Quale welfare dopo la pandemia?
DOI: 10.1401/9788815412003/c7
- un’elevata diffusione, cioè un’incidenza della popolazione e delle famiglie al di sotto della soglia di povertà – comunque venga definita – ampiamente superiore alla media europea (nel 2019 20,1% vs 16,5%) e a elevata persistenza (nel 2019 14,1% vs 10,7%);
- un’elevata eterogeneità territoriale, con alta incidenza nel Mezzogiorno, che è una delle aree maggiormente colpite a livello europeo, e molto contenuta nel Nord, tra le più basse (Campania con il 37,1% vs Emilia-Romagna con 7,3%, nessun altro paese europeo mostra un’oscillazione così ampia, Eurostat 2022);
- una distribuzione del rischio di povertà che diminuisce linearmente al crescere dell’età, quindi un rischio maggiore per i minori di 18 anni (24,5%) e un rischio minore per gli anziani ultra 65enni (16,2%, Eurostat 2019);
- una forte caratterizzazione familiare della povertà, con un rischio nettamente crescente al crescere del numero di componenti, in particolare quando vi sono più minori. Se l’incidenza della povertà totale in Italia nel 2019 è stata¶{p. 128}del 20,1%, quando sono presenti 3 o più minori nel nucleo familiare sale al 30%;
- una elevata diffusione della in-work poverty, cioè della povertà familiare nonostante la presenza di persone regolarmente occupate. Secondo i dati Eurostat (2021), in Italia l’11,5% di tutti gli occupati è in questa condizione, ma aumenta nel caso di chi è impiegato con un contratto a termine (21,5%, dati Eurostat 2021). I dati Istat sulla povertà assoluta (2021) ci segnalano invece che a fronte di un 7% di occupati in tale condizione, tra chi ha un’occupazione di tipo operaio ben il 13,3% si ritrova in povertà assoluta;
- infine, ed è un aspetto che si riscontra in quasi tutti i paesi europei, le persone di nazionalità non italiana scontano un rischio molto più elevato di povertà (31,6%, Eurostat 2019).
3. La pandemia: un evento che ha acuito le caratteristiche di fondo del regime di povertà italiano
La pandemia è stata un evento
(relativamente) inaspettato che ha colpito duramente gli equilibri sociali ed economici
in tutto il mondo. Per quanto riguarda la povertà, l’Italia è stata particolarmente
colpita sia per ragioni congiunturali che per ragioni strutturali. Per il primo aspetto,
come noto, siamo stati il primo paese, a parte la Cina, a essere investito
dall’emergenza, che è stata quindi affrontata senza protocolli consolidati o esperienze
straniere alle quali riferirsi. È risultata evidente l’impreparazione del paese a
gestire eventi di tale gravità, un’impreparazione che è derivata però dal progressivo
indebolimento nei decenni di ampie aree di policy: la sanità in
primo luogo, ma anche la sfera socioassistenziale, l’housing, i
trasporti ecc. (vedi i capitoli di Bifulco, Polizzi e Turri; Cela; Caselli, De Angelis e
Giullari in questo volume). In secondo luogo, unico paese insieme alla Grecia, l’Italia
non aveva ancora recuperato gli effetti della crisi finanziaria del 2008-2009 e quella
dei debiti sovrani del 2011-2013 in termini di calo del reddito delle famiglie e di
incidenza della povertà. All’inizio del 2020, insomma, ¶{p. 129}vi era
un’ampia fascia della popolazione in condizione di fragilità, perché povera o perché in
un equilibrio instabile (lavoro precario, famiglie monoreddito ecc.). Il PIL registrò un
calo enorme – il più ampio mai registrato nel dopoguerra – che venne recuperato dopo 6
trimestri, ma dal nostro punto di vista è rilevante il fatto che l’impatto sui
lavoratori non è stato affatto uniforme [Brandolini 2022]. Il calo dell’occupazione, che
ha raggiunto il suo massimo a giugno 2020, ha colpito in modo sproporzionatamente
maggiore i lavoratori con contratti a termine, che tra febbraio e giugno sono diminuiti
del 14,4% contro il 2,5% dei dipendenti a tempo indeterminato
[ibidem, 185]. Si è trattato soprattutto di giovani, la cui
occupazione è diminuita del 9,2%, e di donne (–5,4%). Questi effetti della pandemia sul
reddito si sono scaricati su una situazione sociale già fragile, con ampie fasce della
popolazione vulnerabili e che quindi ne hanno immediatamente risentito [Busilacchi e
Luppi 2022].
Dal punto di vista dell’andamento
della povertà assoluta
[5]
possiamo osservarne l’evoluzione nei primi due anni della pandemia (2020 e
2021) in quanto nel momento in cui scriviamo non sono ancora disponibili i dati per il
2022. All’interno di un trend di crescita cominciato con la crisi del 2008 che aveva
portato l’incidenza della povertà assoluta dal 3 all’8,4%, e che solo nel 2019 aveva
mostrato un calo al 7,7%, la pandemia ha causato una crescita immediata della povertà
assoluta nel 2020 di 1,7 punti percentuali, corrispondente a oltre 1 milione di
individui, un’incidenza rimasta stabile nel 2021. In totale, quindi, in Italia 5,6
milioni di individui non dispongono delle risorse necessarie per condurre una vita
dignitosa. L’aspetto forse ¶{p. 130}più sorprendente è stato il
fortissimo aumento nelle regioni settentrionali, storicamente meno colpite: in
particolare nel Nord-Ovest l’incidenza è passata dal 6,8 al 10,1%, un valore superiore
alla media nazionale e non distante da quella registrata nel Mezzogiorno. Questo effetto
inatteso dimostra chiaramente l’esistenza, anche e soprattutto al Nord, di un’ampia area
di individui e famiglie caratterizzati da un equilibrio reddituale particolarmente
precario, che la crisi indotta dalla pandemia ha messo immediatamente in crisi
[6]
. Si tratta di una circostanza coerente con le caratteristiche del regime di
povertà italiano, soprattutto per quanto riguarda la diffusione di contratti di lavoro
precari e la fragilità della protezione del reddito dei lavoratori. È interessante
notare come, nel primo anno di pandemia, la povertà tra le famiglie con almeno un minore
sia cresciuta del 27-28% nel Centro-Nord (dall’8,9 all’11,5%) e «solo» del 7% nel
Mezzogiorno (dal 12 al 13%), dove evidentemente l’area della povertà potenziale era già
sostanzialmente satura, mentre nel resto del paese vi era – e vi è – un’ampia fascia di
instabilità. Nel Mezzogiorno, addirittura, la povertà nelle famiglie con 2 o più minori
è diminuita, come effetto presumibilmente del RDC che è stato percepito soprattutto
dalle famiglie residenti nelle regioni meridionali. Lo stesso vale probabilmente per le
famiglie composte da soli stranieri, per le quali nel Mezzogiorno la povertà è scesa del
13% (dal 36 al 32%) mentre è cresciuta al Centro-Nord, e per le famiglie con almeno un
anziano, leggermente diminuite nel Mezzogiorno e cresciute al Centro-Nord. Già nel 2021,
però, si è tornati all’assetto precedente alla pandemia, con una diminuzione sensibile
al Nord, soprattutto nel Nord-Ovest (dal 10,1 all’8%), e una crescita nel Centro (dal
6,6 al 7,3%) e nel Sud (dal 11,7 al 13,2%), ma non nelle Isole. Evidentemente nelle
regioni settentrionali l’attività economica ha ripreso rapidamente vitalità, mentre nel
Sud probabilmente è venuto meno l’effetto dei trasferimenti monetari straordinari
erogati nel 2020.¶{p. 131}
Se osserviamo l’altro elemento
tipico del regime di povertà italiano, la povertà delle famiglie nonostante la presenza
di persone occupate (in-work poverty) [Gruppo di lavoro sugli
interventi e le misure di contrasto alla povertà lavorativa in Italia 2021], vediamo di
nuovo che l’impatto della pandemia è stato particolarmente evidente nelle regioni
settentrionali. Se in generale vi è stato un aumento dell’incidenza dal 5,5 al 7,2%
(+33%), nel Nord l’incremento è stato dal 5,3 al 7,9% (+49%), mentre nel Mezzogiorno la
crescita è stata molto più contenuta (+13%, dal 6,7 al 7,6%): nel 2020 si registrava una
maggiore incidenza di in-work poverty nel Nord rispetto al
Mezzogiorno, a dimostrazione nuovamente di come la condizione reddituale sia
problematica in tutto il paese e non solamente nelle regioni economicamente più deboli.
Scendendo un po’ più nel dettaglio, la crescita al Nord è stata enorme per gli «altri
indipendenti», cioè tutta l’area del lavoro autonomo meno protetto, con una crescita
della povertà assoluta del 67%, passata cioè dal 5,2 all’8,7%, nettamente superiore a
quanto accaduto nel Mezzogiorno, dove è passata dal 7,1 al 7,8% (+9,9%). Lo stesso
andamento si è registrato nel caso del profilo occupazionale maggiormente colpito dalla
in-work poverty – molto caratteristico del regime di povertà
italiano –, cioè quello operaio. A livello nazionale l’incidenza è passata dal 10,2 al
13,2% (+33%), ma al Nord è cresciuta dal 10 al 14,4% (+44%), a fronte di un aumento nel
Mezzogiorno dall’11,6 al 12,7% (+9,5%). In un certo senso il lavoro paga molto di più
nel Mezzogiorno che nel Nord, dove la combinazione tra maggiore costo della vita e
maggiore dispersione dei redditi da lavoro penalizza fortemente i profili occupazionali
più bassi. La pandemia ha quindi fortemente colpito questa fascia di occupati, e le loro
famiglie, anche perché la possibilità di accedere alle misure di sostegno del reddito
(RDC e reddito di emergenza) è stata particolarmente difficile per i residenti al Nord,
anche a causa del fatto che molti poveri del Nord sono immigrati esclusi dall’accesso al
RDC.¶{p. 132}
4. La risposta delle politiche
Quale è stata la risposta delle
politiche di sostegno al reddito di fronte all’aumento del rischio di povertà connesso
alla pandemia?
Per rispondere a tale domanda sono
necessari due chiarimenti analitici: il primo riguarda la trasformazione del rischio di
povertà a cui le politiche sono state chiamate a dare risposta e il secondo riguarda
l’insieme di vincoli, necessità e anche opportunità che la pandemia ha sostanzialmente
imposto sul piano delle policies.
Partendo dal primo aspetto e
ricollegandoci a quanto visto nei precedenti paragrafi, la fase pandemica ha
sostanzialmente determinato una trasformazione del rischio di povertà su tre versanti,
che chiamano in causa le risposte di policy: ha aumentato il
livello di soggetti esposti al rischio di povertà; ha in parte modificato il tipo di
profilo degli individui esposti a tale rischio, sostanzialmente aumentando il numero
delle categorie rispetto agli anni precedenti; ha legato, ancora maggiormente rispetto
al passato, l’aspetto economico di tale rischio a una natura sociale multidimensionale e
più complessa, che specie la fase del distanziamento ha significativamente acuito.
È chiaro che l’aumento del numero
dei poveri, in tutta Europa, ha chiamato i decisori politici a porre al centro delle
priorità il sostegno al reddito per i tantissimi cittadini che a causa del Covid si sono
trovati impoveriti, per la sospensione o cessazione di molte attività lavorative. Questa
emergenza, che potremmo chiamare di natura quantitativa, ha posto dunque al centro
dell’attenzione anche in Italia strumenti di politica sociale che abitualmente non hanno
centralità all’interno delle politiche di welfare.
In secondo luogo è intervenuta anche
una trasformazione più «qualitativa» dei profili dei potenziali beneficiari delle
politiche di mantenimento del reddito, poiché a causa della pandemia alcuni nuclei
familiari che solitamente erano più al sicuro, sono stati fortemente esposti al rischio
di povertà. Per esempio le famiglie con minori, anche con due stipendi – aspetto che un
tempo era considerato il miglior
¶{p. 133}antidoto contro la povertà
[Saraceno 2014] – sono state la categoria che ha fatto registrare il più significativo
peggioramento delle condizioni economiche durante la pandemia, tra i soggetti
vulnerabili [Busilacchi e Luppi 2022]. Questo aspetto è legato a doppio filo a un
fenomeno relativamente nuovo per l’Italia, quello della in-work
poverty, che durante la fase pandemica è esploso a causa della
interruzione di molte attività lavorative, specie nei periodi di lockdown. Più in
generale, tutte le figure di lavoratori precari, a scarso reddito e con qualifiche basse
hanno risentito più di altri e sono diventati un profilo di beneficiari che chiedeva una
risposta delle politiche.
Note
[5] Nell’analisi dell’andamento della povertà nel corso della pandemia utilizzeremo i dati relativi alla povertà assoluta di fonte ISTAT. Non commenteremo invece l’andamento della povertà relativa in quanto, come noto, risente sensibilmente delle fluttuazioni congiunturali nella spesa per consumi. Tra il 2019 e il 2020, infatti, a causa del drastico calo della spesa per consumi sostenuta dalle famiglie determinato dai vari lockdown, che ha riguardato in maggior misura le famiglie con spesa più elevata, l’incidenza della povertà relativa è diminuita passando dall’11,4 al 10,1%.
[6] Vedi anche le considerazioni di Vesan, Gambardella e Morlicchio [2021].