Sindacato e rappresentanze aziendali
DOI: 10.1401/9788815412324/c1
Essa non pretende di fornire una
storia esauriente delle strutture sindacali aziendali e neppure dell’atteggiamento
¶{p. 16}sindacale in materia, proprio in quanto tiene conto solo di dati
provenienti dalle organizzazioni menzionate, per di più scelti fra quelli elaborati ai
livelli più alti del sindacato, riservando di contro attenzione marginale ai contributi
periferici, all’attività sindacale concreta che ha accompagnato lo sviluppo delle
diverse concezioni ideali, nonché ai fattori esterni che le hanno influenzate. Tuttavia
una simile analisi dovrebbe essere sufficiente a fornire gli elementi fondamentali della
storia ideale dell’istituto in questione, quale si è andata sviluppando all’interno
della CISL negli ultimi 15 anni, dalle sue origini fino alle più recenti vicende.
Si cercherà in particolare di far
emergere le principali caratteristiche strutturali e funzionali con cui l’istituto è
stato pensato e le motivazioni di fondo che lo hanno ispirato e che ne hanno determinato
l’evoluzione nel tempo, la collocazione attribuitagli all’interno del sindacato, i
poteri riconosciutigli, nonché i rapporti fra di esso, le altre istanze sindacali e la
generalità dei lavoratori. Da una simile osservazione si potranno cogliere altresì i
legami fra il modello normativo della sezione aziendale proposto dalla CISL e la
generale concezione sindacale di questa confederazione, valutandone la coerenza interna
e offrendo una spia sia pure parziale dell’insieme di valori e di scelte politiche che
stanno dietro alle scelte organizzative di volta in volta adottate. L’indagine storica
della prima parte del saggio non dovrebbe avere un significato circoscritto all’ambito
di osservazione prescelto, ma rivestire valore esemplare, almeno nei tratti di fondo,
per l’ideologia dell’intero schieramento sindacale italiano in ordine all’azione
sindacale in azienda. È noto infatti come questa tematica abbia avuto proprio nella CISL
la sua prima elaborazione teorica e per certi versi gli sviluppi più rigorosi, che si
sono posti comunque per oltre un decennio al centro dell’attenzione sindacale quali
stimoli dialettici nei riguardi delle altre organizzazioni. Si può dire anzi che la
presenza del sindacato in azienda e i suoi rapporti con la CI siano stati fra gli
argomenti di dibattito più serrato fra le due maggiori confederazioni, con risultati
sempre rigorosamente ¶{p. 17}verificati e talora sostanzialmente vicini.
Il rilievo vale in particolare per l’evoluzione riscontratasi nell’ultimo periodo
all’interno della FIM, che si è determinata in continuo confronto con gli altri
sindacati metalmeccanici, specialmente con la FIOM-CGIL, e con la pratica unitaria
dell’azione di fabbrica. Il che ha permesso di attuare analisi e scelte politiche in
larga misura unitarie e con valore pilota nei riguardi dell’intero schieramento
sindacale.
Nella seconda parte del saggio
l’attenzione si sposta dal modello normativo dell’istituto precostituito
dall’associazione alla prassi associativa propria di alcune sezioni sindacali della
stessa FIM-CISL, nell’intento di verificare empiricamente come il modello proposto trovi
in esse attuazione. La ricerca si basa su dati raccolti nel periodo fra il dicembre 1968
e il luglio 1969 e riguarda in particolare le sezioni aziendali FIM relative a 34 unità
produttive (di 31 aziende) situate in quattro province del nord-Italia: soprattutto
Milano, quindi Brescia, Treviso e Pordenone
[8]
.
L’osservazione si è rivolta di
proposito non solo a zone di avanzato sviluppo sindacale, ma anche, al loro interno, ad
aziende ove le strutture del sindacato (le sezioni, peraltro con le precisazioni già
fatte) sembravano pervenute a un maggior livello di evoluzione organizzativa e
funzionale (per il tasso di sindacalizzazione complessiva e per gli iscritti della FIM
nelle province e nelle aziende in esame, entrambi più alti delle medie nazionali, vedi
le tabelle in appendice). Si è cercato di cogliere le situazioni presumibilmente più
vicine all’attuazione perfetta del modello normativo e insieme più adatte a suggerire
eventuali linee di sviluppo significative per l’intera organizzazione e per le aziende
meno avanzate. Se a ciò si aggiungono le considerazioni sopra svolte sul carattere
unitario delle recenti ¶{p. 18}politiche e prassi sindacali in materia,
specialmente nell’ambito dei metalmeccanici, i risultati dell’indagine si arricchiscono
anche qui di valore paradigmatico per comprendere le tendenze generali della presenza
sindacale in azienda. Tanto più che gran parte delle aziende considerate rivestono una
posizione di rilievo nei rispettivi ambienti sindacali e costituiscono un banco di prova
particolarmente significativo per l’attuazione e la verifica di politiche comuni ai due
maggiori sindacati. Per tale ragione dovrebbero acquistare tanto maggiore interesse gli
accenni, disseminati nel corso della ricerca, a possibili confronti dei casi concreti
esaminati con valutazioni interpretative generali e con modelli teorici di riferimento.
In vista dell’obiettivo perseguito,
la scelta delle aziende più significative per la ricerca, operata sulla base di alcune
interviste preliminari con gli operatori sindacali responsabili delle province e delle
zone in questione, ha tenuto conto soprattutto delle caratteristiche proprie della
organizzazione della FIM nelle varie aziende (cioè della loro efficienza, grado di
sviluppo e modi di funzionamento) e solo in via secondaria della più generale situazione
sindacale in cui si inserivano. Naturalmente alcuni dei connotati più importanti di tale
situazione (composizione delle CI nelle stesse aziende, intensità dell’attività
contrattuale e di sciopero, numero degli iscritti ai sindacati ecc.) sono emersi nel
corso dell’indagine di merito e saranno in seguito oggetto di valutazione, specialmente
nei loro rapporti con le caratteristiche istituzionali rilevate nelle singole sezioni
sindacali. Questa ricognizione preliminare del campo di ricerca è stata resa
relativamente facile dallo sviluppo globalmente scarso delle sezioni sindacali di
azienda, anche nelle zone considerate, che ha permesso di identificare rapidamente, e
con risultati concordanti fra i vari intervistati, tutti gli organismi aziendali dotati
di una struttura appena stabilmente consolidata ragguagliabile al modello normativo.
Anzi, come si vedrà in seguito, nelle situazioni analizzate sono risultate comprese non
solo sezioni sufficientemente sviluppate da potersi configurare con sicurezza quali
entità organizzative autonome, ma anche ¶{p. 19}ipotesi (forse la
maggioranza) difficilmente considerabili come tali. Il numero limitato delle aziende
risultate potenzialmente interessanti la ricerca ha reso inutile una loro distinzione a
seconda delle diverse caratteristiche strutturali, quali il tipo e i modi di produzione,
la composizione della forza lavoro, ecc. (una distinzione peraltro neppure necessaria
nell’economia dell’indagine, data l’esclusiva attenzione di questa al grado di sviluppo
dell’organizzazione sindacale). Salvo ritornare più avanti su alcune di queste
caratteristiche, basti dire per ora — ed è già un dato rilevante — che le unità
produttive e le aziende prese in esame sono risultate quasi tutte di grandi dimensioni
(7 comprese fra 500 e 1000 dipendenti; 14 fra 1000 e 2000; 13 con oltre 2000
dipendenti). Come la prima parte dell’indagine, anche l’analisi empirica di queste
sezioni si fonda prevalentemente su dati desunti dall’interno delle organizzazioni in
esame, attraverso interviste aperte, singole e di gruppo. Il campione degli intervistati
è stato scelto in misura pressoché uguale fra soggetti aventi responsabilità ufficiali
nelle strutture sindacali aziendali, nelle commissioni interne e nei sindacati
provinciali interessati, e fra semplici attivisti, talora legati all’associazione da un
vincolo di partecipazione appena più intenso di un iscritto o addirittura in polemica
con le direttive ufficiali del sindacato. Questa scelta ha permesso di rilevare le
prassi associative in base a informazioni provenienti da prospettive almeno in parte
diverse, tali da permettere un raffronto più articolato con l’altro termine di paragone,
il modello normativo dell’istituto. È stato pure possibile riscontrare dagli stessi
soggetti prese di posizione di carattere valutativo sul significato dell’istituto e
sulle sue prospettive di evoluzione, tanto più interessanti in quanto largamente
concordi su alcuni punti centrali, nonostante le diverse posizioni degli
intervistati.¶{p. 20}
3. Fonti regolamentari e prassi nell’ordinamento sindacale.
Prima di procedere nel merito
dell’argomento giova esplicitare fin d’ora alcune precisazioni metodologiche relative
all’oggetto della ricerca intrapresa, necessarie a giustificarne lo svolgimento
soprattutto da parte di un giurista. Va detto in primo luogo che essa si muove in una
prospettiva prevalentemente interna all’ordinamento sindacale non solo per le fonti
normative e di prassi prese in esame, ma perché analizza le diverse strutture
organizzative indicate alla stregua della disciplina e della prassi sindacale in sé
considerate, occupandosi solo in modo marginale della loro qualificazione secondo il
diritto statale. Piu precisamente la rilevanza a tali fini dei risultati raggiunti con
la presente indagine sarà indicata solo per accenni e per alcuni suoi aspetti, relativi
soprattutto alla qualificazione dei gruppi sindacali aziendali come associazioni
autonome o come mere suddivisioni interne dei raggruppamenti superiori, rinviando per
ulteriori svolgimenti alle considerazioni esposte in un altro mio studio
[9]
.
Ma l’ambito generale di una simile
rilevanza e le sue ragioni di fondo sono evidenti e possono essere anche qui rapidamente
enumerati. La ragione originaria è sicuramente ricavabile, assunta la natura di
associazioni non riconosciute dei vari gruppi sindacali, dal rinvio dell’art. 36, 1°
co., agli «accordi fra gli associati» come regola prima dell’ordinamento e
dell’amministrazione delle associazioni non riconosciute
[10]
. In virtù di tale rinvio l’analisi della disciplina del gruppo, cioè di un
¶{p. 21}fattore normativo autonomo, fornisce la base necessaria per
definire la valutazione giuridica dello stesso gruppo da parte del diritto statale: così
la sua qualificazione quale associazione autonoma o quale organo, di cui sopra si
diceva, con le relative conseguenze in ordine alla titolarità dei rapporti giuridici
conseguenti a tutta la sua attività esterna, specie contrattuale, al fondamento dei
poteri giuridici che in esse si esprimono; i rapporti del gruppo aziendale con quelli
superiori e con i singoli lavoratori aderenti ecc. Analogamente tale analisi assume
rilievo decisivo, sia pure indiretto, per la qualificazione secondo lo stesso diritto
positivo delle principali manifestazioni esterne dell’autonomia collettiva. Basti
ricordare che dall’organizzazione dei soggetti stipulanti dipende la formazione del
contratto collettivo, oltreché la concreta definizione dei suoi contenuti, che sono il
risultato di un procedimento deliberativo regolato dall’ordinamento del gruppo,
rilevante per l’ordinamento statale in forza del già ricordato art. 36, 1° co. Così il
problema dell’efficacia del contratto nei riguardi sia delle organizzazioni contraenti
sia dei singoli lavoratori si configura in modo diverso a seconda della portata
attribuita al vincolo giuridico caratterizzante il gruppo. Si tratta, com’è noto, di una
questione a lungo discussa per i sindacati dei lavoratori e dei datori di lavoro, e che
si è ripresentata di recente in modo particolare per l’attività contrattuale informale
delle nuove figure organizzative aziendali, assemblea e delegati, di cui si dirà oltre.
In definitiva l’attività esterna sindacale, specie di contrattazione, può ben dirsi
legata alla vita interna dell’organizzazione dal suo momento formativo a quello
applicativo, e corrispondentemente il significato normativo di tale attività dipendente
nella stessa misura dal diritto interno del gruppo.
Note
[8] Le sezioni sindacali considerate si riferiscono alle seguenti aziende: Milano: Alfa Romeo (di Milano e di Arese), Asgen, Autelco, Borletti, Breda (Siderurgica), Candy, CGE, CGS, Faema, Falck (Unione, Concordia, Vittoria), Fiar, Fiat, IBM (Milano), Innocenti, Ercole Marelli, Magneti Marelli (A), Salmoiraghi, Sit-Siemens; Brescia: ATB, Beretta, Breda Meccanica, Falck, Franchi Luigi, Glisenti, Marzoli, OM; Pietra, S. Eustacchio; Treviso: Zoppas, Simmel; Pordenone: Rex.
[9] Si tratta del già citato, L’organizzazione sindacale, I.
[10] L’appartenenza dei sindacati in generale, e quindi eventualmente delle loro articolazioni interne, al tipo di associazione non riconosciuta può ritenersi acquisita nel nostro ordinamento positivo. Quanto al rinvio dell’art. 36, I co. sopra citato, l’incertezza del suo significato riguarda soprattutto il punto se esso sia illimitato ovvero trovi limite in una normativa statale da ritenersi applicabile ai rapporti endoassociativi non solo in mancanza, ma anche contro espresse disposizioni dell’autonomia associativa (in particolare, una normativa diretta a garantire certe posizioni di libertà del singolo e il principio di democraticità all’interno del gruppo). Per altre indicazioni sull’argomento vedi ancora il mio L’organizzazione sindacale, I, cit., pp. 13 sgg.