Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c6
Eppure, tanto il sostegno del
Consolato quanto la sponda de «La Décade» erano stati fino ad allora fondamentali per il
soggiorno in Francia dei due fratelli e per il successo della loro impresa. Sbarcati a
Marsiglia nel novembre 1799 insieme ad altri 250 esuli costretti ad abbandonare Roma a
causa della loro partecipazione alla Repubblica istituita nel febbraio dell’anno precedente
[43]
, il quarantaduenne Francesco e il ventiseienne Pietro erano annunciati a
Parigi sin dalla fine di quel mese proprio dal giornale edito nella capitale, che
informava come questi avessero «sauvé de toute leur fortune que les planches gravées par
leur père» e si apprestassero a «publier de nouveau cette intéressante collection, dès
qu’ils seront arrivés à Paris»
[44]
. Infatti, quando qualche settimana più tardi i due arrivarono sulle rive
della Senna, misero subito in circolazione un prospetto in cui descrivevano i tratti
della calcografia che intendevano istituire
[45]
. Nello specifico, essi erano effettivamente in possesso di numerose
¶{p. 202}incisioni inerenti le antichità greco-romane, realizzate in
gran parte dal padre e poi, dopo la morte di quest’ultimo nel 1778, continuate dal
primogenito Francesco, che ne aveva ereditato l’attività
[46]
.
Cosicché, proprio sfruttando il
fascino delle loro collezioni, i due riuscirono a conquistare la protezione del governo.
Già ai primi di febbraio, infatti, il ministro degli esteri Talleyrand scriveva al
collega degli interni Luciano Bonaparte per raccomandargli «la conservation d’un
établissement précieux dont les amis de l’Italie ne regretteront pas la perte s’ils
savent que les amis du gouvernement ont facilité sa naturalisation en France»
[47]
. Non a caso, nelle stesse settimane in cui la calcografia cominciava le sue
attività per volontà di Luciano Bonaparte, i due fratelli avviavano la stampa di un
corso di architettura di cui il governo, ancora una volta su impulso del ministro degli
interni, sottoscriveva l’acquisto di 15 esemplari
[48]
.
Ben lontana dall’essere una mera
iniziativa imprenditoriale, la calcografia divenne presto un’interessante officina
culturale volta a far conoscere in Francia le tecniche dell’incisione romana e le
bellezze artistiche della penisola, con particolare riferimento a quelle ricchezze
archeologiche napoletane (dai templi di Paestum alle rovine di Pompei) che Francesco
aveva visitato nel corso dei suoi lavori
[49]
. Inoltre, la calcografia divenne un punto di riferimento non solo per i
collezionisti francesi, ma anche per i rifugiati italiani. Così, se l’impresario
Edmé-Antoine Durand rese possibile l’avvio dell’attività garantendo un investimento di
40.000 franchi, i romani Benedetto Mori e Giuseppe Pellati vi trovarono impiego fra la
manodopera, mentre un altro transalpino quale l’architetto Jacques-Guillaume Legrand
¶{p. 203}si occupò di assicurare la traduzione francese dei testi di
accompagnamento delle immagini, i quali erano a loro volta in gran parte redatti da un
altro esule del 1799 quale Ennio Quirino Visconti
[50]
.
Pertanto, sulle rive della Senna si
andavano formando réseaux molto simili a quelli appena discioltisi
sulle rive del Tevere. E proprio questa connessione fra iniziative editoriali e impegno
politico portò in quello stesso 1800 Pietro Piranesi a essere fra i firmatari di un
indirizzo apparso a fine febbraio sul «Journal des hommes libres» allo scopo di
denunciare la dura repressione che stava avendo luogo in Italia
[51]
. Insomma, questa loro duplice natura (da un lato patrioti che avevano
combattuto a Roma per la causa francese e dall’altro artisti che potevano tornar utili a
Parigi per il nuovo modello culturale d’impronta napoleonica) ne caratterizzò non poco
l’iniziale percorso in Francia. Non stupisce, dunque, che già nel maggio 1800, in
occasione del citato ordine prefettizio che imponeva agli esuli italiani di lasciare la
capitale, i due fratelli ottenessero il permesso di proseguire la propria permanenza e
che ad attivarsi per concedere l’autorizzazione fosse, ancora una volta, il ministro
degli interni Luciano Bonaparte, affrettatosi a scrivere al collega Fouché per
sollecitarlo in favore tanto dei «deux célèbres graveurs Romains», quanto dei «cinq
Italiens [...] qu’ils disent être leurs employés dans la chalcographie»
[52]
.
Di lì, cominciavano per i Piranesi
anni di grande successo che li avrebbero condotti a esporre i loro prodotti alla mostra
dell’industria francese svoltasi al Louvre nel 1801. Alle opere della calcografia
fornivano il proprio contributo tanto artisti di prima fascia della Francia del tempo,
quale quel Léon Dufourny che aveva avuto trascorsi in Sicilia negli anni rivoluzionari,
quanto pittori e incisori italiani spesso giunti in Francia proprio su impulso dei due
fratelli, i quali, dunque, proseguivano con ottimi risultati il proposito
¶{p. 204}di rendere la loro officina un vero e proprio centro della
prestigiosa scuola artistica romana. Fra tali uomini vi erano lo scultore Pietro
Cardelli, che nel dicembre 1802 veniva raccomandato dal ministro degli interni
Jean-Antoine Chaptal al Musée Central come «attaché à l’établissement des frères Piranesi»
[53]
, il pittore Tommaso Piroli, che fra 1804 e 1805 pubblicava in più volumi un
lavoro su Les Antiquités d’Herculanum edito appunto dai Piranesi
[54]
, e ancora l’ornamentista Turrini, richiesto a Parigi nella primavera del
1807 per le sue competenze nella tecnica decorativa della scagliola
[55]
.
La buona riuscita delle attività
della calcografia indusse i suoi responsabili ad avventurarsi anche in nuove iniziative
industriali. Così, grazie al decisivo supporto di un altro componente della famiglia
Bonaparte quale Giuseppe, essi istituirono una manifattura di vasi in terracotta a
Mortefontaine, nella Val d’Oise, dove proprio nei territori di proprietà del futuro re
di Spagna era stato scoperto un particolare tipo di terra rossa molto adatto alla
lavorazione artigianale
[56]
. Nel 1806, invece, lanciarono una rivista mensile, l’«Athenaeum ou Galerie
française des productions de tous les arts», nella quale erano pubblicate le immagini
dei monumenti dell’antichità allo scopo di rendere un servizio «à l’artiste comme à
l’homme du monde»
[57]
.
Tuttavia, nonostante i successi, i
Piranesi non riuscirono a trovare una duratura stabilità logistica per la loro impresa,
dato che in quegli anni la calcografia fu costretta più volte a cambiare la propria sede
parigina. Installatasi inizialmente presso l’hotel Bullion, in rue de l’Université, già
nel marzo 1802 dovette trasferirsi per lasciare i locali a disposizione del Ministero
della guerra e per questo traslocò nel prestigioso Collège de Navarre, sito sempre sulla
rive gauche, ma in rue ¶{p. 205}de la Montagne-Sainte-Geneviève. Da qui,
due anni più tardi, quando ormai era tramontato il sogno di istituire in quegli spazi
una Académie des Beaux-Arts, i due fratelli furono obbligati a cedere il posto alla
prestigiosa École Polytechnique e quindi a spostarsi nel vicinissimo Collège des
Grassins, posto nell’attigua rue des Amandiers. E va detto che questi spostamenti furono
tutt’altro che indolori per le casse dei Piranesi, tant’è che un rapporto ministeriale
del 1809 avrebbe riferito che «ces deux déplacements [...] leur coutèrent environ 25.000
francs, sans compter la perte de temps»
[58]
.
Iniziavano a intravedersi, dunque, i
primi problemi economici che di lì a breve avrebbero pesantemente gravato sul soggiorno
parigino dei due Piranesi e che, già nell’autunno 1803, li inducevano a chiedere con
insistenza ai loro debitori di saldare il pagamento dei lavori già consegnati,
suscitando per questo la reazione indispettita di uno dei più prestigiosi dei loro
acquirenti quale il vicepresidente della Repubblica italiana Melzi d’Eril
[59]
. Ma se negli anni del Consolato la situazione restò nel complesso fiorente,
le cose si aggravarono agli albori della stagione imperiale. Fra 1804 e 1805, infatti,
fu prima interrotta la società con il francese Durand e poi effettuata, su impulso di
Francesco, una serie di «dépenses extraordinaires», fra le quali il potenziamento della
manifattura di Mortefontaine e la fabbricazione di sculture in plastica poco richieste
dal mercato francese
[60]
.
La vera svolta, tuttavia, avvenne
solo nel novembre 1806, quando, in uno scenario che si faceva sempre più difficile, i
due fratelli interrompevano la loro collaborazione e si accordavano sul «partage de la
succession paternelle». Per loro, dunque, le strade si separavano e mentre Francesco, a
cui andarono i due terzi dell’eredità, continuò in Francia ¶{p. 206}la
gestione della calcografia, Pietro, dopo aver incassato la parte restante, preferì
seguire altri percorsi che lo avrebbero portato a far ritorno in patria, dove negli anni
dell’occupazione francese svolse ruoli amministrativi in qualità di segretario generale
del dipartimento di Roma.
Cosicché, ormai rimasto «unico
possessore» della calcografia, Francesco, nonostante l’ingente somma ereditata, si
sarebbe presto visto spalancare il baratro, che nel giro di pochi anni lo avrebbe
condotto sull’orlo della bancarotta imponendo, nell’estate del 1809, l’intervento in suo
soccorso del Ministero della pubblica istruzione. A causare quel drammatico declino di
un’attività che pur durante il Consolato aveva dato di sé prove tutt’altro che negative
concorsero circostanze diverse: dalla disastrosa gestione della contabilità esercitata
dal maggiore dei due fratelli alla clamorosa truffa subita ad opera di uno dei suoi
collaboratori romani, fino alla generale trasformazione dei gusti del mercato artistico
francese. Infatti, i funzionari ministeriali incaricati di redigere il rapporto
comunicavano che «Piranesi éprouva enfin le malheur d’être volé de plus de 40.000 francs
par un artiste romain qui avait longtemps joui de [sa] confiance» e soprattutto
sottolineavano come proprio il contesto parigino, per quanto inizialmente fiorente, a
lungo andare non avesse stimolato il successo di una calcografia che, invece, aveva
quale nucleo centrale dei propri lavori la riproduzione di bellezze artistiche
appartenenti ad altri contesti nazionali
[61]
.
Fatto sta che, sempre secondo il
rapporto ministeriale, «toutes ces causes réunies jetèrent Piranesi, privé de l’appui de
son frère et de son ancien associé, dans une gêne qui devint extrêmement sensible».
Così, ormai incapace di saldare i propri debiti e di garantire lo stipendio ai suoi
collaboratori, nel 1809 si trovò costretto a sospendere una parte consistente delle sue
attività, mentre solo pochi anni prima, «dans le temps de la grande activité de ses
établissements, il employait en ville jusqu’à 130 ouvriers». Per far fronte a questa
situazione i funzionari della pubblica istruzione suggerirono di «venir puisement au
secours et de
¶{p. 207}l’établissement principal de Piranesi et de
l’artiste lui-même», proponendo di «réunir ces collections à la chalcographie Impériale»
nella convinzione che «l’intérêt des arts et l’honneur national s’opposent à ce qu’on
laisse disperser et peut-être exporter à l’étranger une collection de planches qui a
fait époque dans l’histoire des arts». Nello specifico, il progetto prevedeva di saldare
i debiti di Piranesi attraverso i ricavi della vendita della manifattura di
Mortefontaine, oltre che, ovviamente, tramite un consistente investimento finanziario
del governo, il quale si sarebbe in cambio impossessato dei lavori della calcografia
facendoli in gran parte confluire al Musée Napoléon
[62]
.
Note
[43] I più importanti studi sulla Repubblica romana sono: M. Caffiero, La repubblica nella città del papa. Roma 1798, Roma, Donzelli, 2005; D. Armando, M. Cattaneo e M.P. Donato (a cura di), Una rivoluzione difficile. La Repubblica romana del 1798-1799, Pisa, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, 2000; M. Formica, La città e la rivoluzione: Roma 1798-1799, Roma, Isri, 1994. Seppur datato, resta fondamentale anche: V.E. Giuntella, La giacobina repubblica romana. 1798-1799, aspetti e momenti, Roma, Società romana di storia patria, 1950.
[44] «La Décade», 10 frimaio VIII (30/11/1799), p. 431.
[45] BNF, Calcographie Piranesi. Prospectus.
[46] Sulla figura del padre si rimanda a H. Focillon, Giovanni Battista Piranesi, a cura di M. Calvesi e A. Monferrini, Bologna, Alfa, 1918.
[47] Correspondance des Directeurs de l’Académie de France à Rome avec les surintendants des bâtiments, 1797-1804, Paris, Schemit, 1908, vol. 17, pp. 251-253.
[48] ANF, F/17, cart. 1024, dr. 6, f. 9.
[49] R. Caira Lumetti, La cultura dei Lumi tra Italia e Svezia. Il ruolo di Francesco Piranesi, Roma, Bonacci, 1990.
[50] «La Décade», 10 floreale VIII (30/04/1800), pp. 225-229.
[51] A.M. Rao, Esuli. L’emigrazione politica italiana in Francia (1792-1802), Napoli, Guida, 1992, p. 326.
[52] ANF, F/7, cart. 7733, dr. 1, ff. 32-35.
[53] G. Hubert, Les sculpteurs italiens en France sous la Révolution, l’Empire et la Restauration, 1790-1830, Paris, Boccard, 1964, pp. 122-126.
[54] T. Piroli, Les Antiquités d’Herculanum, Paris, Piranesi, 1804-1805, voll. 1-6.
[55] ANF, F/17, cart. 1021/A, dr. 16, f. 35.
[56] Mirra, Un’impresa culturale e commerciale, cit., pp. 161-182.
[57] Athenaeum, ou Galerie française des productions de tous les arts, Paris, Piranesi, 1806-1807.
[58] ANF, F/17, cart. 1058, dr. 19, Rapport du S. Piranesi, propriétaire d’un établissement de chalcographie à Paris, fait par Del Pozzo et Degerando (30/03/1809).
[59] C. Zaghi (a cura di), I carteggi di Francesco Melzi D’Eril duca di Lodi, Milano, 1961, vol. 5, p. 261.
[60] ANF, F/17, cart. 1058, dr. 19, Rapport du S. Piranesi, propriétaire d’un établissement de chalcographie à Paris, fait par Del Pozzo et Degerando (30/03/1809).
[61] Ibidem.
[62] Ibidem.