England [...] is now become difficult of access»
[69]
. Insomma, trattando della cultura inglese nel pieno della stagione del
«blocco continentale» si proponeva un’operazione sì rischiosa, ma in fondo non del tutto
avventata, che d’altronde si sarebbe rivelata piuttosto riuscita.
Ma il più importante elemento di
connessione fra il mensile inglese e il quotidiano italiano era dato dalla circostanza
per cui il direttore del primo era non solo un cittadino nativo della penisola, ma anche
il titolare di quell’omonima libreria indicata dal «Corriere d’Italia» quale suo
principale luogo di vendita. Si trattava del bresciano Giovanni Antonio Galignani,
fondatore nel 1801 di un negozio di libri sito in rue Vivienne, nel cuore di quel
quartiere del Louvre che sin dagli albori del secolo costituiva la principale area di
residenza degli italiani stabilitisi a Parigi. Del resto, nel 1803 la libreria era
stata, seppur per poche settimane, il centro di vendita anche dell’altro giornale
italiano redatto nella capitale francese, «La Domenica».
Pur non essendo un esule del 1799,
il suo percorso aveva diversi tratti in comune con quello dei patrioti rifugiatisi
oltralpe a seguito del crollo delle «Repubbliche sorelle». Nato nel 1757 a Palazzolo,
nei pressi di Brescia, sin dai primi ¶{p. 211}anni della rivoluzione
Galignani aveva lasciato la terra natia, dove si era indirizzato alla carriera
ecclesiastica, per recarsi a Parigi, dove nel novembre 1790 era segnalato per i suoi
corsi di lingua italiana
[70]
. Tuttavia, ai tempi per lui le cose non andarono per il meglio, tanto da
indurlo a effettuare un’ulteriore partenza, questa volta in direzione della Gran
Bretagna. Sull’altra sponda della Manica abbandonò la carriera ecclesiastica e, nel
novembre 1794, sposò la protestante Ann Parsons, da cui avrebbe avuto tre figli
[71]
. Due anni più tardi, sempre a Londra, pubblicò in inglese un manuale di
grammatica italiana, le Twenty-four Lectures on the Italian
Language, che serviva a raccogliere i metodi dei suoi insegnamenti della
lingua di Dante
[72]
. Ma nemmeno la permanenza londinese fu di lunga durata, perché ai primi del
1798 la coppia decise di trasferirsi a Parigi, dove, come riferiva «La Décade», subito
avviò dei corsi di lingua che dovevano costituire il primo nucleo di un vero e proprio
salone letterario:
Le C. Galignani et sa jeune épouse, récemment arrivés de Londres, ont ouvert des cours d’Anglais et d’Italien. Indépendamment de ces Cours, on se réunit chez eux le soir, trois fois par décade, pour y prendre le thé et se familiariser par la conversation avec ces deux langues. [...] On trouve aussi chez eux de superbes éditions des meilleurs ouvrages anglais et italiens, des dictionnaires, grammaires et autres livres élémentaires, ainsi qu’une collection de gravures et de caricatures [73] .
Nella Francia del Direttorio per
Galignani le cose andarono decisamente meglio rispetto al passato e a contribuire alla
sua stabilizzazione furono anche le personalità della politica del tempo. Fra queste,
oltre al ministro plenipotenziario della Repubblica cisalpina a Parigi Gian Galeazzo
Serbelloni, spiccava il deputato del Consiglio dei Cinquecento Charles
¶{p. 212}Van Hulthem, ai tempi uno dei più assidui frequentatori del
salone letterario animato dalla coppia italo-inglese. Infatti, nell’estate 1799, ossia
nelle stesse settimane in cui a Parigi approdavano numerosi esuli italiani, questi
scriveva al ministro Fouché per attestare «la moralité et le caractère paisible de
Galignani et de son épouse», chiedendogli poi di «leur accorder une carte d’hospitalité»
[74]
. In tal modo, proprio a partire da quei mesi il destino di Galignani si
legava a quello degli altri esuli italiani approdati in Francia.
Note
[62] Ibidem.
[63] Ibidem. Il corsivo è mio.
[64] Focillon, Giovanni Battista Piranesi, cit., pp. 112-117.
[65] ANF, MC/ET/CII, cart. 662, Inventaire après décès de François Piranesi (30/07/1810).
[66] «Moniteur universel», 30 gennaio 1810.
[67] ANF, F/21, cart. 710.
[68] «The Monthly Repertory of English Literature», aprile 1807.
[69] Ibidem, dicembre 1808.
[70] «Journal de Paris», 23 novembre 1790.
[71] A Jean Antoine e Guillaume, nati rispettivamente il 13 ottobre 1796 e il 10 marzo 1798, si sarebbe aggiunto diversi anni dopo Charles, dato alla luce a Parigi nel 1811.
[72] G.A. Galignani, Twenty-four Lectures on the Italian Language, Delivered at the Lyceum of Arts, Sciences and Languages, London, White, 1796.
[73] «La Décade», 30 ventoso VI (20/03/1798), p. 564.
[74] ANF, F/7, cart. 10831.