Sindacato e rappresentanze aziendali
DOI: 10.1401/9788815412324/c1
Ma l’ambito generale di una simile
rilevanza e le sue ragioni di fondo sono evidenti e possono essere anche qui rapidamente
enumerati. La ragione originaria è sicuramente ricavabile, assunta la natura di
associazioni non riconosciute dei vari gruppi sindacali, dal rinvio dell’art. 36, 1°
co., agli «accordi fra gli associati» come regola prima dell’ordinamento e
dell’amministrazione delle associazioni non riconosciute
[10]
. In virtù di tale rinvio l’analisi della disciplina del gruppo, cioè di un
¶{p. 21}fattore normativo autonomo, fornisce la base necessaria per
definire la valutazione giuridica dello stesso gruppo da parte del diritto statale: così
la sua qualificazione quale associazione autonoma o quale organo, di cui sopra si
diceva, con le relative conseguenze in ordine alla titolarità dei rapporti giuridici
conseguenti a tutta la sua attività esterna, specie contrattuale, al fondamento dei
poteri giuridici che in esse si esprimono; i rapporti del gruppo aziendale con quelli
superiori e con i singoli lavoratori aderenti ecc. Analogamente tale analisi assume
rilievo decisivo, sia pure indiretto, per la qualificazione secondo lo stesso diritto
positivo delle principali manifestazioni esterne dell’autonomia collettiva. Basti
ricordare che dall’organizzazione dei soggetti stipulanti dipende la formazione del
contratto collettivo, oltreché la concreta definizione dei suoi contenuti, che sono il
risultato di un procedimento deliberativo regolato dall’ordinamento del gruppo,
rilevante per l’ordinamento statale in forza del già ricordato art. 36, 1° co. Così il
problema dell’efficacia del contratto nei riguardi sia delle organizzazioni contraenti
sia dei singoli lavoratori si configura in modo diverso a seconda della portata
attribuita al vincolo giuridico caratterizzante il gruppo. Si tratta, com’è noto, di una
questione a lungo discussa per i sindacati dei lavoratori e dei datori di lavoro, e che
si è ripresentata di recente in modo particolare per l’attività contrattuale informale
delle nuove figure organizzative aziendali, assemblea e delegati, di cui si dirà oltre.
In definitiva l’attività esterna sindacale, specie di contrattazione, può ben dirsi
legata alla vita interna dell’organizzazione dal suo momento formativo a quello
applicativo, e corrispondentemente il significato normativo di tale attività dipendente
nella stessa misura dal diritto interno del gruppo.
Questi accenni sono sufficienti per
indicare come l’indagine qui intrapresa, nonostante le sue limitazioni, si possa
collocare a pieno titolo nell’ampia tematica della formazione extralegislativa del
diritto del lavoro, oggetto di crescente attenzione nella più recente dottrina
[11]
. Simili ¶{p. 22}affermazioni rimangono sostanzialmente
esatte, ai fini qui rilevati, nonostante la recente disciplina introdotta dalla legge 20
maggio 1970, n. 300 (Statuto dei diritti dei lavoratori) sull’attività sindacale in
azienda. Infatti, la legge in questione conferma pienamente il principio che la
definizione dell’ordinamento e della forma delle «rappresentanze» tutelate nello
svolgimento di tale attività nei luoghi di lavoro rientra nella competenza degli stessi
sindacati (di cui il provvedimento ribadisce esplicitamente la natura associativa: vedi,
ad esempio, artt. 14 e 19). Il loro valore richiede invece subito una precisazione
riguardo alle forme organizzative sopra menzionate sorte dalle recenti esperienze di
lotte aziendali. Le caratteristiche strutturali di queste figure, come si vedrà più
avanti, sono tali infatti da escludere a prima vista la possibilità di farle rientrare
non solo nello schema dell’associazione non riconosciuta, ma anche nel genere di
associazione più latamente inteso. Tuttavia, a parte una più esatta verifica della loro
natura giuridica, che qui non interessa direttamente, la conoscenza della loro realtà
istituzionale si imposta di necessità secondo linee metodologiche simili a quelle finora
indicate, non appena esse assumano un minimo di consistenza e di stabilità sufficiente a
farle rilevare come strutture collettive organizzate. Non dissimili saranno, in special
modo, i fattori da considerare per definire i modelli normativi cui esse si riconducono,
nonché il loro concreto operare nella prassi. E non è da escludere che a certe
condizioni, da precisare in seguito, l’analisi di tali fattori valga non solo per la
conoscenza interna delle ¶{p. 23}forme organizzative in questione, ma
altresì per la loro valutazione secondo il diritto statale, di fronte al quale le stesse
forme, e specialmente la loro attività esterna, acquisiscano diretta rilevanza.
Una seconda precisazione riguarda il
rilievo da attribuire per l’analisi giuridica ai diversi fattori, fra loro eterogenei,
che si è detto prima di voler tenere presenti nell’indagine sui modelli organizzativi
sindacali in azienda e sul loro modo concreto di operare. Alcuni di questi fattori,
quali in particolare gli statuti, i regolamenti sociali e le delibere dei vari organi
competenti, costituiscono le fonti primarie della disciplina di ogni associazione e sono
quindi essenziali per fornire il quadro di riferimento fondamentale della ricerca, sia
volendo rimanere nella prospettiva interna dell’ordinamento del gruppo, sia ponendosi
nell’ottica del diritto statale. Le altre fonti di ricerca sopra indicate (dibattiti
congressuali, convegni organizzativi, posizioni della stampa sindacale e, in posizione
ben distinta, prassi associative) si differenziano palesemente da quelle appena
definite, perché non sono tipicamente annoverate dalle associazioni non riconosciute, e
in genere dai gruppi organizzati, come fonti del proprio diritto interno. L’analisi di
tali fattori interessa tuttavia la presente indagine e l’attenzione del giurista almeno
in un duplice ambito.
Anzitutto essi vengono in rilievo
nelle ipotesi in cui le fonti normative sopra indicate forniscano una disciplina solo
sommaria, lacunosa, o addirittura contraddittoria delle strutture in questione. Si
tratta di casi normali già per i livelli più elevati, nazionali e provinciali, delle
associazioni sindacali, nei quali statuti, regolamenti e delibere dei vari organi
decisionali forniscono quasi sempre una immagine della realtà associativa del tutto
parziale e generica; mentre a questi elementi fa riscontro una mole ben più ricca ed
illuminante di dati documentali e di fatto che non arrivano ad esprimersi in delibere
formali. Una simile caratteristica diventa ancora più marcata negli organismi sindacali
periferici, specie aziendali. Per la realtà dinamica in cui questi operano, per la
brevità della loro tradizione, e per la loro posizione liminale fra le collettività
diffuse e i gruppi organizzati, ¶{p. 24}essi rivelano tratti di
normativa formalizzata appena abbozzati o addirittura pressoché inesistenti. L’indagine
confermerà largamente per questi organismi l’ipotesi, avanzata per i vari gruppi
sindacali, che essi si presentano con le caratteristiche di «sistemi normativi molto
semplici, i quali affidano la propria azione all’organizzazione più che alla
normazione», essendo dotati di organizzazioni anche ragguardevoli, ma di scarsa
produzione normativa in ordine alle medesime
[12]
. Per essi è anzi la prassi ad assumere un rilievo del tutto prioritario, in
quanto gli stessi elementi documentali dianzi menzionati risultano sovente utilizzabili
solo in via marginale, per lo scarso formalismo adottato nella loro attività associativa
interna, che, oltre ad essere in sé ridotta, raramente si esprime in documenti scritti,
o perché tali documenti non sono conservati.
In secondo luogo la considerazione
degli elementi in questione, in particolare della prassi, può risultare necessaria per
la comprensione anche giuridica della realtà associativa quando la disciplina formale
del gruppo non trovi completa corrispondenza nei fatti. Si tratta pure qui di ipotesi
nient’affatto teoriche, specie per i gruppi periferici in esame, che trovano origine
nelle medesime ragioni sopra accennate, nonché nella contraddittorietà delle posizioni
ideali che ispirano tali strutture organizzative, e che riguardano sovente gli stessi
tratti fondamentali della normativa formale. Si verifica in ciò una tendenza costante
nell’attività e nella struttura di questi organismi, a «straripare dalle forme legali
che essi stessi si danno» riducendole a un mero schema di riferimento o addirittura
vanificandone del tutto l’effettività
[13]
.¶{p. 25}
La rilevanza dei fattori indicati è
diversa e richiede differenti giustificazioni in ciascuno degli ambiti cui si è fatto
cenno. Nel primo ambito il ricorso a tali fattori appare determinante in sede
interpretativa, per portare alla luce tutti i significati della scarna disciplina
formale del gruppo, chiarendone l’iter formativo ideale e la realtà
di fatto da cui emerge, illuminando i nessi fra le varie disposizioni di cui si compone,
sviluppandone le indicazioni, sovente implicite o non del tutto coscienti alle stesse
parti, in coerenza con le direttive generali politiche e organizzative
dell’associazione. La correttezza di un simile ricorso è sicura, sia assumendo, nella
prospettiva del diritto statale, il fondamento contrattuale dell’associazione e quindi
richiamandosi alla possibilità di valutare il regolamento contrattuale alla stregua di
tutti gli elementi, documentali e di fatto (ivi compreso il comportamento complessivo
delle parti) atti a chiarirne il significato (artt. 1362 e 1366), sia considerando la
natura normativa della disciplina in esame, secondo un’ottica più aderente ai caratteri
strutturali dell’ordinamento sindacale
[14]
.
¶{p. 26}
Note
[10] L’appartenenza dei sindacati in generale, e quindi eventualmente delle loro articolazioni interne, al tipo di associazione non riconosciuta può ritenersi acquisita nel nostro ordinamento positivo. Quanto al rinvio dell’art. 36, I co. sopra citato, l’incertezza del suo significato riguarda soprattutto il punto se esso sia illimitato ovvero trovi limite in una normativa statale da ritenersi applicabile ai rapporti endoassociativi non solo in mancanza, ma anche contro espresse disposizioni dell’autonomia associativa (in particolare, una normativa diretta a garantire certe posizioni di libertà del singolo e il principio di democraticità all’interno del gruppo). Per altre indicazioni sull’argomento vedi ancora il mio L’organizzazione sindacale, I, cit., pp. 13 sgg.
[11] Si allude soprattutto alla ricerca sull’attività di conciliazione e di arbitrato nella disciplina interconfederale dei licenziamenti individuali nell’industria, condotta a cura dei gruppi di studio delle Università di Bari e di Bologna (I licenziamenti nell’industria italiana, Bologna, 1968, con introduzione di Romagnoli e prefazione di Giugni e Mancini). Tale ricerca, annunciata come la prima di una serie (di cui la presente stessa fa parte), ha già dato origine a un ampio dibattito dottrinale: cfr., ad esempio, Tarello, In margine ad una ricerca empirica, in «Rivista trimestrale di diritto e procedura civile», 1968, pp. 1095 sgg.; Lombardi-Vallauri, Sulla formazione extralegislativa del diritto, in «Rivista internazionale di filosofia del diritto», 1968, pp 430 sgg. e, più in generale, i numerosi interventi alle giornate di studio sul tema tenutesi ad Ancona nello stesso 1968, i cui Atti sono nel quaderno n. 1, de «Il Foro italiano», 1970.
[12] M. S. Giannini, Gli elementi degli ordinamenti giuridici, in «Rivista trimestrale di diritto pubblico», 1958, pp. 235, 237. Questa caratteristica delle organizzazioni in esame si manifesta persino nei rapporti attinenti alle attività principali delle diverse strutture sindacali (contrattazione, lotta collettiva, ecc.), cui si darà qui prevalente attenzione, anche se a tale riguardo un minimo di disciplina formalizzata è di solito riscontrabile a tutti i livelli associativi.
[13] Così Giugni, Introduzione allo studio dell’autonomia collettiva, Milano, 1960, specialmente pp. 86, 106 sgg., 138: per questo la stessa legalità propria di tali organizzazioni «deve essere guardata come un fenomeno tendenziale, un’incrostazione che viene a sedimentarsi gradualmente, ma lascia larghi margini di incertezza all’osservatore, perché, per l’appunto, essa è sovente un processo, non una realtà compiuta e consolidata» (p. 106). Di qui anche il rilievo di come sia «assolutamente fuori di luogo una pretesa di assolutezza sistematica» «di fronte a realtà organizzative a struttura imperfetta come sono quelle del diritto dei privati» (p. 106).
[14] Più grave problema è definire se alle prassi in esame possa riconoscersi efficacia integrativa della disciplina formale del gruppo in qualità di usi normativi o di usi negoziali. La soluzione è resa più incerta dalle note divergenze sui caratteri distintivi di simili usi e sul loro modo di operare (per cui basti rinviare, fra gli ultimi contributi, a Pavone La Rosa, voce «Consuetudine (usi normativi e negoziali)», in Enciclopedia del diritto, IX, Milano, 1961, pp. 513 sgg.; N. Coviello jr., In margine all’art. 1340 c.c., in «Rivista trimestrale di diritto e procedura civile», 1963, pp. 501 sgg.; Cataudella, Sul contenuto del contratto, Milano, 1966, pp. 150 sgg.; Rodotà, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1969, pp. 67 sgg.). Una risposta affermativa al quesito appare peraltro a prima vista difficile. A parte che le forme organizzative dei gruppi sindacali periferici rivelano un processo così rapido di evoluzione da rendere improbabile la formazione al loro interno di regole costanti, uniformi e regolari come richiesto per la consuetudine secondo il diritto statale, l’ostacolo forse maggiore ad ammettere la possibilità sopra ipotizzata, sempre per il diritto statale, sta nel modo tipico di formazione della volontà associativa da esso prevista (in particolare, delibera assembleare secondo il principio di maggioranza), che sembra esclusivo. In realtà l’ammissione di usi con valore normativo, formantisi entro il gruppo e atti a regolarne i rapporti interni sembra potersi giustificare pienamente solo considerando lo stesso gruppo non come insieme di contraenti, ma come ordinamento giuridico (vedi per la distinzione in fine al paragrafo). Anche a questo proposito dunque la prospettiva interna all’ordinamento sindacale si dimostra la più adatta a cogliere in modo pieno la complessità del fenomeno esaminato. Quanto agli usi negoziali, infine, la norma ad essi relativa (art. 1340 c.c.), sembra dettata avendo riguardo a ipotesi ben diverse da quelle in esame, quali i precedenti contrattuali individuali o di certi mercati, che mal si adattano di per sé a comprendere l’integrazione della disciplina qui in questione.