Lavinia Bifulco, Maria Dodaro (a cura di)
Quale welfare dopo la pandemia?
DOI: 10.1401/9788815412003/c7
In una situazione in cui moltissimi cittadini si sono trovati in condizioni di assenza di reti di supporto, di carenza di reddito e di grande difficoltà a svolgere le più naturali azioni di vita quotidiana, sono emersi con grande chiarezza pregi, difetti e lacune delle politiche sociali e sanitarie italiane, specie per i più vulnerabili. Nello specifico è emersa la grande frammentazione e debolezza delle politiche di contrasto alla povertà, che storicamente in Italia sono caratterizzate da categorialità, discrezionalità e inefficienza tali da non assicurare la garanzia di un diritto al reddito per tutti i poveri, a differenza di quanto avviene nella maggioranza dei paesi europei. Oltre alle gravi conseguenze per la salute, infatti, la pandemia da Covid-19, specialmente in seguito al lockdown di molte attività economiche, ha generato un
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Se da un lato nel febbraio 2020 il RDC era entrato da troppo poco tempo in vigore per poter costituire un argine strutturale all’incremento della povertà e della vulnerabilità sociale, dall’altro se questa misura di universalismo selettivo non fosse stata presente, l’incremento della povertà in Italia sarebbe stato molto più significativo, come abbiamo mostrato nelle pagine precedenti. Analogamente, anche le misure emergenziali hanno costituito un tampone temporaneo ma utile nel momento in cui la sospensione di molte attività economiche ha determinato il peggioramento delle condizioni economiche per tanti lavoratori.
Se in conclusione guardassimo al periodo della pandemia come a uno stress-test per le politiche di contrasto alla povertà, l’evidenza che si potrebbe trarre è che misure di universalismo selettivo andrebbero confermate e rafforzate. Purtroppo invece il governo ha deciso di chiudere l’esperienza del RDC e di sostituirlo a partire dal gennaio 2024 con una misura nuovamente categoriale, un deciso passo indietro nell’evoluzione del welfare state italiano. Ciò avviene tra l’altro proprio in un momento in cui l’Unione Europea sembra andare in direzione esattamente opposta, prestando più che mai attenzione alle politiche di reddito minimo e indicandole, tramite diverse raccomandazioni adottate tra settembre 2022 e marzo 2023 da Commissione, Consiglio e Parlamento europeo, come uno strumento fondamentale nel raggiungimento dell’obiettivo strategico di riduzione di 15 milioni di persone a rischio di povertà ed esclusione entro il 2030.

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Note